Archivio della categoria: biologo nutrizionista

La dieta perfetta

L’attenzione al peso corporeo e alla salute è una buona pratica che permette di star bene con noi stessi e di prevenire gran parte delle patologie. Ma come si fa a perdere il peso in eccesso? Qual è la dieta perfetta? E, soprattutto, esiste una dieta perfetta? Ebbene, se con l’aggettivo perfetta intendiamo adatta a tutti ed efficace sempre e su ognuno di noi, la risposta è no, non esiste. Esiste invece la dieta (dal greco diaita, cioè stile di vita) che possiamo affrontare, sostenere e mantenere nel tempo. Cioè lo stile di vita, compreso quello alimentare, che viene incontro ai nostri bisogni fisici e psicologici; quello che, pur facendoci perdere il peso in eccesso, ci fa stare bene e in equilibrio con le nostre emozioni e con il nostro corpo.

Tuttavia, non è facile come sembra. Le buone pratiche alimentari si acquisiscono modificando comportamenti spesso radicati in profondità. Sostituire le vecchie abitudini con quelle nuove richiede molta motivazione. Le nuove pratiche devono risultare quindi sostenibili e, se possibile, gratificanti per l’individuo che si appresta a fare un percorso di recupero del peso salutare. Per questo motivo non è necessario e nemmeno consigliabile sottoporsi a estenuanti percorsi restrittivi, pieni di rinunce e frustrazioni, né delegare il proprio dimagrimento a fantasiosi e improbabili sistemi promossi in rete o a miracolose pozioni che sostituiscono i pasti. In assenza di patologie, infatti, il percorso migliore è quello che rende pro-attivi e consapevoli e che offre all’individuo la possibilità di acquisire nuovi e migliori strumenti di scelta e gestione del proprio cibo. Imparare a mangiare bene, a muoversi e a prendersi cura di sé è importante e si può imparare: ognuno con i propri tempi, con le proprie abilità e propensioni. A condizione, ovviamente, di volersi bene.

Articolo pubblicato su Dimensione Agricoltura – febbraio 2020

 

Riabilitazione nutrizionale nei disturbi alimentari infantili: chi detta il ritmo di marcia?

