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Stranieri nel Paese delle Meraviglie

– Dove corri così in fretta?
– È tardi! È tardi! – diceva, nervoso e inquieto, il Bianconiglio. Come se qualcosa d’irreparabile stesse per accadere, intorno alla tavola bellamente apparecchiata per il tè. E, nonostante la sua fretta suggerisca sensazioni moderne di frenetica quotidianità, il personaggio di Carroll è, al contrario, un richiamo d’attenzione verso ciò che accade intorno. Grazie a lui Alice, incuriosita dal ballonzolare nervoso e dal comportamento irrequieto, inizia il viaggio nel Paese delle Meraviglie, nel luogo e nello spazio delle cose piccole ma piene di significato, di tutte le esperienze che fanno diventare grandi!

E noi, invece? Dove corriamo? Cosa accadrà di così irreparabile se ci fermiamo a prendere coscienza di ciò che stiamo vivendo in quell’istante, in quel posto?
Mentre arranchiamo chissà dove, attorno alla nostra tavola apparecchiata accadono piccole meraviglie piene di significato. Se ognuno di noi seguisse il suo Bianconiglio, probabilmente, si renderebbe conto che masticare a lungo un cibo permette, attraverso il calore, la saliva e l’azione meccanica dei denti, la liberazione di molecole aromatiche che, stimolando i recettori olfattivi e quelli gustativi, permettono la percezione dei sapori.

IMG_3865Gustare il cibo non è solo un piacere, un modo di gratificarsi attraverso le scelte che facciamo a tavola, ma rappresenta una tappa importante per raggiungere la sazietà, cioè la sensazione di appagamento prodotta da una serie di messaggi chimici che, partendo da varie zone dell’apparato gastro-intestinale (bocca, stomaco, intestino), raggiungono nel cervello il centro deputato alla regolazione della fame e della sazietà. Se non ci concediamo il tempo di masticare, assaporare, apprezzare la tessitura di un cibo, il rumore che esso fa sotto i denti, la sinfonia sensoriale che ogni sua parte produce a contatto con i nostri organi di senso, perdiamo gran parte del significato che l’atto di mangiare reca con sé. Eludiamo il meccanismo dell’appagamento, non avvertiamo né il piacere del cibo né il senso della pienezza: il rischio è quello di mangiare più del dovuto, senza nemmeno la soddisfazione del gusto!

Il Bianconiglio di Carroll ne sarebbe quantomeno infastidito: sorvolerebbe con sufficienza sulle nostre manifestazioni d’ansia, guarderebbe con diffidenza il nostro frenetico ingurgitare, esprimerebbe sdegno di fronte alla cattiva abitudine di mangiare di fronte al computer o isolandoci aggeggiando col cellulare. Ci troverebbe immaturi, superficiali, inconsapevoli e alienati. Indifferenti e “stranieri”, nel senso inteso da Camus nel suo famoso romanzo, seduti a casaccio intorno a un tavolo, incapaci di gustare il cibo e la vita, divoratori inconsapevoli di alimenti e di istanti preziosi. Vogliamo davvero mangiare così? Vogliamo davvero insegnare ai nostri figli che correre è il modo giusto per arrivare alla fine di un pasto o per vivere tutto ciò che ci accade?
Dovremmo riflettere, ma soprattutto rallentare; così, ne sono certa, riusciremmo a intravedere, fra i balzi di un simpatico coniglietto bianco, il nostro personale, irrinunciabile Paese delle Meraviglie.

