Cibo, disabilità e disagio

da Spunti di NutrizioneFino a qualche anno fa non avrei mai immaginato di utilizzare le mie competenze professionali in ambiti così particolari e specifici quali quelli della disabilità fisica e cognitiva e degli stati di disagio psicologico e sociale.
Per caso – ma il caso esiste? – ebbi anni fa l’occasione e il privilegio di lavorare con bambini affetti da patologie genetiche, anche gravi e quella esperienza – lo ricordo bene – mi cambiò per sempre, offrendomi la possibilità di utilizzare i miei strumenti in un modo inatteso e, al tempo stesso, dandomi la sensazione di potermi rendere utile in ambiti che fino a quel momento avevo considerato lontani dal mio. La riflessione che ne è scaturita mi ha portata alla convinzione, sempre più strutturata, che il cibo e l’atto di alimentarsi e di lasciarsi alimentare sono azioni assolutamente imprescindibili e che, più spesso di quanto immaginiamo, possono rappresentare un rifugio, una via d’uscita, un supporto a svariati percorsi e protocolli terapeutici.
Di recente, questa esperienza interessante si è, in un certo senso, integrata e arricchita attraverso un’altra: quella del disagio psichico e sociale. In modo sorprendente, il cibo, la cura per i propri gusti, del proprio corpo, la consapevolezza di ciò che scegliamo, insomma, l’attenzione a come ci nutriamo possono coadiuvare percorsi e recuperi in questi ambiti così complessi. Lavorare sulle dinamiche nutrizionali, manipolare gli alimenti, raccontare le proprie preferenze a tavola e confrontarsi con gli altri significa spesso recuperare il rapporto con il proprio corpo e con ciò che lo appaga e lo fa stare bene. Il cibo è, ancora e sempre, il legame profondo con chi ci ha nutrito e ci nutre, con la terra, con noi stessi, con la nostra storia: l’espressione più alta dell’accudimento e dell’auto-accudimento. Come ho fatto anni fa a non immaginare risvolti così interessanti?
Ogni giorno scopro che fare la nutrizionista significa lavorare su più fronti, essere aperti all’aggiornamento costante e profondo, imparare continuamente dagli altri e adoperarsi per rendersi utili.

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Immagine di Giusi D’Urso (tratta dal testo Spunti di nutrizione ed altro. MdS)

Dall’uomo arcaico all’uomo moderno

Ovvero, cosa resta del tempo che fu?

craniCi sono nozioni che servono a fare luce sui nostri comportamenti. A volte, possono sembrare cose lontane. In realtà, sapere da dove veniamo aiuta spesso a capire verso cosa e in che modo stiamo procedendo.

Dai primi ominidi in poi, il corpo umano ha subito modificazioni profonde. Quella che ha avuto maggiori ripercussioni sulla nostra evoluzione in uomini moderni è probabilmente l’aumento delle dimensioni del cervello. Questa trasformazione è iniziata dall’era glaciale e si è protratta fino allo sviluppo del cervello di Homo Sapiens che ha dimensioni medie pari a 1350 centimetri cubi. Lo sviluppo di un grande cervello, realizzatosi con l’acquisizione una vastissima rete neuronale (l’uomo possiede circa 11,5 miliardi di neuroni, lo scimpanzé circa 6,5) ha avuto non pochi risvolti positivi: ha reso l’essere umano abile al ragionamento, ha sviluppato la memoria, le competenze e la capacità di apprendimento. Ma soprattutto lo ha reso un ottimo naturalista e un essere altamente adeguato alla socialità: i cacciatori-raccoglitori, nutrendosi di animali e di molte specie vegetali, necessitavano di notevoli competenze in fatto di cicli vitali animali e di stagionalità delle piante. Inoltre, vivendo in condizioni climatiche spesso estreme, avevano bisogno di strategie efficaci per trovare cibo e riparo, costruire armi e utensili e, soprattutto, collaborare con i loro simili: i comportamenti cooperativi, difatti, richiedono abilità molto complesse (comunicare, limitare comportamenti aggressivi, comprendere i bisogni altrui, memorizzare ruoli sociali). Un cervello così grande e potente, però, aveva delle richieste energetiche enormi, questo è il motivo per cui si è evoluto nelle epoche in cui è risultato possibile accedere a nicchie alimentari varie che offrissero alimenti energeticamente più ricchi di bacche, foglie e radici. La svolta che ha reso possibile lo sviluppo del grande cervello è stata rappresentata da molteplici “occasioni vantaggiose”: l’accesso ai grassi animali (carne e pesce) che hanno fornito quote energetiche superiori e materia prima per la costruzione del tessuto nervoso; la tendenza a fare depositi grassi  che ha permesso la sopravvivenza in epoche di cambiamenti climatici estremi che portavano a carestie e siccità prolungate nel tempo; e le condizioni climatiche poco favorevoli, che hanno prodotto necessari e impegnativi esercizi d’ingegno.

