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Autoimmunità e nutrizione

Sempre più spessomalattie_autoimmuni_intestino mi capita di incontrare pazienti affetti di malattie autoimmuni o con profili genetici che li prodispongono fortemente ad esse. Fino a pochi anni fa si credeva che lo stile di vita non avesse alcun effetto sul loro andamento. La scienza ha dimostrato recentemente la loro dipendenza dallo stile di vita, in particolare dallo stile alimentare e dai contaminanti ambientali.
Le malattie autoimmuni sono caratterizzate dalll’aggressione dell’organismo da parte del proprio sistema immunitario. Esso, quindi, invece di tollerare i tessuti e gli organi del corpo, li attacca come se fossero estranei e tende a limitarne la funzionalità, fino a renderli completamente inattivi. Alla categoria appartengono patologie croniche, su base infiammatoria, più e meno gravi, spesso con andamento altalenante e recidivante. Ne ricordiamo alcune: artrite reumatoide, morbo di Chron, colite ulcerosa, sclerosi multipla, diabete tipo 1, sclerodermia.

L’alimentazione di chi ha avuto una diagnosi di malattia autoimmune, o di chi sa di essere geneticamente predisposto, deve orientarsi verso il consumo di cibi semplici e un regime alimentare regolare che tenda a prevenire e mitigare l’infiammazione. Rispetto alla pasta e ai comuni prodotti da forno, è importante privilegiare i cereali in chicchi. E’ consigliabile evitare pietanze industriali, anche se biologiche, ed è preferibile acquistare prodotti freschi direttamente da chi li produce, possibilmente dopo aver instaurato un rapporto di fiducia e rispetto reciproco.
I cereali devono essere integrali, le verdure di stagione, fresce e colorate. Bisogna ridurre l’introito di proteine animali, di cibi ricchi di acido arachidonico e acido linoleico (molecole pro-infiammatorie); limitare il più possibile il consumo di grassi trans e integrare la propria alimentazione con vitamina E, vitamina C, selenio e zinco.
Tutto lo stile di vita sarà teso a limitare il più possibile gli stati infiammatori, lo stress e l’ansia. Si raccomanda di curare le ore di riposo e il movimento quotidiano, possibilmente all’aria a perta. Importante anche l’idratazione (2 litri di acqua al giorno).

Immagine tratta dal sito www.mednat.org

Informazioni su sedi, orari e modalità operative dello studio nutrizionale.

 

Ritorno alla normalità

legumi

Dopo le scorpacciate delle lunghe feste natalizie è bene ritornare alla normalità, ricominciando a regolare il nostro ritmo sonno/veglia e riprendendo a fare un’abbondante colazione al mattino. Riconsolidando il primo pasto della giornata, sarà più facile regolarizzare anche gli altri.
Torniamo a fare spuntini vari e leggeri a metà mattinata e metà pomeriggio e a considerare il pranzo come pasto centrale, più ricco e nutriente.
La cena, invece, ritornerà ad essere frugale e non troppo tardiva, permettendoci così una digestione più veloce e un sonno più riposante. In generale, diamo più spazio a frutta e verdura, anche sotto forma di frullati e centrifugati, prediligendo prodotti di stagione e coltivati sul nostro territorio.
Se durante le feste la pigrizia ha avuto la meglio sulla voglia di fare movimento, è il momento di tornare dinamici e concederci ogni giorno delle camminate all’aperto e a passo sostenuto.
Non dimentichiamoci l’idratazione: riposti gli alcolici e le bevande dolci, torniamo a bere l’acqua (vanno bene anche le tisane), abbondantemente anche lontano dai pasti, in modo da liberarci velocemente da tossine e sali in eccesso. Concediamoci, quando gradito, mezzo bicchiere di vino rosso a pasto, purché sia di buona qualità.
Niente sensi di colpa, dunque, e un po’ di buona volontà. In fondo, Natale, viene solo una volta l’anno!