 

Immagine di Giusi D’Urso, testo pubblicato su manidistrega.it per la rubrica Cibus in fabula

Non solo DCA

 

DSCN4068I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) rappresentano una categoria di patologie diffuse nei paesi industrializzati e dette “culture-bound”, per indicare la relazione stretta che esiste fra le pressioni socio-culturali (modelli estetici, mode e tendenze) e l’eziologia di questi disturbi. In Italia, i DCA coinvolgono approssimativamente tre milioni di giovani. Il dubbio o semplicemente la paura che una figlia o un figlio possano essersi ammalati di queste gravi patologie getta spesso i genitori nello sconforto e genera tensioni e ansie che cropped-DSCN5808.jpgpeggiorano le dinamiche familiari.
Mi accade spesso di ascoltare genitori preoccupati per il rifiuto pervicace del cibo da parte di bambini in età pre-scolare, scolare o di adolescenti e la parola Anoressia è quasi sempre sottintesa, anche se non viene nemmeno nominata per paura che si materializzi all’istante.
Oltre alla necessità di valutare attentamente, insieme al pediatra di famiglia e a uno psicologo o uno psichiatra esperti nel campo, la presenza o meno di sintomi e comportamenti che facciano pensare a un DCA, mi sforzo sempre di leggere fra le paure e le ansie dei genitori tutto ciò che può rivelarsi utile alla comprensione del problema. Poiché il rifiuto del cibo in età pediatrica (e non solo) può avere molti significati: dalla facilità con cui un bimbo si sazia al richiamo d’attenzione, da un’inappetenza momentanea e transitoria a una fase di cambiamento repentino durante la crescita. Solo un’attenta anamnesi, magari ripetuta più volte, può dare informazioni utili.
Ad esempio, mi capita spesso di dover lavorare sul ciclo fame/sazietà di un bambino, sulla strutturazione dell’alimentazione giornaliera e sulla qualità dei suoi pasti, in quanto molto più frequentemente di quanto si possa immaginare, i bambini arrivano ai pasti principali già sazi per cui tendono a rifiutare il pasto e il momento di condivisione ad esso legato. A volte, invece, è il gusto il protagonista del “contendere”: molti bambini, per esempio, rifiutano il pasto a scuola perché non coincide con le proprie preferenze alimentari, “allenate” su altri sapori, su altre abitudini, altri cibi.
Nei casi in cui è stata esclusa una patologia, ciò che può aiutare è un percorso di educazione alimentare individuale e familiare che miri alla ristrutturazione delle corrette abitudini alimentari e alla riabilitazione del gusto.
Nei casi più complessi e, per fortuna, più rari, dietro al rifiuto del cibo possono celarsi dinamiche più profonde e più gravi. Sarà necessario, allora, confrontarsi con un gruppo di professionisti adeguati o inviare il bambino o l’adolescente ad un centro specializzato.
In generale comunque, sono l’ascolto e l’attenzione gli strumenti che fanno davvero la differenza, insieme alle competenze e all’empatia.
Una cassetta degli attrezzi completa, insomma, da cui, credo, chi fa il mio lavoro non possa prescindere.

 

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Immagini di Giusi D’Urso

 

Mucche viola e galline parlanti

Parlando di cibo industriale, sono due le cose su cui non possiamo avere dubbi: 1) lo scopo dell’industria alimentare è fare profitto; 2) l’infanzia è un target facilmente fidelizzabile. Le risorse spese in pubblicità dalle multinazionali sono enormi; è noto quanto e quale impegno ci sia dietro ogni musichetta, ogni slogan (che in una antica lingua nord-europea signica grido di guerra!). Sta a noi adulti mediare, filtrare o evitare i messaggi della pubblicità e, soprattutto, educare alle buone abitudini alimentari. Tutti noi vorremmo un mondo senza pericoli, senza inganni e senza condizionamenti; ma, ci piaccia o no, la realtà in cui i nostri figli stanno vivendo è questa. L’unica arma (unica, ma di certo efficace) che abbiamo per difenderci è la messa in atto di modelli corretti e coerenti. Pertanto…

DSCN5471Bambini, datemi retta! Le mucche non hanno gli occhiali e non sono di colore viola. Le galline non parlano con i mugnai, nemmeno con quelli affascinanti. Fatevene una ragione e chiedete ai vostri genitori e ai vostri insegnanti di portarvi in gita nelle fattorie. Scoprireste cose strabilianti: che non esiste l’albero del fruttolo, che i fattori sono stanchi a fine giornata perché si svegliano all’alba, che le mucche non possono essere vostre compagne di merenda al parco, sullo scivolo o sulla panchina, perché il loro posto è al pascolo o in una stalla. Fatevi portare qualche volta a far merenda in un’azienda e consumatela a contatto con la natura, anziché davanti alla tv. Chiedete di vedere cose vere. Solo così si diventa grandi.