Quando un bambino piccolo smette di mangiare o riduce drasticamente la gamma di alimenti quotidiani, i genitori giustamente si preoccupano della sua crescita e della sua salute. Nei casi in cui non si tratti di una neofobia o di un disagio transitori, è necessario approfondire il fenomeno rivolgendosi a professionisti in grado di farlo.
Nel mio studio arrivano spesso bambini con scarso appetito e con alimentazione selettiva, inviati dai pediatri o per iniziativa spontanea dei genitori. Come altre volte ho precisato, per fortuna non si tratta sempre di disturbi alimentari e spesso il problema si risolve in modo spontaneo e rapido. Quando invece il disagio persiste, è necessario ricorrere alla riabilitazione nutrizionale che ha fondamentalmente due scopi: 1) recuperare un rapporto sereno con il cibo; 2) ripristinare un’alimentazione adeguata che garantisca la copertura dei fabbisogni nutrizionali e la crescita in buona salute. Per procedere sono necessari un’attenta e profonda anamnesi nutrizionale e clinica, la valutazione dei dati antropometrici attuali e pregressi del bambino, del rischio nutrizionale, del comportamento alimentare del piccolo e di tutti gli altri componenti della famiglia. A volte diventa imprescindibile la consultazione di altri professionisti (logopedista, otorino, neuropsichiatra infantile, psicoterapeuta, terapista occupazionale). Il percorso può non rivelarsi lineare, rapido e semplice come tutti ci auguriamo. E, sembra ovvio ma in pratica non lo è quasi mai, a dettare il ritmo di marcia è proprio il bambino, con le sue risposte, i suoi progressivi adattamenti, le sue paure e le sue naturali abilità.
Cosciente del livello di frustrazione e preoccupazione dei genitori, ho l’abitudine di comunicare subito, al primo colloquio, che la complessità e la durata di questi percorsi sono imprevedibili a priori. E’ necessario comprendere infatti che, quando per un bambino piccolo il cibo diventa un nemico da cui difendersi e motivo di disagio profondo, il percorso di riabilitazione nutrizionale non può limitarsi a una mera prescrizione dietetica e, cosa importantissima, deve tener conto dell’individualità: ogni bambino ha il suo passato, le sue esperienze, il suo stato di salute, la sua genetica, i suoi genitori, le sue relazioni. A volte dico alle mamme e ai papà che bisogna andare a riprendere il loro bambino là dove ha interrotto la sua relazione pacifica e naturale con il cibo: tornare indietro, anche fino allo svezzamento, o ancora prima, alle primissime esperienze sensoriali, per ricostruire, rassicurare, lasciarlo sperimentare, manipolare, gustare. Fino a raggiungere quel grado di esperienza, fiducia e gratificazione che ogni essere umano costruisce intorno all’alimentazione durante la propria crescita.
Non è facile spiegare a priori in cosa consiste un percorso del genere, per il semplice motivo che non ne esiste uno uguale all’altro. Ci sono bambini che necessitano di innumerevoli assaggi prima di fidarsi di un certo sapore o dell’aspetto di quel dato alimento. Altri, invece, hanno difficoltà con le tessiture dei vari cibi: per cui si procede con la manipolazione e l’integrazione dei vari sensi che concorrono a formare il gusto e l’accettazione. Pertanto, a ogni bambino il suo percorso. Così come a ogni genitore la sua “cassetta degli attrezzi” di educazione alimentare con la quale imparare a gestire i momenti difficili e a procedere per piccoli passi e obiettivi raggiungibili. Imprescindibile, la fiducia nelle abilità del piccolo che, con i suoi tempi e i suoi modi, troverà la strada per svilupparne di nuove e più complete.
Diventare grandi è un’avventura imprevedibile!

 

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Letture consigliate:
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Le mani in pasta
Corpo, cibo e affetti

 

 

Per informazioni e appuntamenti tel. 347 0912780

 

 

Pubblicato il manuale universitario Alimentazione, Nutrizione e Salute

E’ appena stato pubblicato il manuale universitario Alimentazione, Nutrizione e Salute, curato dai professori Luca Debellis e Alessandro Poli, contenente una sezione  relativa alla Ristorazione Collettiva di cui sono autrice. Il testo si può prenotare on-line con uno sconto promozionale.

 

 

Che cos’è l’ARFIDF, cioè Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo? 

Informazioni su ARFID (Avoidant-Restrictive Food Intake Disorder)

  • E’ il secondo disturbo alimentare più comune nei bambini di età pari o inferiore a 12 anni.
  • Può essere diagnosticato in bambini, adolescenti e adulti.
  • Le persone con ARFID sono ad alto rischio per altri disturbi psichiatrici, in particolare l’ansia, depressione, e disturbi del comportamento alimentare (soprattutto, anoressia).
  • Il 20% delle persone con ARFID è di sesso maschile.

 

 

Sintomi

  • Alimentazione monotona e o disordinata caratterizzata da mancanza di interesse per il cibo, estrema selettività, ansia e paure per le conseguenze negative dell’alimentazione (ad es. vomito, soffocamento, reazione allergica).
  • L’alimentazione selettiva non è dovuta alla mancanza di risorse disponibili, né a un pervicace controllo del peso e delle forme corporee (come accade nell’anoressia).
  • Può essere accompagnato da:
    • significativa perdita di peso o mancato aumento di peso e altezza
    • carenza nutrizionale (ad es. anemia sideropenica, carenza vitaminica, ecc.).
    • alterazione del funzionamento psicosociale (poca propensione alle amicizie e alla serena condivisione dei momenti conviviali).

Quando sospettare un ARFID?