 

(Scritto per Dimensione Agricoltura)

Di terre e di radici

cropped-DSCN5770.jpgNon sono toscana. Vengo da altri profumi, altri colori. Non sono di qua, né per sangue, né per caso. Sono isolana e della mia isola porto dentro l’odore acuto della zagara d’estate e l’ansia degli inverni appena freschi, come degli autunni stremati e lunghissimi.
Sono toscana, invece. Divenuta tale per volere di mio padre e di mia madre. Per scelta mia, dopo, per amore, tenacia e passione. Sono toscana, e sento questa terra come una madre generosa che ha consolato i pianti di nostalgia e condiviso la gioia di sentirmi a casa. Per emozione. Per convinzione.
Cos’è del resto, l’appartenenza a un luogo? Non è forse sentirsene parte? Non è sentire dentro di non potersene separare?
Sembro senza radici, ma non è affatto così. Affondo quelle d’origine sulla mia isola, piena di contraddizioni e bellezze che tolgono il fiato. Sono inquieta come quella terra fatta di lava e mare. Ma ho radici profonde anche qui, e non posso negarlo a me stessa se quando parto non vedo l’ora di tornare e di riempirmi nuovamente gli occhi della mia città e delle mie colline. Dei luoghi che vedono i miei passi, meditabondi, creativi e solitari.
Lungo i sentieri che scelgo per meditare, scorgo campi di un verde intenso che non so descrivere, tanto è particolare. I filari di vite che si rincorrono sulle colline lievi e rigonfie, come grembi fertili di madri in attesa, mi sembrano opera divina, ma poi ci ripenso. Perché divina? Perché, se questa sapienza è tutta umana? Se è dalle mani dell’uomo che sgorga la cura e l’attenzione per questa terra?

Non ho mai lavorato la terra. Faccio altro. E mi rammarico, spesso, di non avere i calli alle mani a testimoniare la mia passione per zolle e per spighe. Mi sento grata a chi mette in fila le viti e trebbia il grano, a chi suda e impreca di fatica e passione. Sono devota alla terra così come a chi la scolpisce con sapienza, rendendo la mia mente appagata da tutta la bellezza che dagli gli occhi arriva all’anima e se ne prende cura.
Cammino, dunque, e penso all’alba dei contadini. La terra è bassa, dicono, per figurarti la loro fatica. La terra è bassa. E camminare tra la fatica di anni di lavoro chino fa un certo effetto.
Scorgere le brutture di altri uomini, levatisi all’alba anch’essi, per cementificare, rubando zolle e sogni e bellezza a tutti noi, fa sgranare gli occhi. Fa tremare i polsi.
La bellezza è di tutti. La terra è di tutti.
E se domani la pioggia non la troverà salda e accudita mi sentirò persa. E se fra un mese al posto di questo sentiero troverò un muro e un cancello mi sentirò orfana e disperata.

 

L’insospettabile utilità di un limite

DSCN7305Questo, proprio, non lo digerisco!”. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase riferendoci a qualcosa (o a qualcuno!) che ci resta sullo stomaco e non riusciamo a mandare giù? Un modo di dire comune, simbolico, tuttavia realistico per indicare il disagio che alcuni alimenti (o persone!) possono causarci.
Ebbene, in fatto di cibo, non tutto ciò che è indigeribile rappresenta fonte di disagio e problemi gastrointestinali. Esistono alcuni carboidrati che non sono digeriti né assorbiti ma che, fermentando all’interno dell’intestino, producono un effetto proliferativo nei confronti di batteri intestinali benefici a discapito di ceppi potenzialmente patologici. È il caso dell’inulina, un oligosaccaride capace anche di mitigare il picco glicemico dopo un pasto e di rallentare il tempo di svuotamento gastrico, prolungando così il senso di sazietà. La trasformazione di inulina nei suoi prodotti di fermentazione, inoltre, porta all’acidificazione dell’ambiente del colon, che rende il ferro contenuto negli alimenti più facilmente assimilabile. Cipolle, agli, asparagi, carciofi, porri, segale, topinambur e cicorie sono fonti di inulina, oligosaccaride di indubbia utilità a dispetto della sua indigeribilità dovuta alla mancanza di un enzima particolare, atto a scindere un tipo di legame chimico presente nella sua struttura. Un esempio, quello dell’inulina, di come in natura un limite possa rappresentare un vantaggio. Perlomeno, in fatto di cibo. Per tutto il resto, basta il buon senso!