Calorie? No, grazie, vado a molecole!

limone1Le diete, si sa, sono strettamente imparentate alle calorie. O meglio, alla restrizione calorica. La parola dieta, in genere, non ci fa venire in mente l’antica Diaita che significa stile di vita; ma suscita una sorta di fastidioso senso di rinuncia, richiama inevitabilmente il sacrificio e la privazione.
Chi si mette a dieta, dunque, riduce le calorie. Le conta e le riconta, le taglia, le identifica immediatamente sulle etichette alimentari e passa parte del proprio tempo ad imparare come distribuirle durante la giornata e come compensare ogni volta che il suo istinto, la sua gola o la sua fame lo renderanno vulnerabile di fronte alla vetrina di un pasticcere, allo scaffale di un supermercato o alla dispensa di casa. L’industria alimentare, dal canto suo, offre prodotti “calibrati” ed equilibrati dal punto vista calorico, che vantano sulle confezioni il miracoloso obiettivo del dimagrimento in salute e bellezza.
Le diete ipocaloriche, diciamolo, sono comunque un vero incubo, che peraltro ha scarse ricadute sul mantenimento del peso forma a medio e lungo termine.
A fronte di una così diffusa pratica che pone un’attenzione quasi maniacale alla quantità di cibo assunto, c’è ancora una scarsa considerazione per la qualità di ciò di cui ci nutriamo.
In realtà, ripensando alle calorie, non siamo macchine termiche ma macchine chimiche: ogni volta che mangiamo, il sangue e l’intero organismo si modificano profondamente sia dal punto di vista ormonale che metabolico. Dopo ogni atto alimentare, dunque, siamo diversi rispetto a prima di mangiare. E questo non tanto a causa delle calorie introdotte, ma delle molecole di cui è costituito il nostro cibo. Così, gli zuccheri alzeranno la glicemia del sangue e indurranno produzione di insulina, i grassi verranno portati al fegato e distribuiti nei tessuti di riserva, alle cellule per il ricambio delle loro membrane, serviranno al trasporto delle vitamine liposolubili, costituiranno nuove guaine mieliniche per i nervi; così, le proteine andranno a costituire ossa e muscoli, formeranno anticorpi, enzimi e molecole ormonali. E a seguire, tutti gli altri nutrienti, in un grande fermento metabolico variegato, interattivo e complesso che sta alla base della nostra vita e della nostra salute.
È comunemente noto che un grammo di proteine o di carboidrati forniscono entrambi circa 4 grandi calorie; ma è altrettanto nota la funzione diversa che i due principi alimentari esercitano nel nostro organismo. In sostanza, due cibi possono fornire la stessa quantità di calorie ma essere qualitativamente e funzionalmente molto diversi.
Oltre ai nutrienti, il cibo, soprattutto quello industriale, può contenere additivi che si accumulo nel corso della catena produttiva. Quello proveniente da agricoltura intensiva conterrà tracce di pesticidi, fertilizzanti, ecc. Quello proveniente da paesi lontani sarà nutrizionalmente un p’ più povero.
Quindi, tornando alla dieta e alle rinunce che essa reca con sé, forse è il caso di riflettere sul non senso di certi calcoli e certi sacrifici e di informarsi meglio sulla qualità, e quindi sulla provenienza, del nostro cibo. È il caso, allora, di porci domande quali: meglio uno snack dietetico che contiene grassi tropicali e conservanti o una fettina di pane integrale con un buon olio extra vergine d’oliva? Meglio imparare a cucinare con pochi grassi o affidarsi a piatti dietetici pronti? Meglio un centrifugato di ortaggi di stagione o il beverone dietetico di turno?
Chi non si pone queste domande continua ad illudersi che il suo peso dipenda esclusivamente dalle calorie assunte e continua a delegare ad “altri” il suo benessere personale, dimenticando che ognuno è il trainer di se stesso. Una caloria non vale l’altra e il nostro metabolismo, depositario di una sapienza genetica millenaria, lo sa benissimo!

