Archivio tag: microbiota

Ruolo extra scheletrico della vitamina D. Uno sguardo sulle patologie metaboliche e cardiovascolari

Il ruolo e gli effetti extra scheletrici della vitamina D sono noti ormai da almeno un decennio. Nel 2023 è uscita un’interessante revisione relativa alla relazione fra questa sostanza e le basi molecolari delle patologie metaboliche e cardiovascolari. In particolare, il lavoro, peraltro a firma di ricercatori italiani, raccoglie dati e osservazioni provenienti dai numerosi studi epidemiologici e osservazionali relativi al rapporto fra vitamina D e citochine pro- e anti- infiammatorie che influenzano l’azione dell’insulina, il metabolismo lipidico e le funzioni del tessuto adiposo .
Eccone una sintesi ragionata, con i link alla bibliografia più importante e alcuni approfondimenti.

Vitamina D

  1. La vit. D è un pro-ormone liposolubile sintetizzato attraverso un fenomeno di fotolisi del precursore 7-deidrocolesterolo indotta dai raggi UV assimilabile dagli alimenti che ne sono ricchi [pesci grassi (25 microg/100 g), tuorlo dell’uovo, olio di fegato di merluzzo (210 microg/100g), alimenti fortificati]. Quando vi è un’adeguata esposizione alla luce solare, l’organismo è in grado di sintetizzare la vit. D per coprire i suoi fabbisogni. Se non si ha l’occasione o l’abitudine di esporsi regolarmente al sole, è necessario acquisire vit. D dagli alimenti.

    Una volta acquisita o prodotta, la vit. D deve subire due reazioni di idrossilazione, la prima delle quali avviene nel fegato a cui arriva attraverso il circolo sanguigno, legata a una proteina di trasporto (vit D binding protein, DBP). Da questa prima idrossilazione deriva la 25-idrossivitamina D (25-OH-D) che, trasportata da DBP ai tubuli renali, subisce la seconda idrossilazione.Ne deriva 1,25 – diidrossivitamina D (1,25-(OH)2- D), cioè la forma attiva della vit. D.

Effetti scheletrici: agendo in sinergia con l’ormone paratiroideo (PTH), è responsabile della regolazione della calcemia, promuovendo il riassorbimento intestinale di calcio e contribuendo così a una mineralizzazione ossea adeguata.

Effetti extra-scheletrici: data la presenza in vari tessuti di recettori ed enzimi idrossilanti, la vit. D ha effetti pleiotropici, in particolare ormonali, antinfiammatori, antiapoptotici, antifibrotici, antiossidanti e immunomodulatori. Fra questi effetti, sono centrali e importanti, quelli sul metabolismo lipidico e glucidico, in particolare quelli sulla resistenza insulinica che si esplicano attraverso la riduzione dell’espressione di alcune citochine infiammatorie, come l’interleuchina-1 (IL-1) [1, 2, 3]

Vit. D e insulino-resistenza (IR)

Fonte L’Endocrinologo (2022) 23:380–385 https://doi.org/10.1007/s40619-022-01131-3

L’insulino resistenza è una condizione basata sull’alterazione del processo di trasduzione del segnale dell’insulina, per cui concentrazioni di normali o aumentate dell’ormone producono un effetto biologico attenuato. L’IR si manifesta con un quadro clinico variabile, noto come sindrome da insulino-resistenza, che include alterazioni metaboliche, obesità viscerale, danno d’organo e associazione con altre patologie: sindrome dell’ovaio policistico, sindrome metabolica, sindrome delle apnee ostruttive del sonno, malattie neurodegenerative, persino patologie neoplastiche.
E’ stata dimostrata la relazione inversa fra la carenza di vit. D e l’indice HOMA-IR, utilizzato per quantificare la resistenza all’insulina e la funzione delle cellule beta del pancreas. Un’adeguata integrazione riduce l’IR e i livelli circolanti di insulina. La correlazione inversa fra HOMA-IR e IR diventa più forte con l’aumentare dell’Indice di Massa Corporea (IMC).
Al centro di questa relazione così importante (vit. D – RI) ci sono fondamentalmente tre fattori: 1) i recettori per l’insulina; 2) la produzione di citochine proinfiammatorie; 3) i polimorfismi dei recettori della vit. D (VDR) espressi a livello di beta-cellule pancreatiche.