Testo e immagine di Giusi D’Urso
Articolo pubblicato su Dimensione Agricoltura, novembre 2014

La scelta impopolare di non prescrivere diete

erebe aromaticheAll’inizio e fino a qualche anno fa, è stata una scelta impopolare. Molti dei pazienti che desideravano dimagrire rimanevano delusi davanti alla mia scelta di non prescrivere alcuna dieta grammata, di non fare pronostici sul numero dei chili da perdere, né conteggi calorici. Si sentivano disorientati. Avevano ragione! La dieta era legge. Peccato che, nonostante la sua diffusione, l’obesità era già, e lo è ancora, una pericolosa epidemia.
Di fatto, la mia proposta di aderire a percorsi alternativi, invece di imporre quantità caloriche e comportamenti rigidi, invece di eliminare categorie di alimenti e dare prescrizioni ferree sul quando, quanto, cosa e come mangiare, sembrava non soddisfare le loro aspettative.
Qualcuno mi confessava che “sentirsi” a dieta ferrea era l’unico modo per dimagrire!

Autofustigazione? Perché?

Di fronte a tanta rigidità ingiustificata mi ponevo molte domande. Possibile che il nostro rapporto col cibo e con l’atto di mangiare debba essere sottoposto a pratiche così rigide? A quale scopo? Con quale autorità una nutrizionista può sostituirsi a “regole” e processi chimici che la natura ha selezionato in migliaia di anni, associando la nutrizione umana alla gratificazione, all’istinto e all’apprendimento incentivante?

Il nutrizionista la sa più lunga della natura? Ma quando mai!limone1

Ho inziato, dunque, contro l’andamento generale, a non prescrivere più diete (se non in casi molto particolari) e a proporre percorsi di educazione alimentare che fornissero strumenti quotidiani, pratici, concreti. Strumenti che aiutassero l’individuo ad autogestirsi, in piena autonomia, nel rispetto assoluto dei propri gusti, delle proprie esigenze e del proprio stato di salute. E, nei casi in cui ci fosse stato bisogno di una prescrizione dettagliata di quantità caloriche e di comportamenti specifici, allora questo doveva verificarsi con la maggiore aderenza possibile a quella situazione, a quella persona! Partendo dal concetto che le esigenze quotidiane individuali sono importanti quanto i fabisogni nutrizionali e che l’anamnesi è, oltre che all’accurata raccolta di dati, anche un momento essenziale e insostituibile di ascolto, ogni percorso doveva inevitabilmente essere “unico”!
Ne è nata così una modalità di lavoro appagante, piena di spunti e di occasioni per approfondire, migliorarsi e aggiornarsi continuamente. Un’idea di fare nutrizione sull’individuo e per l’individuo, senza lasciarsi asservire alla bilancia e ai modelli estetici ricorrenti; partendo dalla letteratura e dalla conoscenza, trasferendo saperi in modo fruibile, in scienza, coscienza e rispetto per ogni bisogno, per ogni risposta, per ogni richiesta.

Faticoso! Ma estremamente appagante!

Oltre alla relazione empatica, diretta e arricchente con il paziente, uno dei passaggi più gratificanti della mia professione è la creazione di reti e team di lavoro, attraverso il coinvolgimento di altre professionalità. Perché? Qual è la necessità di avere relazioni con aziende agricole, GAS, esperti in educazione motoria, medici specialisti, educatori, pedagogisti clinici, psicologi, operatori culturali, artisti? Dove sta il vantaggio?
La risposta sta in una frase tanto banale quanto significativa: il cibo è molto più che nutrimento per il corpo! E chi fa il mio lavoro dovrebbe, a mio avviso, tenerne conto come e quanto tiene conto della biochimica e della fisiologia. Ogni individuo lega il suo cibo alla memoria, agli affetti, alle proprie esperienze, al proprio territorio, al proprio senso di gratificazione sensoriale (diverso, da un individuo all’altro) oltre che al proprio metabolismo. Come si può non tenerne conto?

