Archivio tag: nutrizione

Veloce o leggero?

 

 

farro1Estate, tempo di mare e di cibi leggeri. Ma, attenzione e non scambiare per leggerezza la velocità! Con l’arrivo del caldo, si sa, mettersi ogni giorno ai fornelli non è proprio il massimo. Ma portando a tavola cibi che non richiedono alcuna preparazione si rischia di appiattirsi su affettati, formaggi e tonno in scatola, rischiando di rendere monotona la propria alimentazione e di introdurre più grassi e proteine animali del solito. Per ovviare a questo inconveniente è bene organizzarsi cucinando solo un paio di volte a settimana, facendo le “giuste” scorte da utilizzare poi nei giorni successivi. Un’ottima soluzione la offrono i cereali come il riso integrale e il farro, ma anche il cous cous e la quinoa (pseudocereale) che, una volta prepararti in quantità superiori a quelle necessarie nell’immediato, possono essere conditi, nei giorni successivi, a nostro piacimento con ortaggi stagionali e legumi, anch’essi precedentemente lessati. Ci aiuta molto la produzione estiva di verdure, colorate, versatili e ricche di sali minerali, che di volta in volta possono essere lessate, cotte in umido o consumate crude, oppure cotte al forno. Non dimentichiamo, poi, l’uso delle spezie e delle erbe aromatiche che esaltano i sapori e aiutano la digestione. Infine, da considerare anche i piatti tradizionali come ad esempio la panzanella, che può rappresentare un’ottima soluzione per un pranzo sulla spiaggia se arricchita di una fonte proteica, come le scaglie di grana o ceci lessi, e seguita da un buon piatto di verdura di stagione. Con un po’ di buona volontà e di fantasia, basta investire bene un po’ di tempo ogni settimana per godersi un’estate sana e gustosa.

Scritto per Dimensione Agricoltura

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Prime pappe all’ iPad (purché mangi!)

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Descrizione di un pasto assistito involontario!

Il bimbo seduto sul seggiolone è piccolo. Così piccolo che sparisce fra la spalliera e le bretelle imbottite. Eppure, pare in pieno svezzamento. Siamo al mare e all’ora di pranzo ognuno si avvicina alla propria cabina per condividere il pasto. Lo guardo, mentre attende con avidità e impazienza la mamma (giovane, biondissima ed eterea) che armeggia su un tavolino di legno per mescolare liofilizzato, acqua e una qualche farina. La mamma, una volta pronta, con in mano il piattino stracolmo di pappa, si siede lateralmente al seggiolone. Non capisco. Non mi spiego perché non si ponga di fronte al suo bambino e non inizi a imboccarlo sorridendo ed emettendo quei suoni morbidi, labiali, tipici di quella fase: ahm, gnam, mmmh, buona la pappa!
Quasi immediatamente si avvicina il babbo con un iPad acceso ed ecco che tutto torna: di fronte al bambino c’è uno schermo in cui un animaletto animato balza di qua e di là al tempo di una musichetta dai toni acuti, ripetuti all’infinito. La mamma, adesso, comincia a imboccarlo: il bambino apre la bocca, imbambolato e il gesto di lei diventa sempre più veloce, come dovesse approfittare dell’esigua durata del cartone. Presto, prima che la magia finisca!

E’ accaduto ieri in una spiaggia, ma era già accaduto qualche settimana fa e sarebbe accaduto anche di lì a poco, all’ora della merenda, con la solita sconcertante modalità. E’ accaduto ieri ma mille altre volte, con altri genitori (o nonni), altri monitor e altri bimbi, in una qualche cucina, in cortile, a scuola, al parco.

La mia mente è andata a un testo sull’accudimento attraverso il cibo al quale sto lavorando da qualche tempo, ad alcune osservazioni che mi capita di fare durante il mio lavoro, ad altri pasti assistiti di questo tipo, alla sofferenza e alla paura delle madri, al loro disagio, alle conseguenze che certe modalità di relazione producono nella prima infanzia e nell’adolescenza. Intanto, continuo ad osservare, avvilita.

La madre non si fa vedere e non espone alla vista del proprio bambino né il piatto, né il cucchiaio, né il cibo. Come se l’atto del mangiare debba passare asetticamente sotto silenzio: ti nutro perché devi mangiare; perché se non mangi muori.
La velocità con cui il cucchiaino viene inserito in bocca aumenta mano a mano che il cartone si dipana verso la sigletta finale e ogni residuo di pappa che cola dai lati della bocca viene meticolosamente e prontamente raccolto per essere infilato fra le labbra del bambino. Lui, ogni tanto, distoglie lo sguardo dallo schermo dell’iPad e si dimena, girando la testina da una parte e dall’altra, emettendo dei mugolii di protesta e serrando la bocca. Ma immediatamente il babbo riavvia il cartone e lo richiama, con dei sibili sottili e penetranti, a lasciarsi ipnotizzare ancora e ancora dal personaggio saltellante e dalla musichetta.
Il bambino, irrimediabilmente, termina la sua pappa con grande soddisfazione della mamma e del papà che mostrano e vantano il risultato a una coppia di amici che annuiscono compiaciuti; l’iPad viene spento e fatto sparire; la mamma mette a posto velocemente tutto quello che è servito per il pasto del piccolo, mentre il papà prontamente gli offre il ciuccio.

Di quel cibo poi nessuno si chiede nulla. Non c’è posto né tempo per certe domande.