  • Assunzione limitata o ridotta accompagnata da malessere generale (mal di pancia, mal di testa, problemi gastrointestinali vari).
  • Mancanza di appetito o interesse per il cibo.
  • Paura di soffocamento o vomito.
  • Incapacità o riluttanza a mangiare davanti agli altri (ad es. a scuola, a casa di un amico, al ristorante).
  • Neofobia non risolta in età scolare.
  • Progressiva riduzione della gamma di cibi accettati.

Conseguenze sulla salute

  • Problemi di crescita sia in peso che in altezza.
  • Malnutrizione per difetto con conseguenti affaticamento, debolezza, unghie fragili, perdita di capelli o capelli secchi, difficoltà di concentrazione e riduzione della densità ossea.
  • Perdita di peso o sottopeso grave.
  • Esposizione ad altre patologie.

Domande più frequenti

  • Si può trattare? Sì, esistono dei protocolli di trattamento basati sulla desensibilizzazione sensoriale, il ripristino della copertura dei fabbisogni nutrizionali e l’educazione alimentare rivolta sia al bambino che alla famiglia.
  • Ci sono patologie che possono esporre più frequentemente all’ARFID? E’ stato visto che i bambini con autismo mostrano una maggiore frequenza di selettività alimentare. Ma ARFID può manifestarsi anche in pazienti con sviluppo tipico che hanno subito piccoli traumi in tenerissima età (vomito frequente, sondino naso-gastrico, o altro).
  • Quali sono i professionisti più adeguati al trattamento di ARFID)? È opportuno ce il paziente sia valutato da un medico (pediatra, neupsichiatra, altro specialista) perché formuli una diagnosi esatta. Sarà compito del nutrizionista provvedere alla riabilitazione nutrizionale e all’educazione alimentare. Rispetto alla desensibilizzazione sensoriale è opportuno affidarsi a personale appositamente formato da cui i genitori possono apprendere gli strumenti necessari a gestire autonomamente il problema. L’importante è affidarsi a professionisti che conoscono questo disturbo alimentare e che hanno strumenti per trattarlo.

(Per informazioni e appuntamenti scrivere a giusi.durso@libero.it, o telefonare al 347 0912780).

Riferimenti bibliografici

Nicely, T., Lane-Loney, S., Masciulli, E., Hollenbbeak, C., & Ornstein, R. (2014). Prevalence and characteristics of avoidant/restrictive food intake disorder in a cohort of young patients in day treatment for eating disorders. Journal of Eating Disorders, 2. Doi: 10.1186/s40337-014-0021-3.

Nicholls, D., Lynn, R., & Viner, R. (2011). Childhood eating disorders: British national surveillance study. The British Journal of Psychiatry, 198, 295-301.

Norris, M., Robinson, A., Obeid, N., ,Harrison, M., Spettigue, W., & Henderson, K. (2014). Exploring avoidant/restrictive food intake disorder in eating disorder patients: A descriptive study. International Journal of Eating Disorders, 47, 495-499.

Ornstein, R., Rosen, D., Mammel, K., Callahan, T., Forman, S., Jay, M., et al. (2013). Distribution of eating disorders in children and adolescents using the proposed DSM-5 criteria for feeding and eating disorders. Journal of Adolescent Health, 53, 303-305.

Zucker, N., Copeland, W., Franz, L., Carpenter, K., Keeling, L., Angold, A., et al. (2015). Psychological and psychosocial impairment in preschoolers with selective eating. Pediatrics, 136, 1-9

Per ulteriori informazioni, si possono consultare i seguenti siti:

https://www.ipsico.it/news/arfid-restrizione-evitamento-cibo-bambini/

https://www.istitutobeck.com/disturbo-evitante-restrittivo-assunzione-cibo

https://www.unabreccianelmuro.org/interventi-sulla-selettivita-alimentare/

https://www.aidap.org/2017/che-cose-il-disturbo-evitanterestrittivo-dellassunzione-del-cibo-arfid/

https://keltyeatingdisorders.ca/wp-content/uploads/2017/04/ARFID_NEDA.pdf

 

 

 

 

Immagini di Giusi D’Urso

 

Un piccolo manuale per i progetti a scuola

Educazione Alimentare a Scuola è il nuovo manuale pratico e illustrato che guida il nutrizionista e l’educatore a strutturare ed effettuare i progetti di Educazione Alimentare a scuola.