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Le risposte dei grandi

dscn5593Nei bambini e negli adolescenti la frase “ho fame” o quella “non ho fame” spesso significano semplicemente “ho bisogno di te”. La percezione corretta da parte dell’adulto (genitore, nonno, educatore) implica ascolto e attenzione, dubbio e buona volontà, affinché la risposta non sia l’omologata ed atona offerta di cibo. Questi strumenti, nel caso non vi fossero, si possono (si devono!) imparare per garantire una relazione serena con il cibo, con il corpo e con il prossimo. Sull’influenza che i genitori (e altri adulti di riferimento) possono operare nei confronti delle scelte alimentari dei figli esistono oggi molte evidenze scientifiche. Una serie di studi recentissimi si è infatti occupata della relazione fra l’autoregolazione delle emozioni e la scelta alimentare che passa per il meccanismo antico di fame e sazietà. In pratica, la reazione dei genitori all’esternazione emotiva dei loro bambini influenza il loro modo di esprimere le emozioni da adulti; l’autoregolazione dei bambini, cioè, viene costruita proprio sulle risposte degli adulti di riferimento. È ormai accertato che queste reazioni pesino anche sull’introito calorico, influenzando profondamente i gusti e le scelte alimentari dei bambini, anche a lungo termine.
Adulti di riferimento capaci di accettare e gestire le reazioni dei bambini, siano esse positive o negative, sono anche in grado di effettuare scelte appropriate nel momento in cui il bambino esprimerà fame o sazietà. Questi adulti, per intendersi, non useranno il cibo per confortare e calmare il proprio bambino, ma accoglieranno la sua reazione cercando soluzioni alternative e fornendo altri strumenti per gestire frustrazione, rabbia e sconforto. Non forzeranno al consumo di cibo un bambino o un adolescente che lo rifiuterà con pervicacia, ma si porranno domande sul motivo o l’origine di un atteggiamento così deciso e, spesso, pericoloso.
Quando il cibo viene utilizzato per lenire ansie ed angosce, per ricompensare o calmare, le successive risposte emotive del bambino saranno destabilizzate ed egli legherà al consumo di cibo la gratificazione ed altre sensazioni positive. Quando di fronte a un rifiuto rigido e reiterato si reagisce con pratiche di forzatura altrettanto inflessibili si nega un problema che non fa che amplificarsi e strutturarsi profondamente.no

Attenzione, quindi, alle frasi “se fai il bravo ti compro il gelato!” oppure “se non finisci i compiti stasera ti becchi il cavolfiore!”. Attenzione a frasi con “se non mangi tutto non esci di casa”.
Attenzione, insomma, a non rendere il momento del pasto terreno di ricatto e guerriglia e a non trasformare il cibo in un’arma che separa e crea distanze fra chi nutre e chi è nutrito.si
Educare un bambino a scelte alimentari equilibrate è un’attività che deve passare attraverso la corretta gestione delle emozioni, il buon esempio e la consapevolezza dei grandi. Ogni risposta del genitore alle richieste del proprio figlio deve proporre strumenti, non chiudere dialoghi, imporre soluzioni predefinite o, al contrario, dare la sensazione che egli debba cavarsela da solo. Nel mestiere più difficile del mondo, infatti, l’equilibro sta a metà strada fra la fatica dei no e la gioia dei sì.

