Archivio mensile:maggio 2015

Stress e peso corporeo

Ovvero, come un meccanismo salvavita può giocare brutti scherzi!

da Spunti di NutrizioneTutti noi, oggi, ci sentiamo “stressati”, nel senso che siano oberati di impegni, affaticati dalle corse con il tempo, sfiancati dalla costante sensazione di non farcela. Tuttavia, il termine stress dal punto di vista biologico è un adattamento molto antico che, in condizioni estreme, ci ha permesso di sopravvivere. Si tratta, infatti, di una serie di risposte efficientissime in grado di attivare le nostre riserve energetiche nei momenti in cui se ne presenti la necessità. Pensiamo, ad esempio, al bisogno di fughe veloci dinnanzi a un grosso predatore o a un terremoto. Nulla di più utile e positivo, dunque!
In realtà, però, così come lo viviamo oggi, lo stress diventa uno stato di allerta cronico che riserva non poche sorprese svantaggiose per la nostra salute. In primo luogo, è alla base della produzione continua di cortisolo, ormone deputato, fra molte altre cose, a stimolare il rilascio di glucosio nel sangue e la tendenza a scegliere cibi calorici (sempre per l’antichissimo “vizio” di utilizzare l’energia per salvarci la pelle!). Questa tendenza provoca un aumento della produzione di insulina che, una volta immessa nel sangue, favorisce accumulo di scorte adipose. La situazione di ipersecrezione insulinica protratta a lungo inibisce la risposta del cervello a un altro ormone importante: la leptina, prodotta dalle cellule adipose come segnale di sazietà. Le cose sono ulteriormente peggiorate dal fatto che lo stress a lungo termine e la conseguente produzione prolungata di cortisolo rendono il sonno più breve e meno riposante: questo innalza i livelli di grelina, ormone gastrico e pancreatico che stimola l’appetito. Inoltre, il ricorso a cibo calorico dovuto agli alti livelli di cortisolo si traduce oggi nella tendenza a consumare alimenti “consolatori” (comfort food) che un tempo non esistevano e che mettono a dura prova il nostro equilibrio metabolico. Tutto, dunque, gioca contro il mantenimento di un peso corporeo adeguato e saperlo ci aiuta a capire come uscire da questo loop che si autoalimenta. Insieme a scelte alimentari adeguate ed equilibrate, quindi, diventa importantissima anche la gestione dello stress.

Immagine tratta dal mio libro “Spunti di Nutrizione ed altro…” MdS Editore

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Cibo, disabilità e disagio

da Spunti di NutrizioneFino a qualche anno fa non avrei mai immaginato di utilizzare le mie competenze professionali in ambiti così particolari e specifici quali quelli della disabilità fisica e cognitiva e degli stati di disagio psicologico e sociale.
Per caso – ma il caso esiste? – ebbi anni fa l’occasione e il privilegio di lavorare con bambini affetti da patologie genetiche, anche gravi e quella esperienza – lo ricordo bene – mi cambiò per sempre, offrendomi la possibilità di utilizzare i miei strumenti in un modo inatteso e, al tempo stesso, dandomi la sensazione di potermi rendere utile in ambiti che fino a quel momento avevo considerato lontani dal mio. La riflessione che ne è scaturita mi ha portata alla convinzione, sempre più strutturata, che il cibo e l’atto di alimentarsi e di lasciarsi alimentare sono azioni assolutamente imprescindibili e che, più spesso di quanto immaginiamo, possono rappresentare un rifugio, una via d’uscita, un supporto a svariati percorsi e protocolli terapeutici.
Di recente, questa esperienza interessante si è, in un certo senso, integrata e arricchita attraverso un’altra: quella del disagio psichico e sociale. In modo sorprendente, il cibo, la cura per i propri gusti, del proprio corpo, la consapevolezza di ciò che scegliamo, insomma, l’attenzione a come ci nutriamo possono coadiuvare percorsi e recuperi in questi ambiti così complessi. Lavorare sulle dinamiche nutrizionali, manipolare gli alimenti, raccontare le proprie preferenze a tavola e confrontarsi con gli altri significa spesso recuperare il rapporto con il proprio corpo e con ciò che lo appaga e lo fa stare bene. Il cibo è, ancora e sempre, il legame profondo con chi ci ha nutrito e ci nutre, con la terra, con noi stessi, con la nostra storia: l’espressione più alta dell’accudimento e dell’auto-accudimento. Come ho fatto anni fa a non immaginare risvolti così interessanti?
Ogni giorno scopro che fare la nutrizionista significa lavorare su più fronti, essere aperti all’aggiornamento costante e profondo, imparare continuamente dagli altri e adoperarsi per rendersi utili.

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Immagine di Giusi D’Urso (tratta dal testo Spunti di nutrizione ed altro. MdS)

Dall’uomo arcaico all’uomo moderno

Ovvero, cosa resta del tempo che fu?

craniCi sono nozioni che servono a fare luce sui nostri comportamenti. A volte, possono sembrare cose lontane. In realtà, sapere da dove veniamo aiuta spesso a capire verso cosa e in che modo stiamo procedendo.