  1. Recettori per l’isulina: la vit. D migliora la sensibilità insulinica aumentando l’espressione del recettore a livello muscolare, epatico e adiposo. Inoltre, promuove la conversione della proinsulina in insulina [4].
  2. Citochine proinfiammatorie: la carenza di vit. D aumenta l’espressione di citochine proinfiammatorie che, nei pazienti con IMC alto e molto alto, possono rappresentare la causa dell’IR. L’obesità, infatti, è associata all’ipovitaminosi D a causa di una minore esposizione alla luce solare comune in queste persone, di uno scarso apporto con l’alimentazione e per l’elevata secrezione di leptina (dal greco leptos = magro, è un ormone di natura proteica principalmente secreto dalle cellule del tessuto adiposo e rappresenta una componente fondamentale nel circuito omeostatico della regolazione del peso corporeo). Gli studi suggeriscono che alti dosaggi di vit. D possono ridurre i livelli circolanti di leptina e l’IR nei pazienti con obesità. Questo effetto sembra legato al legame della vit. D ai suoi recettori nel nucleo paraventricolare ipotalamico, regione che modula l’appetito e la sazietà [4].
  3. Recettori pancreatici VDR: la funzione della beta-cellule pancreatiche può essere influenzata direttamente dalla vit. D attraverso il suo legame con VDR che attiva la produzione di insulina. D’altra parte, la secrezione di insulina dipende strettamente anche dai livelli di calcio: la vit. D legandosi ai suoi recettori pancreatici sollecita l’ingresso di questo ione delle beta-cellule [4, 5, 6]

Vit. D e diabete mellito di tipo 2 (DMT2)

Il DMT2 è una patologia metabolica cronica caratterizzata da una inadeguata produzione di insulina e dal conseguente innalzamento dei livelli di glucosio ematici. Costituisce un fattore di rischio importante per patologie cardiovascolari e per complicanze come malattia retinica, ictus, infarto, insufficienza renale. In molti casi, la diagnosi di DMT2 è preceduta da una fase caratterizzata da livelli di glucosio nel sangue superiori alla norma, ma non così elevati da determinare un diabete conclamato e da elevati livelli di insulina circolante. In tutto il mondo moltissime persone presentano una condizione cosiddetta pre-diabetica senza esserne consapevoli: secondo l’OMS ne soffrono 762 milioni. La condizione di prediabete e quella di diabete conclamato sono strettamente connessi all’obesità (anche se in alcuni casi si può assistere a queste alterazioni metaboliche in persone normopeso o lievemente sovrappeso).
La carenza di vit. D è associata alla condizione di prediabete e alle complicanze micro e macrovascolari secondarie al DMT2.

Una recente metanalisi evidenzia come l’integrazione di vit. D aumenti la sensibilità all’insulina e migliori l’omeostasi glucidica, oltre che attraverso i meccanismi sopracitati, anche attraverso la modulazione dei livelli di paratormone e gli effetti di citochine antinfiammatorie [7].
In accordo con lo Studio prospettico sul diabete nel Regno Unito (UKPDS) i parametro d’elezione per valutare le modificazioni a lungo termine della glicemia è l’emoglobina glicata (HbA1c). Sia l’UKPDS che ulteriori importanti studi indicano come l’integrazione di vit. D possa ridurre i livelli di HbA1c come riflesso alla riduzione di IR [8, 9].
A livello di tessuto adiposo, la vit. D può ridurre lo stato infiammatorio. Sebbene fegato e reni siano i più ampiamente riconosciuti siti del metabolismo della vit. D, anche gli adipociti possiedono la capacità di metabolizzarla. Molti studi in vitro che utilizzano linee cellulari umane di preadipociti sottocutanei e cellule staminali mesenchimali hanno dimostrato, infatti, che la vit. D modula la differenziazione dei preadipociti in adipociti maturi e agisce a diversi livelli per modulare l’infiammazione adiposa [10].
Per quanto riguarda il tessuto muscolare, sappiamo nella fase post-prandiale, esso smaltisce il 70-90% del glucosio circolante, e che livelli adeguati di vit. D sono coinvolti nel miglioramento di questo meccanismo muscolare [11, 12, 13].
E’ stato dimostrato che la carenza di vit. D può essere coinvolta nelle complicanze microvascolari e macrovascolari, come la retinopatia diabetica e l’aterosclerosi periferica e carotidea. L’effetto diretto della vit. D sul tono vascolare riduce inoltre l’afflusso di calcio ai vari tessuti [14,15].
Il livello di vit. D è inoltre legato in modo inverso alla pressione arteriosa. Un importante studio del 2021 suggerisce che i livelli sierici di vit. D sono indipendentemente associati a valori di pressione arteriosa alta e al rischio di ipertensione incidente in una popolazione di mezza età . Oltre alla correlazione negativa tra livelli di vit. D e pressione arteriosa in soggetti non ipertesi, lo sviluppo di ipertensione in pazienti con pressione arteriosa normale in un follow-up di 8 anni è un risultato sorprendente [16]. Tuttavia saranno necessari ulteriori studi di popolazione con un ampio numero di pazienti per valutare il ruolo dell’integrazione e/o dei livelli sierici di vit. D nel prevenire o ritardare lo sviluppo di ipertensione nei pazienti pre-ipertesi.
Uno studio più datato suggerisce che le proprietà antipertensive e protettive dei metaboliti della vit. D sono da attribuire all’inibizione della sintesi della renina da parte della 1,25(OH)2D nel rene [17].