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 Due delle immagini sono tratte dalla reete

Se non mangio mi vuoi bene?

dal sito www.civettandonews.itQuando il piccolo è inappetente, spesso accade che il pasto si trasformi in un momento difficile da gestire. Chi ha preparato la pappa, con cura e amore, si sente frustrato e inadeguato di fronte al rifiuto pervicace del bambino.
Mi capita spesso di ascoltare mamme avvilite e preoccupate: la frustrazione è tale che a volte piangono o esprimono la loro delusione e la loro ansia attraverso la rabbia. Capita e non mi meraviglio, pensando a quanto importante sia per una nutrice alimentare e vedere crescere il proprio figlio.
Ma, poiché, soprattutto per i bimbi piccoli, “la mamma è cibo e il cibo è mamma“, di fronte al rifiuto del bambino possono innescarsi dinamiche poco utili e, a volte, addirittura dannose, sostenute dalla convinzione di avere davanti un piccolo tiranno, testardo ed egocentrico.

Suvvìa, un boccone per la mamma, uno per il papà e uno per la nonna!

In realtà, quello che spesso accade è che, semplicemente, siamo davanti a un bambino che ha poco appetito, o che ha bisogno di mangiare poco, oppure che non è ancora pronto per quel dato alimento, per quel dato momento conviviale, per il distacco dai rituali che lo legano alla mamma attraverso l’allattamento. Semplicemente, il bambino può non avere l’appetito che la mamma si aspetta. L’inappetenza di un figlio è un concetto la cui relatività sta fra i suoi reali bisogni e le aspettative di chi lo nutre.
Se il bambino è sano, cresce normalmente e continua a mostrarsi vivace e allegro, non vi è alcun motivo di condizionarlo con aspettative che non può comprendere, né soddisfare, poiché nel suo istinto e nella sua spinta evolutiva egli ha strumenti insospettabili di autoregolazione dell’appetito e della sazietà. Insistere significa forzare un sistema evolutosi per migliaia di anni; mostrarsi dispiaciuti significa generare nel bambino il dubbio che egli non sia accettato ed amato a causa del suo pervicace rifiuto; lasciarsi prendere dall’ansia significa rischiare di compromettere la serenità della corrispondenza armoniosa fra la nutrice e il suo nutrito.
Rispettiamo, quindi, ciò che ha imparato dalla natura e che noi, invece, abbiamo dimenticato.

 

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(Immagine tratta dal sito: www.civettandonews.it)

Divezzamento: natura o prescrizione?

inappetenteSono sempre più numerose le mamme che si pongono domande riguardo alle modalità con cui guidare il proprio bambino nel delicato momento di passaggio dall’alimentazione esclusivamente lattea a quella solida e mista (divezzamento o svezzamento). Mi capita spesso, infatti, di riceverle nel mio studio e di ascoltare le loro perplessità, di accogliere le loro richieste di rassicurazione. In genere, arrivano con una prescrizione dietetica e relativa ricetta di preparazione delle prime pappe, in concomitanza allo scadere del quinto o sesto mese del proprio neonato.
Che fare? – mi chiedono – Seguire pedissequamente la tabella proposta da alcuni pediatri? Munirsi di liofilizzati, omogeneizzati e pappe pronte? Attendere che il bambino sia un po’ più grande? E, semmai, quanto attendere? Qual è il momento migliore per introdurre la carne? E le altre proteine?
Le risposte a queste domande (ne ho riportate solo alcune) non possono essere omologate, uguali per tutti i neonati, per tutte le mamme e per ogni svezzamento ci si appresti a sperimentare. Perché? Perché: 1) ogni neonato ha i suoi tempi, i suoi gusti e i suoi bisogni; 2) ogni mamma ha il suo istinto e il diritto di scegliere per il proprio figlio la modalità che più la rassicura e la soddisfa; 3) ogni cibo ha le sue stagioni; 4) ogni territorio ha il suo cibo; 5) ogni famiglia ha i suoi modelli alimentari.
E allora, come comportarsi?
Per quanto mi riguarda, da sempre sostengo il divezzamento naturale, intendendo con l’aggettivo “naturale” rispettoso dei tempi, dei gusti e dei bisogni del bambino, oltre che dell’istinto della mamma. Di quel bambino. Di quella mamma. In quel particolare momento.
In genere, sconsiglio i prodotti industriali, poiché la natura, in ogni stagione e in ogni territorio, offre alternative migliori e poiché sono profondamente convinta che l’accudimento dei propri figli debba passare attraverso la preparazione, l’offerta e la condivisione dei pasti.