Oggi – ne converrete – le condizioni in cui viviamo sono estremamente lontane da quelle che ci hanno forgiati e resi esseri intelligenti, resistenti al caldo e al freddo, atti a camminare e a correre, adattati a instaurare numerose e complesse reti sociali. Ciò che resta di epoche così lontane – e non mi pare affatto poco – sono le abilità. Ci piaccia o no, siamo fatti per muoverci, ingegnarci, collaborare con i nostri simili e nutrirci dell’essenziale. Forse prenderne atto ci aiuta ad attivare cambiamenti virtuosi del nostro stile di vita: non serve tornare a condizioni primitive, né rinunciare a ciò che con fatica e impegno l’essere umano ha conquistato e realizzato. Sapere e riflettere su ciò che oggi la scienza è in grado di spiegare è utile per tornare a fare i conti con le nostre effettive necessità.

Testo e immagine di Giusi D’Urso

Per approfondire
La storia del corpo umano. D. Lieberman. Le Scienze
In carne e ossa. Biondi et al. Editori Laterza

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Strumenti di nutrizione pediatrica

vitadamamma.comIl pasto assistito è un o strumento utilizzato nel trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e consiste in un momento di osservazione in cui la paziente (o il paziente) viene assistita durante i pasti da un operatore per aiutarla/o a superare gli ostacoli che impediscono un’assunzione adeguata di nutrienti per quantità e qualità.
Nella mia pratica, tuttavia, ho sperimentato, e negli anni collaudato, un pasto assistito particolare, o più correttamente un pasto “osservato”, adattandolo ai problemi alimentari in età pediatrica, che siano relativi all’inappetenza comune, a disordini alimentari di vario tipo o al rifiuto pervicace del cibo. Si tratta di osservare  la bambina o il bambino in questione durante uno dei pasti principali, possibilmente quello che nel racconto dei genitori viene riferito più problematico, e raccogliere in quel contesto una serie di informazioni che possono essere utili al completamento di una buona anamnesi. L’osservazione deve avvenire in totale accordo con i genitori, in completo silenzio da parte dell’operatore e con modalità non invasive.
In genere, questo tipo di osservazione, meglio se ripetuta più di una volta, si rivela molto utile (in qualche caso, addirittura, illuminante) nel reperire informazioni e chiarire dinamiche alimentari complesse.
Sebbene possa risultare una richiesta insolita, soprattutto all’inizio di un percorso di riabilitazione alimentare dei piccoli, il pasto assistito in età pediatrica , come momento di attenta osservazione, rappresenta a mio avviso uno strumento prezioso per chi lavora nell’ambito della nutrizione pediatrica.

 Immagine tratta dal web

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In questo blog potresti leggere anche i seguenti articoli attinenti:
Non solo DCA
Le risposte dei grandi
Se non mangiomi vuoi bene?