Vit. D e diabete mellito di tipo 1 (DMT1)

Il DMT1 è una patologia autoimmune in cui il sistema immunitario distrugge le beta-cellule del pancreas che producono insulina, portando a una carenza o assenza di questo ormone. La prevalenza di questa patologia è aumentata progressivamente negli ultimi decenni nella maggior parte dei paesi (dai un’occhiata all’epidemiologia).
Le conoscenze attuali indicano che la vit. D potrebbe avere un ruolo positivo nella prevenzione di altre patologie autoimmuni concomitanti e di complicanze gravi. Essa infatti svolge una funzione importante nello sviluppo dell’autotolleranza. Questa relazione è dovuta alla presenza di recettori VDR in tutto il corpo e l coinvolgimento della vit. D nella modulazione dello stato infiammatorio: tala scoperta ha notevolmente ampliato gli studi sugli effetti extra-scheletrici di questa sostanza [18]. Si tratta infatti di una caratteristica molto interessante nel caso del DMT1, in quanto nel pancreas di pazienti affetti da questa patologia è presente un infiltrato infiammatorio composto da linfociti T e B e da macrofagi, cellule bersaglio della vit. D. E’ stato visto che nei modelli animali di DMT1 alte dosi di vit. D contengono e arrestano la progressione infiammatoria, come indicato dalla riduzione quantitativa di linfociti T effettrici e l’attivazione di cell. T regolatrici [19, 20, 21].

Vit. D e diabete mellito gestazionale (DMG)

Il DMG è la condizione clinica più frequente in gravidanza ed è caratterizzato da una intolleranza al glucosio con iperglicemia (qui trovi una descrizione completa e accessibile anche ai non addetti ai lavori).
Una delle modificazioni fisiologiche in gravidanza riguarda proprio il metabolismo della vit. D: i suoi livelli aumentano all’inizio della gravidanza e raggiungono i valori più alti nel terzo trimestre (2-3 volte maggiori rispetto allo stato pre-gravidico) [22]. Tra i fattori che possono svolgere un ruolo nell’insorgenza del DMG vi è l’infiammazione cronica di basso grado [23, 24]: in questo contesto può agire positivamente un buon livello di vit. D . E’ stato visto che bassi livelli di vit. D innescano risposte infiammatorie attraverso la via del nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells (NF-kB), un complesso proteico che agisce come fattore di trascrizione, fondamentale per la risposta delle cellule a stimoli come infiammazione, infezioni, stress e danni cellulari. Inoltre, bassi livelli di vit. D sono legati a un aumento della specie reattive dell’ossigeno (ROS) nelle beta-cellule pancreatiche che ne provocano la morte [25].
In questo processo infiammatorio sono coinvolti anche alcuni geni protettivi inattivati dal processo di ipermetilazione. E’ stato dimostrato che la vit. D è protettiva nei confronti di queste modificazioni genetiche [26], oltre che nei confronti dell’eccessivo aumento di peso [27], altro fattore di rischio per DMG.
Una interessante metanalisi fa il punto sugli studi condotti negli ultimi anni riguardo agli effetti dell’integrazione di vit. D in gravidanza, sottolineando come questa migliori i livelli di lipidi nel sangue di pazienti con diabete gestazionale e riduca gli esiti avversi nei neonati [28]. Questi dati sono in accordo con numerosi studi precedenti [29].