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Bambini, terra e cibo

I bambini di oggi, si sa, a parte qualche eccezione, non amano la verdura. Ma se sulla tavola apparecchiata i vegetali non mancano mai e i genitori li consumano quotidianamente, il bambino impara che può fidarsi, ne avrà presto curiosità e finirà col mangiarli normalmente.
I bambini di oggi amano i videogiochi e la tv, ma se li portiamo in campagna e li facciamo “giocare” a fare i contadini, seminando e accudendo la terra, si compirà una magia bellissima e quanto mai inattesa: si sentiranno perfettamente a loro agio e saranno ansiosi di veder nascere le loro piantine e raccogliere i frutti del loro lavoro.
orto in terrazzoNell’orto i bambini cercano e trovano soluzioni ai problemi, sperimentano e valorizzano il legame con il sapere antico; imparano che c’è un tempo e un ciclo per ogni specie coltivata e che i frutti maturati sulle piante sono più sani e più nutrienti di quelli raccolti anzitempo e trasportati per lunghe distanze. Imparano che coltivare la terra significa lavorare con continuità e tenacia, recuperando il valore di un’attività troppo spesso lasciata ai margini e considerata di seconda categoria. Se poi il prodotto del loro gioco-lavoro trova un senso a tavola, allora il cerchio si chiude intorno alla consapevolezza di aver fatto una cosa grande: produrre cibo per sé e per gli altri (tratto da Ti racconto la terra, Edizioni ETS).

E’ compito degli adulti – genitori, nonni, educatori – guidare i bambini a giocare in modo sano; a distogliere l’attenzione da monitor e display e ad essere più dinamici e curiosi. Anche in questo caso, come per le scelte alimentari, le abitudini familiari giocano un ruolo veramente importante. Tutti noi, dunque, dovremmo impegnarci in questo senso, seppure il compito risulti faticoso e complesso, poiché, volenti o nolenti, siamo e saremo il modello cui i nostri figli guardano. Quale occasione migliore per modificare i nostri comportamenti meno virtuosi?

 

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Incavolati neri!

dal sito http://www.google.it/url?sa=i&rct=j&q=&esrc=s&source=images&cd=&cad=rja&uact=8&ved=0CAYQjB0&url=http%3A%2F%2Fwww.gustoblog.it%2Fpost%2F31435%2Fricette-autunnali-con-il-cavolo-nero-dalle-zuppe-ai-contorni&ei=yzaxVJSDGIT3O-b7gbgP&bvm=bv.83339334,d.ZWU&psig=AFQjCNGHZDzABA1W5FPc1OLvi2IoBlkELw&ust=1420986183768045