Il nutrizionismo fra scienza, relazione umana e cultura. Perché no?

Attualmente, mi pare, il “bisogno” manifesto è quello di “imparare a mangiare bene”. In questa richiesta assoluta e spesso urgente sono racchiusi molti altri bisogni; in primo luogo quello di acquisire strumenti certi, fruibili, pratici che non servano solo a risolvere il momentaneo problema del sovrappeso, dell’ipercolesterolemia o della disbiosi intestinale, ma che accompagnino per la vita, rendendo i comportamenti alimentari una buona pratica quotidiana. Il resto è concatenato al modo di essere di ognuno: il cibo, come già detto, trova spazio nelle vita e costruisce relazioni, connessioni, organiche, emotive e sociali.
L’impopolarità iniziale della mia scelta professionale sì è trasformata, dunque, in spinta motivazionale e ha fatto del mio lavoro la strada che ogni giorno percorro con convinzione, certa che la prevenzione (sia primaria che secondaria), il supporto nutrizionale (sia in patologia che in fisiologia) e l’educazione alle buone pratiche debbano passare dallo studio continuo, dalla relazione e dall’ascolto, e non dalla mera e distaccata prescrizione di scelte e quantità “preconfezionate”.

 

 

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Immagini di G. D’Urso e de La MezzaLuna

La convivialità: momento da tutelare

IMG_3038A tavola non accendete la tv. Confrontatevi. Raccontatevi storie, che siano quelle di un tempo o la giornata appena trascorsa. Guardatevi negli occhi, indovinate l’uno i sentimenti degli altri. Non perdetevi l’occasione di ascoltarvi e riconoscervi, ogni giorno, fra i profumi del pasto condiviso e l’allegro tintinnio di posate.

 

Immagine di Giusi D’Urso

Elogio (moderato) del digiuno

cropped-spuntino1.jpgAl mondo esistono popolazioni molto longeve e sanissime, in grado di procreare fino a tarda età e invecchiare in buona salute. Come ad esempio, gli Hunza, che vivono al confine nord del Pakistan, all’interno di una valle sulla catena Himalayana, mangiano poco e vegetariano, digiunano nei mesi invernali in cui la natura offre loro ben poco cibo, e si muovono molto.
La scienza, d’altra parte, sostiene che la riduzione calorica e, addirittura, brevi periodi di digiuno insieme all’esercizio fisico hanno la capacità di stimolare le funzioni di riparazione di danni tessutali dovuti all’ossidazione, all’invecchiamento e ai prodotti metabolici. Molti studiosi sostengono che sopportare il senso della fame per qualche ora, più di una volta a settimana, aiuta a liberarsi delle tossine accumulate dopo i pasti.
Da nutrizionista non posso che approvare, diffondere e condividere ciò che la scienza ha dimostrato. Ritengo però che tra la tendenza – ahinoi!- così comune a riempirsi fino a scoppiare e il digiuno elogiato dagli studiosi ci sia un ottimo margine di miglioramento del proprio stile alimentare che permette di affrontare il tema della prevenzione a tavola con maggiore moderazione e concretezza. Insomma, diamoci obiettivi raggiungibili!
Se siete dinamici e i vostri pasti sono frugali ed equilibrati, non avrete motivo di preoccuparvi. Se non è così, allora imparate a muovervi ogni giorno e ad alzarvi da tavola non appena il senso di sazietà farà capolino fra la bocca e il piatto!

 

Pubblicato su Dimensione Agricoltura.

Briciole di buon senso

DSCN6597Torno su Pollicino, il bambino alto giusto un pollice che per non perdere la strada del ritorno disseminava chicchi di grano ammuffito. Da bambina me la raccontavano diversamente: Pollicino sbriciolava con perizia un tozzo di pane, le cui briciole venivamo beccate dai corvi. Comunque sia andata davvero, la storia di miseria e disperazione dei due genitori poverissimi che si vedono costretti ad abbandonare i propri figlioletti nel bosco, mette tristezza e mi ricorda quella di popoli lontani, ma nemmeno poi tanto, che non possono assicurare pasti quotidiani ai loro bambini.