(Per una lettura tecnica su classificazione e diagnosi di DM, puoi leggere questo)

Vit. D e sindrome metabolica (MetS) e malattie cardiovascolari (CV)

(immagine modificata)

Secondo la recente definizione dell’OMS, del National Cholesterol Education Program (NCEP) Adult Tratment Panel III (ATP III) e dell’Internatione Diabetes Federation (IDF), con il termine Sindrome Metabolica si indica un insieme di alterazioni anatomiche e biochimiche caratteristiche: aumento della circonferenza vita, aumento dei trigliceridi, bassi livelli di colesterolo HDL, elevata glicemia, elevata pressione arteriosa ([30]. Gli individui che mostrano queste caratteristiche sono ad alto rischio di contrarre malattie cardiovascolari e DMT2.
E’ stato visto che la carenza di vit. D è un fattore di rischio per la MetS [31], in quanto, in ragione dell’ubiquità dei recettori VDR, la sua presenza induce protezione ossidativa attraverso sistemi antiossidanti come la glutatione perossidasi e la superossido dismutasi, oltre che attraverso l’inibizioni di specie reattive dell’ossigeno [32, 33]. Inoltre, la vit. D risulta essere un regolatore trascrizionale diretto della sintesi endoteliale di ossido nitrico (NO) [molecola con funzioni anti-trombolitiche, anti-infiammatorie, protegge dall’aggregazione piastrinica e dall’adesione dei globuli bianchi alle pareti vascolari, prevenendo la formazione di coaguli e l’aterosclerosi] [34]. Nonostante l’associazione fra livelli di vit. D e MetS sia controversa per la mancanza di studi longitudinali prospettici, vi sono sufficienti studi per considerare i benefici di una integrazione di vit. D [35, 36, 37].
I meccanismi che sottostanno a questa correlazione potrebbero essere diversi, alcuni dei quali già accennati, come la correlazione inversa fra livelli circolanti di vit. D e obesità addominale (con conseguente aumento di citochine infiammatorie). Poiché questo pre-ormone è liposolubile e viene sequestrato-immagazzinato nel grasso di riserva, è intuitivo che le persone con sovrappeso e obesità abbiano bassi livelli circolanti di vit. D.
In sintesi, ecco cosa ricordare rispetto al ruolo della vit. D nella MetS:
1) protezione antiinfiammatoria endoteliale;
2) modulazione dell’IR e protezione dal DMT2 e DMG;
3) effetto ipotensivo;
4) prevenzione dell’ipoparatiroidismo;
5) aumento della lipolisi e inibizione della lipogenesi.

Molti studi indicano che l’integrazione di vit. D ha effetti positivi su diversi aspetti della MetS: in particolare sul miglioramento del profilo lipidico, sulla IR, sulla proteina C reattiva (PCR), sulla modulazione della glicemia a digiuno.
Qui troverai una tabella relativa agli studi sull’integrazione e i suoi effetti sulle patologie analizzate. Queste invece sono le ultime linee guida relative all’integrazione per prevenire l’oseoporosi; dai anche un’occhiata alle raccomandazioni relative all’assunzione nelle varie fasce d’età.