Dai primi ominidi in poi, il corpo umano ha subito modificazioni profonde. Quella che ha avuto maggiori ripercussioni sulla nostra evoluzione in uomini moderni è probabilmente l’aumento delle dimensioni del cervello. Questa trasformazione è iniziata dall’era glaciale e si è protratta fino allo sviluppo del cervello di Homo Sapiens che ha dimensioni medie pari a 1350 centimetri cubi. Lo sviluppo di un grande cervello, realizzatosi con l’acquisizione una vastissima rete neuronale (l’uomo possiede circa 11,5 miliardi di neuroni, lo scimpanzé circa 6,5) ha avuto non pochi risvolti positivi: ha reso l’essere umano abile al ragionamento, ha sviluppato la memoria, le competenze e la capacità di apprendimento. Ma soprattutto lo ha reso un ottimo naturalista e un essere altamente adeguato alla socialità: i cacciatori-raccoglitori, nutrendosi di animali e di molte specie vegetali, necessitavano di notevoli competenze in fatto di cicli vitali animali e di stagionalità delle piante. Inoltre, vivendo in condizioni climatiche spesso estreme, avevano bisogno di strategie efficaci per trovare cibo e riparo, costruire armi e utensili e, soprattutto, collaborare con i loro simili: i comportamenti cooperativi, difatti, richiedono abilità molto complesse (comunicare, limitare comportamenti aggressivi, comprendere i bisogni altrui, memorizzare ruoli sociali). Un cervello così grande e potente, però, aveva delle richieste energetiche enormi, questo è il motivo per cui si è evoluto nelle epoche in cui è risultato possibile accedere a nicchie alimentari varie che offrissero alimenti energeticamente più ricchi di bacche, foglie e radici. La svolta che ha reso possibile lo sviluppo del grande cervello è stata rappresentata da molteplici “occasioni vantaggiose”: l’accesso ai grassi animali (carne e pesce) che hanno fornito quote energetiche superiori e materia prima per la costruzione del tessuto nervoso; la tendenza a fare depositi grassi  che ha permesso la sopravvivenza in epoche di cambiamenti climatici estremi che portavano a carestie e siccità prolungate nel tempo; e le condizioni climatiche poco favorevoli, che hanno prodotto necessari e impegnativi esercizi d’ingegno.

Oggi – ne converrete – le condizioni in cui viviamo sono estremamente lontane da quelle che ci hanno forgiati e resi esseri intelligenti, resistenti al caldo e al freddo, atti a camminare e a correre, adattati a instaurare numerose e complesse reti sociali. Ciò che resta di epoche così lontane – e non mi pare affatto poco – sono le abilità. Ci piaccia o no, siamo fatti per muoverci, ingegnarci, collaborare con i nostri simili e nutrirci dell’essenziale. Forse prenderne atto ci aiuta ad attivare cambiamenti virtuosi del nostro stile di vita: non serve tornare a condizioni primitive, né rinunciare a ciò che con fatica e impegno l’essere umano ha conquistato e realizzato. Sapere e riflettere su ciò che oggi la scienza è in grado di spiegare è utile per tornare a fare i conti con le nostre effettive necessità.

Testo e immagine di Giusi D’Urso

Per approfondire
La storia del corpo umano. D. Lieberman. Le Scienze
In carne e ossa. Biondi et al. Editori Laterza

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Strumenti di nutrizione pediatrica

vitadamamma.comIl pasto assistito è un o strumento utilizzato nel trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e consiste in un momento di osservazione in cui la paziente (o il paziente) viene assistita durante i pasti da un operatore per aiutarla/o a superare gli ostacoli che impediscono un’assunzione adeguata di nutrienti per quantità e qualità.
Nella mia pratica, tuttavia, ho sperimentato, e negli anni collaudato, un pasto assistito particolare, o più correttamente un pasto “osservato”, adattandolo ai problemi alimentari in età pediatrica, che siano relativi all’inappetenza comune, a disordini alimentari di vario tipo o al rifiuto pervicace del cibo. Si tratta di osservare  la bambina o il bambino in questione durante uno dei pasti principali, possibilmente quello che nel racconto dei genitori viene riferito più problematico, e raccogliere in quel contesto una serie di informazioni che possono essere utili al completamento di una buona anamnesi. L’osservazione deve avvenire in totale accordo con i genitori, in completo silenzio da parte dell’operatore e con modalità non invasive.
In genere, questo tipo di osservazione, meglio se ripetuta più di una volta, si rivela molto utile (in qualche caso, addirittura, illuminante) nel reperire informazioni e chiarire dinamiche alimentari complesse.
Sebbene possa risultare una richiesta insolita, soprattutto all’inizio di un percorso di riabilitazione alimentare dei piccoli, il pasto assistito in età pediatrica , come momento di attenta osservazione, rappresenta a mio avviso uno strumento prezioso per chi lavora nell’ambito della nutrizione pediatrica.

 Immagine tratta dal web

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immagine tratta da vitadamamma.com