Appartengo alla generazione in cui un bambino, quando faceva i capricci a tavola, si sentiva dire spesso “vergognati, ci sono bambini che non hanno nulla da mangiare!”. Forse è per questo che la favola di Pollicino mi ha sempre colpito e che a buttare via il cibo mi sento male.

Tuttavia, da piccola non capivo il peso di quell’esternazione. Cosa c’entravano i capricci a tavola con i bambini africani affamati? Non coglievo bene il senso del rimprovero, se non quello di una sorta di “colpa” che incombeva anche sulla mia testa per il solo fatto di essere nata in una famiglia e in un paese in cui non c’era una tale miseria.

Con stupore, mi rendo conto che affermazioni del genere si ripetono oggi in molte famiglie e in molti momenti conviviali, in cui il bambino di turno, se non mangia o lascia qualcosa nel piatto, attira l’attenzione di tutti gli adulti presenti e viene sottoposto al solito rituale che lo giudica inesorabilmente colpevole di spreco! (Continua a leggere su manidistrega.it)

Quanto ci piace mangiare!

cropped-donne-allopera.jpgFino a qualche decennio fa, per spiegare il ricorso al cibo avremmo scritto e sostenuto che quando nel nostro organismo i nutrienti energetici calano al di sotto di un certo valore soglia percepiamo la necessità di mangiare. Oggi sappiamo che questa spiegazione non basta: non mangiamo solo per colmare carenze energetiche e nutritive. Nell’atto del cibarsi si celano molte e complesse relazioni fra sensi, ambiente, metabolismo e genetica. Dal punto di vista biologico, insomma, l’essere umano mangia perché ha fame, ma quest’unica motivazione non basta, in realtà, a guidare le sue scelte alimentari. Ecco alcuni dei motivi per cui ci piace tanto mangiare.

Gli alimenti che abbiamo a disposizione hanno la capacità di incentivare la scelta e l’approvvigionamento a seconda del momento e del contesto in cui vi siamo esposti. Lo stesso cibo, quindi, può apparire più o meno accattivante a seconda dei momenti in cui veniamo a contatto con esso. Ne è un chiaro esempio la tendenza ad acquistare cibarie anche superflue quando andiamo a fare la spesa a stomaco vuoto. In quel momento subiamo l’anticipazione del piacere di mangiare, più che l’esigenza di introdurre nutrienti energetici. Pensiamo anche all’appetibilità di un gelato in una calda giornata estiva, rispetto all’attrazione che può suscitare in montagna, in un pomeriggio d’inverno! Ci sono, dunque, condizioni ambientali fortemente incentivanti.

È interessante notare quanto pesi sulle nostre scelte alimentari l’aspetto di un prodotto (chi si occupa di pubblicità la sa lunga!) che ha spesso poca o nessuna relazione con il suo valore nutrizionale. Esso può creare aspettative di stimolazioni sensoriali gradevoli che spingono alla scelta. Negli anni ’80 del secolo scorso fu condotto un esperimento sulla relazione fra la dolcezza percepita e il colore di una bibita a base di succo di limone e lime, condotto su individui di 20-25 anni, cui venivano somministrate bibite con 5 intensità diverse di colore e 5 livelli diversi di dolcezza. I risultati dell’esperimento evidenziarono che le persone giudicavano progressivamente più dolci, e quindi più gradevoli, le bibite con il colore progressivamente più intenso. Il sapore dolce, peraltro, preferito sin dai primissimi istanti di vita, è motivo di comportamenti atavici ed ha un valore altamente evolutivo, poiché i cibi dolci rappresentano in genere una fonte immediata di energia.
È stato provato, inoltre, che esiste una connessione tra piacere sensoriale e desiderio di carboidrati e, in particolare, fra carboidrati e umore. Chi sente il bisogno urgente di mangiare zuccheri (semplici o complessi) riferisce in genere di provare sensazioni negative quando si priva di carboidrati: malumore, ansia, spossatezza. Il miglioramento dell’umore successivo alla “ricompensa” fa sì che quel tipo di scelta venga ripetuta. Questo comportamento, però, può indurre a un eccessivo introito di cibi energetici e quindi a un conseguente aumento ponderale. È necessario, quindi, imparare a scegliere i carboidrati, ad evitare il più possibile quelli ad alto indice glicemico e ad associarli ad altri fonti nutritive che ne completino il profilo nutrizionale.