Se sei un professionista della nutrizione potrebbe interessarti anche questo post:
Corso ABNI di nutrizione pediatrica

 

 

 

 

 

 

 

immagine tratta da vitadamamma.com

Educazione alimentare, passione “trasversale”

945623_10201131460678137_865050723_nSono molti i modi in cui si può fare DSCN6199educazione alimentare ai bambini, ai ragazzi e alle famiglie. Nel mio lavoro ho scelto il metodo esperienziale: fare le cose aiuta a capire cosa sono, quanto sono importanti, come si possono gestire.
Conoscere il cibo, la sua storia, i suoi percorsi – dentro e fuori di noi – è il modo migliore per imparare a sceglierlo.
Oggi, l’educazione alimentare è una disciplina fondamentale: fornisce strumenti per restare in buona salute, aiuta a fare scelte sostenibili, a identificarci con il territorio in cui viviamo, ad arricchire le relazioni umane. Per questo, per la complessità che la contraddistingue è necessario affrontare l’educazione alimentare in modo multidisciplinare, trasversale, attento, approfondito e, possibilmente, giocoso.
In questo m’impegno ogni giorno.DSCN5261

 

 

 

 

 

 

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Immagini di Giusi D’Urso

Incontri al Polo Oncologico di Pisa

Polo 2015Il 17 aprile 2015 ripartiranno gli incontri gratuiti  de La MezzaLuna presso il Polo Oncologico dell’Azienda Ospedaliera Pisana, in collaborazione con l’Associazione Oncologica Pisana “P. Trivella”. Si tratta del terzo ciclo di lezioni/conversazioni dedicate all’alimentazione e alla gestione delle emozioni nei pazienti oncologici: in particolare, il primo (2013) è stato destinato agli operatori sanitari, mentre gli ultimi due (2013/2014) ai malati e a chi se ne prende cura ogni giorno (parenti e altre figure).
Sta per iniziare, dunque, il quarto ciclo di incontri, rinnovato e aggiornato: un’esperienza che ci rende fieri di ciò che come Centro di Educazione Alimentare facciamo ogni giorno, con passione e dedizione. Un impegno che ci gratifica e ci arricchisce.
Un grazie all’Associazione Oncologica Pisana, all’oncologo dott. Antonuzzo e a chi ha partecipato agli incontri precedenti.

Vi aspetto, insieme a Cristina Cherchi, pedagogista clinica!

 

Gli incontri avranno luogo presso la sala al piano terreno del Polo Oncologico dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa dalle 15,30 alle 17,30 nelle seguenti date:

17 aprile
15 maggio
19 giugno

Condurranno gli incontri:

Dott.ssa Giusi D’Urso – Biologa Nutrizionista Dott.ssa Cristina Cherchi – Pedagogista clinica (esperte de La Mezzaluna – Centro Educazione alimentare)

L’iniziativa è diretta ai pazienti oncologici, familiari, caregiver,
volontari, personale sanitario e chiunque sia interessato all’argomento.

Per informazioni:

Segreteria AOPI tel. 05046217

A.O.PI. Gruppo Donna Tel. 050992869

(dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,00)

Stranieri nel Paese delle Meraviglie

– Dove corri così in fretta?
– È tardi! È tardi! – diceva, nervoso e inquieto, il Bianconiglio. Come se qualcosa d’irreparabile stesse per accadere, intorno alla tavola bellamente apparecchiata per il tè. E, nonostante la sua fretta suggerisca sensazioni moderne di frenetica quotidianità, il personaggio di Carroll è, al contrario, un richiamo d’attenzione verso ciò che accade intorno. Grazie a lui Alice, incuriosita dal ballonzolare nervoso e dal comportamento irrequieto, inizia il viaggio nel Paese delle Meraviglie, nel luogo e nello spazio delle cose piccole ma piene di significato, di tutte le esperienze che fanno diventare grandi!