Per completezza, mi sembra importante aggiungere un’altra tessera a questo mosaico così interessante e complesso. Una quantità crescente di studi ha valutato gli effetti della vitamina D sul microbiota intestinale soprattutto nel campo delle  malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), condizioni multifattoriali in cui la disbiosi gioca un ruolo di primo piano nell’innesco e mantenimento delle lesioni [38].  Bassi livelli di vit. D in pazienti affetti da queste patologie e, soprattutto, la relazione dei livelli sierici con l’attività di malattia, il rischio di recidiva, le risposte alle terapie o il loro fallimento alle terapie hanno determinato un crescente interesse sul possibile ruolo nella patogenesi delle MICI. Studi su modelli sperimentali suggeriscono da una parte che modifiche epigenetiche indotte dall’infiammazione intestinale possano ridurre l’espressione del gene codificante il recettore nucleare della vitamina D [39] e, dall’altra, che la via di segnale vit. D/VDR possa regolare diversi fattori coinvolti nell’infiammazione intestinale [40, 41]. In particolare, la vit. D sembrerebbe influenzare l’integrità della barriera intestinale modulando l’espressione di componenti delle giunzioni strette e aderenti e favorendo il rilascio di peptidi antimicrobici (catelicidine, beta-defensine) da parte delle cellule di Paneth e di mucine, esercitando un effetto immunomodulante sia inibendo il rilascio di citochine pro-infiammatorie, sia favorendo il rilascio di quelle antinfiammatorie e l’induzione di linfociti T regolatori [42].
Importante è anche la relazione inversa, cioè l’effetto che la somministrazione di probiotici può produrre sull’assorbimento e quindi sulla disponibilità della vitamina D. Un chiaro esempio è fornito dal miglioramento degli assorbimenti nella contaminazione batterica dell’intestino tenue in cui per cause diverse si verifica una sovraccrescita/contaminazione della flora intestinale per via discendente o ascendente. Le cause più comuni sono: l’insufficiente secrezione di succo gastrica (da terapia cronica con prazoli, da gastrite atrofica autoimmune o da interventi chirurgici), le alterazioni della motilità (soprattutto in corso di diabete, malattie autoimmuni sistemiche come la sclerodermia, diverticolosi, stenosi, by-pass intestinali) e della valvola ileo-ciecale (da malattia di Crohn o interventi chirurgici) [43].

Formazione di ac. grassi a catena corta, fra cui il butirrato. Fonte: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37422149

Tuttavia esistono ancora poche evidenze relative all’utilità dell’ntegrazione probiotica in questo contesto [44, 45, 46, 47].
Vale la pena sottolineare la possibile interazione funzionale tra microbiota residente e/o probiotici e il VDR. In modelli animali di colite, infatti, l’azione antinfiammatoria del butirrato potrebbe essere connessa all’aumentata espressione genica del VDR indotta dallo stesso composto [48].

 

 

 

 

Conclusioni

La corposa mole di studi e dati derivati indica l’importanza del ruolo protettivo della vit. D nell’eziogenesi di patologie metaboliche, autoimmuni e intestinali. Le sue funzioni extra-scheletriche sono ben documentate da tempo, pertanto il monitoraggio e l’eventuale integrazione sono ritenuti indispensabili al fine di migliorare sia la salute scheletrica che quella metabolica e prevenire patologie connesse alla carenza vitaminica D.

 

Potrebbe interessarti anche Nutrizione e infiammazione in menopausa

 

 

Sindrome dell’intestino irritabile – collaborazioni

Oggi il blog ospita un articolo scritto insieme al dott. Antonio Di Presa, osteopata. L’argomento è la Sindrome dell’intestino irritabile. 
Buona lettura!

In una situazione mondiale dove l’aspettativa di vita va sempre più allungandosi, aumentano vertiginosamente i disturbi di tipo cronico a cui diventa necessario far fronte, e tra questi, molti ricadono a livello dell’apparato gastro-intestinale.

img: thawkwardyeti.com

Una delle situazioni più difficili da gestire è la sindrome dell’intestino irritabile (IBS, o Irritable Bowel Syndrome).

Questo articolo, scritto a 4 mani con la dott.ssa D’Urso, nasce quindi dalla necessità di dare informazioni affidabili su questo complesso argomento, peraltro mai abbastanza conosciuto.

Istruzioni per l’uso

Trattandosi di un approfondimento piuttosto lungo (tempo di lettura: 10 minuti), vorrei riassumere qui i punti chiave per tutte quelle persone che vorrebbero saperne di più, ma non hanno del tempo da dedicare a questo tema:

  • La sindrome dell’intestino irritabile, la cui causa è ancora dibattuta, è diffusissima e mal gestita;
  • Spesso i sintomi hanno un forte impatto sulla qualità di vita della persona affetta;
  • È possibile migliorare lo stato delle persone con IBS attraverso una dieta ed una integrazione probiotica adeguata;
  • Studi molto promettenti vedono nell’osteopatia un valido complemento per alleviare i sintomi da IBS.

Fine.

Soddisfatti? No? Allora, l’articolo per intero è quello che fa per voi. Buona lettura!