Anche la convivialità, ovvero l’abitudine di stare a tavola insieme ai nostri cari e ai nostri amici, rappresenta un incentivo positivo al consumo di cibo, poiché associamo le sensazioni gradevoli degli alimenti (in genere, i più graditi o  che ci incuriosiscono di più) a quelle della compagnia e della condivisione. È noto a tutti quanto possa essere difficile percepire la sazietà e smettere di mangiare quando si è in compagnia al ristorante!

La voglia di mangiare e, in particolare, quella di “gustare” fa parte di noi. Si sviluppa e si manifesta in vari modi e cela relazioni profonde e imprescindibili fra la nostra fisiologia e tutto quello che, ci piaccia o no, fa parte della nostra storia e della nostra quotidianità.

Chissà che saperlo non ci renda più competenti nelle scelte e più immuni ai sensi di colpa!

 

(pubblicato anche su La MezzaLuna)

Alimentarsi da grandi!

ortaggiLa cosiddetta terza età è, per il nostro Paese, una vera e propria risorsa. In un momento sociale così difficile, la presenza degli anziani che aiutano e supportano i figli e, spesso, le loro famiglie, rappresenta un bene preziosissimo. Ma quanti sono e come stanno?
Secondo le stime dell’Istat, nel 2001 in Italia gli ultrasessantacinquenni ammontavano a circa il 18% della popolazione italiana. Oggi, si stima che entro il 2030 potrebbero essere il 26,5% della popolazione. Inoltre, negli ultimi 20 anni il tasso di over 80 è aumentato del 150%.
Secondo il rapporto “Stato di salute e prestazioni sanitarie nella popolazione anziana” del Ministero della Salute, la popolazione anziana italiana determina il 37% dei ricoveri ospedalieri ordinari e il 49% delle giornate di degenza.
L’allungamento della vita ci pone di fronte a una maggiore incidenza di patologie, soprattutto croniche e ci chiama a riflettere sul ruolo fondamentale della prevenzione in giovane età. I problemi di salute, infatti, non sono una conseguenza inevitabile dell’invecchiamento, in quanto per molti di essi si conoscono strumenti preventivi efficaci, quali, ad esempio, la sana alimentazione, di cui spesso abbiamo parlato in questa rubrica.
Per imparare a mangiare bene, però, non è mai troppo tardi in quanto i benefici di uno stile alimentare corretto sono visibili a breve termine, anche su individui anziani già malati.
Si raccomanda il consumo giornaliero di fonti proteiche, alternando e variando spesso, prediligendo il pesce fra le fonti animali e cereali integrali e legumi fra quelle vegetali. Fondamentale l’idratazione e il consumo abbondante di ortaggi e frutta, freschi e di stagione, che assicurano un adeguato introito di fibre, vitamine, antiossidanti e minerali. Meglio ridurre l’apporto di grassi, privilegiando semmai quelli del pesce azzurro e quelli provenienti da fonti vegetali: olio d’oliva, frutta secca, semi oleosi (girasole, lino, sesamo, zucca). La salute dell’intestino merita un’attenzione particolare: è consigliabile prendersene cura consumando pasti regolari, variando la propria alimentazione e integrando periodicamente la flora batterica. Questo migliorerà gli assorbimenti e le risposte immunitarie.
Importante, mantenere un peso adeguato per non gravare troppo sullo scheletro e tenersi sempre in esercizio, sia fisico che mentale, per facilitare la circolazione, favorire la memoria e curare l’umore.

Artiolo pubblicato su Dimensione Agricoltura di luglio 2014.