E noi, invece? Dove corriamo? Cosa accadrà di così irreparabile se ci fermiamo a prendere coscienza di ciò che stiamo vivendo in quell’istante, in quel posto?
Mentre arranchiamo chissà dove, attorno alla nostra tavola apparecchiata accadono piccole meraviglie piene di significato. Se ognuno di noi seguisse il suo Bianconiglio, probabilmente, si renderebbe conto che masticare a lungo un cibo permette, attraverso il calore, la saliva e l’azione meccanica dei denti, la liberazione di molecole aromatiche che, stimolando i recettori olfattivi e quelli gustativi, permettono la percezione dei sapori.

IMG_3865Gustare il cibo non è solo un piacere, un modo di gratificarsi attraverso le scelte che facciamo a tavola, ma rappresenta una tappa importante per raggiungere la sazietà, cioè la sensazione di appagamento prodotta da una serie di messaggi chimici che, partendo da varie zone dell’apparato gastro-intestinale (bocca, stomaco, intestino), raggiungono nel cervello il centro deputato alla regolazione della fame e della sazietà. Se non ci concediamo il tempo di masticare, assaporare, apprezzare la tessitura di un cibo, il rumore che esso fa sotto i denti, la sinfonia sensoriale che ogni sua parte produce a contatto con i nostri organi di senso, perdiamo gran parte del significato che l’atto di mangiare reca con sé. Eludiamo il meccanismo dell’appagamento, non avvertiamo né il piacere del cibo né il senso della pienezza: il rischio è quello di mangiare più del dovuto, senza nemmeno la soddisfazione del gusto!

Il Bianconiglio di Carroll ne sarebbe quantomeno infastidito: sorvolerebbe con sufficienza sulle nostre manifestazioni d’ansia, guarderebbe con diffidenza il nostro frenetico ingurgitare, esprimerebbe sdegno di fronte alla cattiva abitudine di mangiare di fronte al computer o isolandoci aggeggiando col cellulare. Ci troverebbe immaturi, superficiali, inconsapevoli e alienati. Indifferenti e “stranieri”, nel senso inteso da Camus nel suo famoso romanzo, seduti a casaccio intorno a un tavolo, incapaci di gustare il cibo e la vita, divoratori inconsapevoli di alimenti e di istanti preziosi. Vogliamo davvero mangiare così? Vogliamo davvero insegnare ai nostri figli che correre è il modo giusto per arrivare alla fine di un pasto o per vivere tutto ciò che ci accade?
Dovremmo riflettere, ma soprattutto rallentare; così, ne sono certa, riusciremmo a intravedere, fra i balzi di un simpatico coniglietto bianco, il nostro personale, irrinunciabile Paese delle Meraviglie.

 

Immagine di Giusi D’Urso, testo pubblicato su manidistrega.it per la rubrica Cibus in fabula

Corso ABNI di Nutrizione Pediatrica

PEDIATRIA MAGGIO 2015(3)Dal 22 al 24 maggio 2014 a Rimini, presso il Suite Hotel Litoraneo, si svolgerà il corso di Nutrizione Pediatrica destinato ai biologi, medici nutrizionisti e psicologi. Per informazioni ed iscrizioni: corsi@abni.it, oppure consultare il sito. Il programma delle lezioni verrà svolto da personale qualificato, il corso è stato accreditato per l’Educazione Continua in Medicina con 25 crediti.

Visita il sito abni.it

Non solo DCA

 