Disponibile in formato digitale e cartaceo.
Dai un’occhiata all’indice

La colite non è un male necessario

Nel mio lavoro di nutrizionista, molto spazio e molto tempo vengono regolarmente occupati dall’attenzione alla funzionalità intestinale, poiché è noto quanto dalla salute del nostro secondo cervello dipenda quella dell’intero organismo e quanto il lavoro preventivo attraverso il cibo passi proprio dalla fisiologia di questa parte del nostro corpo, considerata così poco nobile eppure tanto importante. “Convivo con la colite da sempre!” è una frase che ho sentito pronunciare molte volte e che dà l’idea della rassegnazione con la quale le persone che soffrono di questo disturbo affrontano il disagio quotidiano dell’alvo irregolare. Sia colpa dei dolori, del gonfiore, della stipsi o della diarrea, il disturbo finisce per condizionare la qualità della vita, influenzando l’umore e le attività quotidiane.  Esistono diversi tipi di colite: infettiva, da agenti chimici, nervosa, da antibiotici, ulcerosa. La forma più frequente è rappresentata dalla sindrome dell’intestino irritabile (IBSIrritable Bowel Syndrome, nota anche come colite spastica),  un processo infiammatorio che colpisce circa il 20% della popolazione e che riguarda il colon o parte di esso. I sintomi più frequenti della IBS sono dolori addominali, gonfiore, scariche diarroiche alternate a periodi di stitichezza ostinata. In genere, si osserva l’alternarsi di periodi di remissione e periodi di acuzie e, nonostante non si tratti di una malattia grave, la sua frequenza e la sintomatologia fastidiosa ne fanno una delle patologie dalle conseguenze socio-sanitarie piuttosto considerevoli. Proprio per questo è importante sapere che, dopo la diagnosi di IBS effettuata dal medico specialista, con un piano alimentare adeguato e personalizzato e una particolare attenzione all’equilibrio della componente batterica intestinale è possibile alleviare la sintomatologia, allungare i periodi di remissione e rendere la qualità della vita decisamente migliore. Importantissima, in questo senso, è l’anamnesi che il nutrizionista effettua durante il primo incontro, in quanto l’attività del colon, e dell’intestino tutto, è influenzata, oltre che da fattori generali e accidentali, anche e soprattutto da fattori individuali, fra i quali quelli genetici, alimentari, stressogeni ed emozionali. Ricordiamo, infatti, che l’intestino rappresenta galtl’interfaccia che il nostro organismo interpone fra l’esterno e l’interno: ogni cibo di cui ci nutriamo fa parte dell’ambiente esterno fino a quando non viene assorbito nelle sue singole parti. Inoltre, questa interfaccia è davvero molto complessa dal punto di vista anatomo-funzionale, ricca com’è di tessuto atto all’assorbimento, terminazioni nervose, cellule immunitarie, tessuto neuro-endocrino e componente batterica. Quest’ultima, come è già stato detto in altri articoli di questo blog, rappresenta un vero e proprio organismo nell’organismo, costituendo quello che ormai conosciamo con il nome di microbiota intestinale. Questa ricchezza anatomo-funzionale pone l’intestino al centro di una vasta gamma di funzioni, oltre a quella più nota e comunemente ricordata, dell’assorbimento dei principi nutritivi. Da quest’organo partono infatti stimoli  e segnali neuro-endocrini che regolano l’appetito e la sazietà, il sonno e la veglia, l’umore, la capacità di gestire lo stress. Grazie alla componente immunitaria, continuamente sollecitata e “allenata” dal microbiota in equilibrio, l’intestino si trova al centro delle reazioni di difesa e prevenzione riguardo a molte patologie, non solo infettive. Sempre alla componente batterica dobbiamo anche la produzione di particolari sostanze protettive derivate dalla fermentazione di alcuni componenti alimentari. Alla luce di queste osservazioni, che peraltro mettono in risalto solo alcune delle molteplici funzioni dell’intestino, risulta comprensibile il motivo per cui se l’equilibrio di questo complesso sistema si altera le conseguenze sul nostro benessere sono macroscopiche e considerevoli. Risulterà chiaro quindi che adeguarsi a certi sintomi non solo significa rassegnarsi a sopportare quel fastidioso stato di cose, ma esporre il nostro organismo a deficit e rischi che a lungo termine possono esacerbare patologie più importanti di una semplice colite. E’ il cibo, come spesso accade, la prima vera terapia; esso però, una volta individuato, bilanciato e scelto attraverso un’accurata valutazione dei fabbisogni, dei gusti e della composizione corporea, deve essere supportato e accompagnato da un lavoro attento sulla popolazione batterica che non può e non deve essere considerata come presenza generica e comune, ma come preziosa connotazione personale, un’impronta che ci distingue, che guida e gestisce il nostro modo di compensare, sopperire e reagire. Anche il lavoro sulle emozioni e sulla loro gestione, sullo stress e sulla capacità di farvi fronte, rappresenta spesso una strada parallela auspicabile. La parola d’ordine, comunque, è ancora una volta “personalizzazione”, poiché ognuno di noi è unico. Anche all’interno!