Continua a leggere

 

La colite non è un male necessario

Nel mio lavoro di nutrizionista, molto spazio e molto tempo vengono regolarmente occupati dall’attenzione alla funzionalità intestinale, poiché è noto quanto dalla salute del nostro secondo cervello dipenda quella dell’intero organismo e quanto il lavoro preventivo attraverso il cibo passi proprio dalla fisiologia di questa parte del nostro corpo, considerata così poco nobile eppure tanto importante. “Convivo con la colite da sempre!” è una frase che ho sentito pronunciare molte volte e che dà l’idea della rassegnazione con la quale le persone che soffrono di questo disturbo affrontano il disagio quotidiano dell’alvo irregolare. Sia colpa dei dolori, del gonfiore, della stipsi o della diarrea, il disturbo finisce per condizionare la qualità della vita, influenzando l’umore e le attività quotidiane.  Esistono diversi tipi di colite: infettiva, da agenti chimici, nervosa, da antibiotici, ulcerosa. La forma più frequente è rappresentata dalla sindrome dell’intestino irritabile (IBSIrritable Bowel Syndrome, nota anche come colite spastica),  un processo infiammatorio che colpisce circa il 20% della popolazione e che riguarda il colon o parte di esso. I sintomi più frequenti della IBS sono dolori addominali, gonfiore, scariche diarroiche alternate a periodi di stitichezza ostinata. In genere, si osserva l’alternarsi di periodi di remissione e periodi di acuzie e, nonostante non si tratti di una malattia grave, la sua frequenza e la sintomatologia fastidiosa ne fanno una delle patologie dalle conseguenze socio-sanitarie piuttosto considerevoli. Proprio per questo è importante sapere che, dopo la diagnosi di IBS effettuata dal medico specialista, con un piano alimentare adeguato e personalizzato e una particolare attenzione all’equilibrio della componente batterica intestinale è possibile alleviare la sintomatologia, allungare i periodi di remissione e rendere la qualità della vita decisamente migliore. Importantissima, in questo senso, è l’anamnesi che il nutrizionista effettua durante il primo incontro, in quanto l’attività del colon, e dell’intestino tutto, è influenzata, oltre che da fattori generali e accidentali, anche e soprattutto da fattori individuali, fra i quali quelli genetici, alimentari, stressogeni ed emozionali. Ricordiamo, infatti, che l’intestino rappresenta galtl’interfaccia che il nostro organismo interpone fra l’esterno e l’interno: ogni cibo di cui ci nutriamo fa parte dell’ambiente esterno fino a quando non viene assorbito nelle sue singole parti. Inoltre, questa interfaccia è davvero molto complessa dal punto di vista anatomo-funzionale, ricca com’è di tessuto atto all’assorbimento, terminazioni nervose, cellule immunitarie, tessuto neuro-endocrino e componente batterica. Quest’ultima, come è già stato detto in altri articoli di questo blog, rappresenta un vero e proprio organismo nell’organismo, costituendo quello che ormai conosciamo con il nome di microbiota intestinale. Questa ricchezza anatomo-funzionale pone l’intestino al centro di una vasta gamma di funzioni, oltre a quella più nota e comunemente ricordata, dell’assorbimento dei principi nutritivi. Da quest’organo partono infatti stimoli  e segnali neuro-endocrini che regolano l’appetito e la sazietà, il sonno e la veglia, l’umore, la capacità di gestire lo stress. Grazie alla componente immunitaria, continuamente sollecitata e “allenata” dal microbiota in equilibrio, l’intestino si trova al centro delle reazioni di difesa e prevenzione riguardo a molte patologie, non solo infettive. Sempre alla componente batterica dobbiamo anche la produzione di particolari sostanze protettive derivate dalla fermentazione di alcuni componenti alimentari. Alla luce di queste osservazioni, che peraltro mettono in risalto solo alcune delle molteplici funzioni dell’intestino, risulta comprensibile il motivo per cui se l’equilibrio di questo complesso sistema si altera le conseguenze sul nostro benessere sono macroscopiche e considerevoli. Risulterà chiaro quindi che adeguarsi a certi sintomi non solo significa rassegnarsi a sopportare quel fastidioso stato di cose, ma esporre il nostro organismo a deficit e rischi che a lungo termine possono esacerbare patologie più importanti di una semplice colite. E’ il cibo, come spesso accade, la prima vera terapia; esso però, una volta individuato, bilanciato e scelto attraverso un’accurata valutazione dei fabbisogni, dei gusti e della composizione corporea, deve essere supportato e accompagnato da un lavoro attento sulla popolazione batterica che non può e non deve essere considerata come presenza generica e comune, ma come preziosa connotazione personale, un’impronta che ci distingue, che guida e gestisce il nostro modo di compensare, sopperire e reagire. Anche il lavoro sulle emozioni e sulla loro gestione, sullo stress e sulla capacità di farvi fronte, rappresenta spesso una strada parallela auspicabile. La parola d’ordine, comunque, è ancora una volta “personalizzazione”, poiché ognuno di noi è unico. Anche all’interno!