DSCN4068I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) rappresentano una categoria di patologie diffuse nei paesi industrializzati e dette “culture-bound”, per indicare la relazione stretta che esiste fra le pressioni socio-culturali (modelli estetici, mode e tendenze) e l’eziologia di questi disturbi. In Italia, i DCA coinvolgono approssimativamente tre milioni di giovani. Il dubbio o semplicemente la paura che una figlia o un figlio possano essersi ammalati di queste gravi patologie getta spesso i genitori nello sconforto e genera tensioni e ansie che cropped-DSCN5808.jpgpeggiorano le dinamiche familiari.
Mi accade spesso di ascoltare genitori preoccupati per il rifiuto pervicace del cibo da parte di bambini in età pre-scolare, scolare o di adolescenti e la parola Anoressia è quasi sempre sottintesa, anche se non viene nemmeno nominata per paura che si materializzi all’istante.
Oltre alla necessità di valutare attentamente, insieme al pediatra di famiglia e a uno psicologo o uno psichiatra esperti nel campo, la presenza o meno di sintomi e comportamenti che facciano pensare a un DCA, mi sforzo sempre di leggere fra le paure e le ansie dei genitori tutto ciò che può rivelarsi utile alla comprensione del problema. Poiché il rifiuto del cibo in età pediatrica (e non solo) può avere molti significati: dalla facilità con cui un bimbo si sazia al richiamo d’attenzione, da un’inappetenza momentanea e transitoria a una fase di cambiamento repentino durante la crescita. Solo un’attenta anamnesi, magari ripetuta più volte, può dare informazioni utili.
Ad esempio, mi capita spesso di dover lavorare sul ciclo fame/sazietà di un bambino, sulla strutturazione dell’alimentazione giornaliera e sulla qualità dei suoi pasti, in quanto molto più frequentemente di quanto si possa immaginare, i bambini arrivano ai pasti principali già sazi per cui tendono a rifiutare il pasto e il momento di condivisione ad esso legato. A volte, invece, è il gusto il protagonista del “contendere”: molti bambini, per esempio, rifiutano il pasto a scuola perché non coincide con le proprie preferenze alimentari, “allenate” su altri sapori, su altre abitudini, altri cibi.
Nei casi in cui è stata esclusa una patologia, ciò che può aiutare è un percorso di educazione alimentare individuale e familiare che miri alla ristrutturazione delle corrette abitudini alimentari e alla riabilitazione del gusto.
Nei casi più complessi e, per fortuna, più rari, dietro al rifiuto del cibo possono celarsi dinamiche più profonde e più gravi. Sarà necessario, allora, confrontarsi con un gruppo di professionisti adeguati o inviare il bambino o l’adolescente ad un centro specializzato.
In generale comunque, sono l’ascolto e l’attenzione gli strumenti che fanno davvero la differenza, insieme alle competenze e all’empatia.
Una cassetta degli attrezzi completa, insomma, da cui, credo, chi fa il mio lavoro non possa prescindere.

 

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Immagini di Giusi D’Urso

 

Mucche viola e galline parlanti

Parlando di cibo industriale, sono due le cose su cui non possiamo avere dubbi: 1) lo scopo dell’industria alimentare è fare profitto; 2) l’infanzia è un target facilmente fidelizzabile. Le risorse spese in pubblicità dalle multinazionali sono enormi; è noto quanto e quale impegno ci sia dietro ogni musichetta, ogni slogan (che in una antica lingua nord-europea signica grido di guerra!). Sta a noi adulti mediare, filtrare o evitare i messaggi della pubblicità e, soprattutto, educare alle buone abitudini alimentari. Tutti noi vorremmo un mondo senza pericoli, senza inganni e senza condizionamenti; ma, ci piaccia o no, la realtà in cui i nostri figli stanno vivendo è questa. L’unica arma (unica, ma di certo efficace) che abbiamo per difenderci è la messa in atto di modelli corretti e coerenti. Pertanto…

DSCN5471Bambini, datemi retta! Le mucche non hanno gli occhiali e non sono di colore viola. Le galline non parlano con i mugnai, nemmeno con quelli affascinanti. Fatevene una ragione e chiedete ai vostri genitori e ai vostri insegnanti di portarvi in gita nelle fattorie. Scoprireste cose strabilianti: che non esiste l’albero del fruttolo, che i fattori sono stanchi a fine giornata perché si svegliano all’alba, che le mucche non possono essere vostre compagne di merenda al parco, sullo scivolo o sulla panchina, perché il loro posto è al pascolo o in una stalla. Fatevi portare qualche volta a far merenda in un’azienda e consumatela a contatto con la natura, anziché davanti alla tv. Chiedete di vedere cose vere. Solo così si diventa grandi.