 

 

 

 

 

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Immagini: la prima è tratta dalla rete, la seconda dal seguente sito: http://www.drkarenfrackowiak.com/

 

 

Il supporto nutrizionale nelle malattie autoimmini

Un caso di obesità e Artrite Psoriasica.

Fig.1 IMC

Fig.2 Peso

Come già accennato in un articolo precedente, l’alimentazione svolge un ruolo fondamentale nel trattamento delle patologie autoimmuni. Queste patologie sono caratterizzate dall’aggressione dell’organismo da parte del proprio sistema immunitario. Esso, quindi, invece di tollerare i tessuti e gli organi del corpo, li attacca come se fossero estranei e tende a limitarne la funzionalità, fino a renderli completamente inattivi. Si tratta di patologie croniche, su base infiammatoria, più e meno gravi, spesso con andamento altalenante e recidivante. Ne ricordiamo alcune: artrite reumatoide, morbo di Chron, colite ulcerosa, sclerosi multipla, diabete tipo 1, sclerodermia.
L’Artrite Psoriasica (AP) è una malattia reumatica infiammatoria cronica associata a psoriasi. In oltre il 75% dei casi l’insorgenza della psoriasi precede quella dell’artrite. In un paziente con psoriasi il rischio di sviluppare AP è maggiore se ha familiarità per questa malattia, se la psoriasi è estesa e localizzata anche alle unghie o se è presente un particolare antigene (B27 o B7) nel suo sistema HLA (Human Leukocyte Antigens, cioè sistema dell’antigene leucocitario umano, ovvero sistema maggiore di istocompatibilità).
Qual è il ruolo dell’alimentazione nel trattamento di questa malattia? La dieta mediterranea con la sua ricchezza in cereali integrali, ortaggi e frutta stagionali, legumi e la sua povertà in carni fresche e conservate, e l’attività fisica, moderata ma quotidiana, hanno sicuramente un’influenza molto positiva sullo stato infiammatorio dei pazienti affetti da AP. La cospicua presenza di sostanze nutraceutiche ad alto potere antiossidante e antinfiammatorio è in grado di ridurre il dolore, la rigidità articolare e l’attività della malattia. E’ stato visto che la dieta vegetariana, priva o basso tenore di glutine, ha anch’essa un effetto positivo su questa categoria di pazienti. E che un’integrazione accurata e personalizzata ne amplifica ancora di più i benefici. Un fattore molto importante è il controllo del peso corporeo: la perdita dei chili in eccesso garantisce un netto miglioramento della sintomatologia dolorosa e permette una maggiore mobilità ed elasticità. Molto importante evitare il “fai da te” ed affidarsi a chi è in grado di personalizzare il piano alimentare e di fornire strumenti corretti per una autogestione a lungo termine. E’ bene ricordare, infatti, che ogni individuo, che sia ammalato o in perfetta salute, è un organismo a sé, con caratteristiche e peculiarità del tutto originali e personali che la complessità che lo contraddistingue merita attenzione, competenza e rispetto (vedi Si fa presto a dire dieta!).
Il caso.
Con piacere condivido con chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui i risultati ottenuti in una mia paziente di  42  anni, ammalata di AP (giunta alla mia attenzione dopo diagnosi dello specialista) che, oltre a intraprendere una regolare e moderata attività fisica (camminate all’aperto per circa 40-60 minuti al giorno), ha adottato una dieta pesco-vegetariana priva di glutine e caseina. Inoltre, è stata integrata con vitamina D (come da prescrizione medica) e con prebiotici e probiotici adeguati al mantenimento della salute del microbiota intestinale. Da un Indice di Massa Corporea (IMC) iniziale di 35,3 (obesità di classe 2) a giugno di quest’anno, la signora è giunta ad ottobre al valore di 30,1 (Fig.1), perdendo, fino a questo momento, 13,7 Kg (Fig.2). La perdita continua ma molto graduale di peso le ha permesso di migliorare e allungare le sue camminate quotidiane con un beneficio sia per il corpo che per l’umore. I sintomi, sia articolari che dermatologici, si sono attenuati molto, migliorando la qualità del sonno e della vita in generale. La strada da fare è ancora parecchia, ma il netto miglioramento della sintomatologia infonde coraggio e fiducia nel percorso che, comprendendo adeguamenti continui del piano alimentare a seconda delle esigenze e delle preferenze della signora, viene ben tollerato ed accolto.