Il cavolo nero è un ortaggio particolarmente caro ai toscani, poiché è l’ingrediente prezioso della zuppa, piatto tradizionale di questa regione. Appartiene alla famiglia delle Crucifere-Brassicacee, pertanto, come i suoi con-simili, è un ortaggio ricco dal punto di vista nutrizionale, in quanto, oltre a varie vitamine (A, C e K) e sali minerali, contiene flavonoidi, terpeni e indoli, sostanze preziose nella prevenzione di alcuni tipi di tumore (stomaco, intestino, polmone, seno e utero) ma anche di patologie gastrointestinali come l’ulcera gastrica e la colite ulcerosa.
Fra gli indoli, uno in particolare, detto indolo-3-carbinolo, interferisce con il metabolismo degli estrogeni, limitando la proliferazione cellulare indotta da questi ormoni in alcuni tessuti.
Fra i pigmenti di cui questo ortaggio è ricchissimo ricordiamo la clorofilla, la luteina e il beta-carotene, anch’essi protettivi rispetto a diverse patologie. Gli esperti consigliano di consumare almeno tre porzioni a settimana di Brassicacee, cioè cavoli e broccoli, per assumere quantità sufficientemente protettive di queste preziose sostanze.
La ricchezza nutraceutica del cavolo nero si associa,peraltro, a un apporto calorico molto basso, che rende questo ortaggio adeguato anche a chi è in sovrappeso e a chi soffre di diabete. Attenzione, però, alla zuppa! Essa è un piatto tradizionale molto gustoso, ma calorico, sia per la presenza cospicua di pane che per il metodo di cottura utilizzato durante la preparazione. Il modo più sano per consumare il cavolo nero è, in realtà, appena lessato e condito con olio extra vergine d’oliva, ricordando che le cotture molto prolungate ne impoveriscono le proprietà nutrizionali. Ottimo anche al vapore e mescolato a pangrattato e formaggio per farne uno sformato.
E la mitica zuppa, allora? Niente paura! Godiamocela ogni tanto, senza sensi di colpa, associata a un buon olio toscano!

Scritto per Dimensione Agricoltura

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Immagine tratta dal sito gustoblog.it
ricette consigliate dal sito giallozafferano.it

Il ruolo dell’alimentazione in oncologia

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Il ruolo preventivo dell’alimentazione rispetto allo sviluppo del cancro è riconosciuto da molto tempo. Il lavoro di studiosi come Franco Berrino ci insegna che mangiare correttamente, preferendo alimenti di origine vegetale freschi, di stagione e a basso indice glicemico contribuisce a mantenerci in buona salute. La FAO e l’OMS hanno dichiarato che alimenti e nutrizione sono i principali fattori ambientali in grado di influenzare l’induzione di malattie croniche non trasmissibili, in particolare cancro e malattie cardiovascolari.

Ma, oltre all’importanza indiscussa che il cibo svolge come strumento preventivo, qual è il ruolo della corretta e adeguata alimentazione nelle patologie oncologiche?

IMG_3169Dopo la diagnosi e i relativi trattamenti farmacologici, le abitudini alimentari possono fare la differenza e rappresentare un valido supporto alle terapie e alla loro efficacia. Il supporto nutrizionale è caratterizzato, dunque, da tre momenti fondamentali: 1) preparazione pre-terapia; 2) supporto alle terapie; 3) ricostituzione dei substrati e ripristino delle funzionalità.
1). E’ importantissimo, per cominciare, curare la salute dell’intestino prima di intraprendere le terapie oncologiche. E’ noto, infatti, quanto queste possano danneggiare le mucose dell’apparato gastroenterico, l’ecosistema batterico intestinale e il meccanismo fame/sazietà: sistemi in stretta correlazione con la buona salute del miocrobiota intestinale. Mettersi in condizione di affrontare le terapie con tessuti, organi e apparati in buone condizioni è utile ad alleviarne gli eventuali effetti collaterali.
2) . Nel corso dei trattamenti terapeutici (chemioterapici, ormonali, immunologici, chirurgici) l’alimentazione risulta fondamentale per affrontare stati di malnutrizione, stipsi o diarrea, mucositi e nausea, conseguenze di variazioni ormonali e immunologiche. Inoltre, è bene sapere che alcuni alimenti interferiscono con l’efficacia di alcune terapie e che quindi la scelta di come e cosa mangiare può fare la differenza.
3). Una volta terminati i trattamenti farmacologici, il malato oncologico si trova spesso a fare i conti con una stato di malnutrizione, dimagrimento o, al contrario, di sovrappeso. A questo punto, la riabilitazione nutrizionale e, quando necessaria una buona e specifica integrazione, rappresenteranno strategie adeguate per ritornare in salute e fare prevenzione secondaria.

 

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