 

 

 

 

 

Informazioni su sedi, orari e modalità operative dello studio nutrizionale

Immagini: la prima è tratta dalla rete, la seconda dal seguente sito: http://www.drkarenfrackowiak.com/

 

 

Dimagrimento e microbiota intestinale.

Fino a qualche decennio fa se qualcuno avesse messo in relazione il peso corporeo con la fisiologia intestinale, probabilmente, sarebbe stato considerato un folle visionario. Una parte così poco nobile del nostro corpo può influenzare il metabolismo e l’effetto delle sue disfunzionalità? Lo avremmo chiesto in tanti, magari senza nascondere un pizzico di scetticismo. Eppure, oggi, nessuno si scandalizza sentendo parlare delle influenze che il secondo cervello può esercitare su molte funzioni del nostro organismo. È ormai noto, infatti, che il metabolismo riceve molti segnali regolatori dall’intestino e, in particolare, che la composizione batterica del microbiota, ovvero l’ecosistema batterico che lo popola, può giocare un ruolo importante nell’instaurarsi dell’obesità e di altre patologie, metaboliche e non.
Recentemente innumerevoli evidenze hanno dimostrato come e in quale misura il microbiota intestinale può contribuite all’instaurarsi di patologie quali sindrome metabolica, insulino-resistenza, obesità e diabete di tipo II. In particolare, esso pare strettamente legato agli assorbimenti, al bilancio energetico, all’omeostasi del glucosio e al grado di infiammazione sistemica legata all’obesità. Esperimenti su campioni fecali umani hanno evidenziato la presenza preponderante di particolari phyla batterici nei profili genetici microbici degli obesi. L’ecologia microbica intestinale e il grasso corporeo negli esseri umani è infatti legato a una minore presenza di Bacteroidetes e a una maggiore presenza di Firmicutes, caratterizzati – questi ultimi – da una maggiore capacità rispetto ad altri batteri di metabolizzare carboidrati non digeribili per estrarne energia. La perdita di peso è legata a una riduzione di Firmicutes, una maggiore presenza di Bacteroidetes e in generale una maggiore biodiversità microbica. Queste importanti modificazioni sono facilitate, supportate e mantenute da uno stile di vita sano e un’alimentazione ricca di prebiotici, ovvero di componenti alimentari necessari a nutrire e mantenere in salute il microbiota.
La letteratura scientifica, quindi, indica una strada possibile e percorribile nel trattamento dell’obesità e del sovrappeso: stile di vita sano, dieta adeguata, microbiota a posto!

Grafico peso
BMII grafici riportati di seguito sono relativi a un percorso di dimagrimento in una mia paziente obesa di 47 anni, che, oltre a cambiare le sue abitudini alimentari attenendosi a un piano dietetico aderente ai suoi gusti ma tendente alla riduzione di picchi glicemici e al maggiore consumo di fibra ,  frutto-oligosaccaridi e galatto-oligo-saccaridi, ha iniziato un protocollo di ripopolamento e mantenimento del microbiota intestinale, a base di particolari ceppi di Lactobacilli e Bifidobatteri. Quest’ultimo strumento ha portato a una maggiore regolarità intestinale e ha coadiuvato la perdita di peso, anche in presenza di una scarsa attività fisica. Ma la cosa che più colpisce in questo percorso, iniziato da nove settimane, è la modificazione del gusto e della richiesta alimentare quotidiana: la signora, infatti, non sente più la necessità di zuccheri semplici e ha ridotto spontaneamente le porzioni delle pietanze, in quanto più sazia e più gratificata dalle nuove sensazioni di benessere che il percorso le procura.

Informazioni su sedi, orari e modalità operative dello studio nutrizionale

Per approfondire:
1475-2859-10-S1-S10
ismej2011212a
http://www.eufic.org/article/it/artid/The_role_of_gut_microorganisms_in_human_health/