(Immagini dell’autrice)

Per approfondire
1) http://www.reumatologia.it/linee-guida-sir.asp
2)http://www.regione.toscana.it/documents/10180/320308/Reumatologia.+Linee+guida/4903da2e-345a-4479-ab93-5c2a0e31385e?
3) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27994480

 

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Neofobie e nutrizione pediatrica

La neofobia è letteralmente la “paura del nuovo” che caratterizza quella fase particolare della crescita in cui il bambino piccolo abbandona il seno materno per iniziare ad alimentarsi con cibi solidi e semi-solidi di consistenze e tessiture diverse (dal divezzamento in poi). Si tratta, quindi, di  una fase fisiologica durante la quale il piccolo non vuole, e non può, rinunciare alle sue certezze che lo rendono più forte e lo fanno sentire al sicuro. Si tratta di un meccanismo innato e collaudato per milioni di anni, che in passato probabilmente ha permesso la sopravvivenza nei primissimi anni di vita. Quando però la neofobia si protrae troppo a lungo, inficiando le normali abitudini alimentari, limitando oltremodo le scelte e mettendo a rischio la crescita, diventa degna di attenzione e richiede l’aiuto di un professionista. Oggi, purtroppo, le neofobie riguardano oltre il 20% dei bambini e si prolungano anche fin oltre l’adolescenza, creando problemi nei momenti di socializzazione e condivisione dei pasti e predisponendo le ragazze e i ragazzi a carenze nutrizionali e comportamenti alimentari inadeguati. Il ruolo della famiglia è fondamentale nel fornire al bambino gli strumenti per superare fisiologicamente le neofobie, dato che il rifiuto di un alimento è inversamente proporzionale al numero delle offerte dello stesso. Un lungo e paziente lavoro, fatto di tentativi e buon esempio, può dare ottimi risultati. L’esposizione precoce e costante a una grande varietà di sapori è, dunque, la strada maestra  per promuovere nel bambino il desiderio dell’assaggio, soprattutto dei cibi generalmente meno graditi, quali frutta e verdura.
Ma cosa può fare un nutrizionista per risolvere neofobie croniche che rischiano di ostacolare il normale sviluppo di un bambino?
Nella mia esperienza parto sempre dall’assunto che conoscere un dato oggetto, una data sensazione, ci mette in condizione di non averne paura e di allentare le corde della diffidenza. Nel caso di uno o più cibi è l’onnivoro che è in noi, diffidente per natura, a dettare legge e farci allontanare da quel particolare alimento poco noto e quindi poco rassicurante.
Ginevra (nome di fantasia) è una bella bambina di sette anni, sveglia, intuitiva, sensibile e creativa. E’ arrivata alla mia attenzione all’inizio di quest’anno a causa di un’alimentazione estremamente selettiva che cominciava a preoccupare i genitori. A febbraio, Ginevra mangiava solo pasta in bianco, latte con un solo tipo di frollini, prosciutto cotto e pochissimo altro. Il percorso con Ginevra (rigorosamente ludico e creativo) è stato accompagnato da uno educativo in parallelo con i genitori, soprattutto con la mamma, che ha imparato come reagire ai rifiuti della bimba e come proporre alcune novità senza creare grandi aspettative né drammatizzare i fallimenti. Inoltre, agli adulti della famiglia (compresa la nonna) e alla sorellina più grande sono stati dati strumenti comportamentali per gratificare la piccola Ginevra ad ogni nuovo assaggio e supportarla ad ogni défaillance, senza giudicarla né mortificarla.

17992024_10213099902761709_3915484817008143764_nAd esser sincera, credo che il lavoro sulle neofobie sia fra i più gratificanti per un nutrizionista pediatrico, per l’impegno dei bambini che si lasciano coinvolgere con entusiasmo e fiducia e per la gratificazione dei risultati ottenuti. Con Ginevra abbiamo iniziato dalla piramide degli assaggi: ad ogni nuovo assaggio la sua piramide personale si andava riempiendo. La lista dei gusti si è rimpinguata di settimana in settimana e quella dei disgusti si è impoverita 21616503_10214591878420168_3970331928821381289_nprogressivamente. Ma come ha fatto Ginevra a diventare un’onnivora meno diffidente? Si è lasciata guidare verso la conoscenza degli alimenti che le erano meno familiari e che spesso si era rifiutata persino di annusare. Abbiamo osservato il cibo da molti aspetti e molte prospettive diver20108671_10214027255544949_8049059939372029421_nse: il suo ruolo nelle fiabe, il significato di alcuni alimenti tradizionali, il sapore delle pietanze che prepara la nonna, il ruolo del cibo per il nostro corpo, il gusto col quale facciamo la conoscenza dei vari sapori, l’importanza di masticare, gustare e riconoscere i vari componenti di un piatto e infine, tappa attualmente in atto, la provenienza e la produzione del cibo. Ginevra, ogni giorno e sempre con maggiore gratificazione, ha imparato a mangiare a tavola con la sua famiglia: 20170926_183048in fondo sta semplicemente ricostruendo la sua personale “cultura del cibo” che, chissà perché e chissà come (ma a questo punto importa poco!), si era sbiadita e un po’ persa. Ritrovandola, ha recuperato una parte importante di sé che le permetterà di avere in futuro un rapporto sereno, equilibrato e appagante con il proprio cibo.

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Dedicato alle mie pazienti

Da ottobre partiranno tre incontri di educazione alimentare gratuiti rivolti alle mie attuali pazienti e a quelle che hanno già terminato il loro percorso. Il ciclo di incontri “Il cibo della salute” ha lo scopo di completare l’iter nutrizionale, cognitivo ed educativo iniziato allo studio condividendo buone pratiche di utilità quotidiana. Non sarà uno sportello nutrizionale, non ci sarà posto per domande individuali sul proprio percorso o sul proprio piano alimentare, ma rappresenterà un momento di condivisione importante per imparare a mettere in atto, o a perfezionare, le buone pratiche alimentari, dalla lista della spesa al piatto. 
Per questioni organizzative, è necessario (direi obbligatorio) comunicare la propria partecipazione. Potete farlo per mail o per telefono, specificando l’incontro al quale volete partecipare, il vostro nome e cognome e il vostro recapito telefonico.
Tutte le informazioni sono contenute nella locandina.
Vi aspetto!  🙂

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