La bocca deve stare ben piena e ben chiusa: non devi protestare, non devi esprimerti, non devi piangere, se piangi sto male, mi sento inadeguata a gestire i tuoi bisogni; se smetti di mangiare morirai e io non sopporto di restare col dubbio della tua sazietà. La visuale, ben tappata: non guardare, non guardarmi, perché non sopporterei di vederti sporcare, rifiutare, gustare o disgustarti, lasciar fare al tuo e al mio istinto (e se l’istinto fallisce?); purché mangi sono disposta a rinunciare al privilegio di nutrire,  di offrirmi a te come tua nutrice e come tuo nutrimento emotivo, insieme al cibo che ti ho preparato. Meglio un monitor, meglio distrarti, perché tu (o io?) non possa avere il tempo di un dubbio, di un sentimento, di una sensazione.

Mentre così rimuginavo, con amarezza e sgomento, il bimbo si è rassegnato al sonno.

 

 

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Calorie? No, grazie, vado a molecole!

limone1Le diete, si sa, sono strettamente imparentate alle calorie. O meglio, alla restrizione calorica. La parola dieta, in genere, non ci fa venire in mente l’antica Diaita che significa stile di vita; ma suscita una sorta di fastidioso senso di rinuncia, richiama inevitabilmente il sacrificio e la privazione.
Chi si mette a dieta, dunque, riduce le calorie. Le conta e le riconta, le taglia, le identifica immediatamente sulle etichette alimentari e passa parte del proprio tempo ad imparare come distribuirle durante la giornata e come compensare ogni volta che il suo istinto, la sua gola o la sua fame lo renderanno vulnerabile di fronte alla vetrina di un pasticcere, allo scaffale di un supermercato o alla dispensa di casa. L’industria alimentare, dal canto suo, offre prodotti “calibrati” ed equilibrati dal punto vista calorico, che vantano sulle confezioni il miracoloso obiettivo del dimagrimento in salute e bellezza.
Le diete ipocaloriche, diciamolo, sono comunque un vero incubo, che peraltro ha scarse ricadute sul mantenimento del peso forma a medio e lungo termine.
A fronte di una così diffusa pratica che pone un’attenzione quasi maniacale alla quantità di cibo assunto, c’è ancora una scarsa considerazione per la qualità di ciò di cui ci nutriamo.
In realtà, ripensando alle calorie, non siamo macchine termiche ma macchine chimiche: ogni volta che mangiamo, il sangue e l’intero organismo si modificano profondamente sia dal punto di vista ormonale che metabolico. Dopo ogni atto alimentare, dunque, siamo diversi rispetto a prima di mangiare. E questo non tanto a causa delle calorie introdotte, ma delle molecole di cui è costituito il nostro cibo. Così, gli zuccheri alzeranno la glicemia del sangue e indurranno produzione di insulina, i grassi verranno portati al fegato e distribuiti nei tessuti di riserva, alle cellule per il ricambio delle loro membrane, serviranno al trasporto delle vitamine liposolubili, costituiranno nuove guaine mieliniche per i nervi; così, le proteine andranno a costituire ossa e muscoli, formeranno anticorpi, enzimi e molecole ormonali. E a seguire, tutti gli altri nutrienti, in un grande fermento metabolico variegato, interattivo e complesso che sta alla base della nostra vita e della nostra salute.
È comunemente noto che un grammo di proteine o di carboidrati forniscono entrambi circa 4 grandi calorie; ma è altrettanto nota la funzione diversa che i due principi alimentari esercitano nel nostro organismo. In sostanza, due cibi possono fornire la stessa quantità di calorie ma essere qualitativamente e funzionalmente molto diversi.
Oltre ai nutrienti, il cibo, soprattutto quello industriale, può contenere additivi che si accumulo nel corso della catena produttiva. Quello proveniente da agricoltura intensiva conterrà tracce di pesticidi, fertilizzanti, ecc. Quello proveniente da paesi lontani sarà nutrizionalmente un p’ più povero.
Quindi, tornando alla dieta e alle rinunce che essa reca con sé, forse è il caso di riflettere sul non senso di certi calcoli e certi sacrifici e di informarsi meglio sulla qualità, e quindi sulla provenienza, del nostro cibo. È il caso, allora, di porci domande quali: meglio uno snack dietetico che contiene grassi tropicali e conservanti o una fettina di pane integrale con un buon olio extra vergine d’oliva? Meglio imparare a cucinare con pochi grassi o affidarsi a piatti dietetici pronti? Meglio un centrifugato di ortaggi di stagione o il beverone dietetico di turno?
Chi non si pone queste domande continua ad illudersi che il suo peso dipenda esclusivamente dalle calorie assunte e continua a delegare ad “altri” il suo benessere personale, dimenticando che ognuno è il trainer di se stesso. Una caloria non vale l’altra e il nostro metabolismo, depositario di una sapienza genetica millenaria, lo sa benissimo!

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Pane e parole. Scrittura in corso…

pane e paroleChi fa della propria scrittura una professione non abbandona mai la spinta iniziale. Quella emotiva. Quella che regala un’insonnia produttiva di cui apprezza il silenzio e la concentrazione. Trasforma, quindi, una passione in lavoro fervido, indipendente dalle scadenze che pure sa di dover rispettare.

Questo, almeno a me, accade, quando scrivo per lavoro. E per questo, dunque, che ogni mia pubblicazione reca sempre con sé qualcosa di narrativo.

Come in Mangiando in allegria (Felici Editore), testo scritto a quattro mani (con la biologa Paola Iacopetti) mentre un’amicizia nasceva e subito si rinsaldava nelle serate trascorse a scriver filastrocche, fra la stanchezza di mamme impegnate e l’entusiasmo condiviso per il buon cibo e le buone pratiche. Come in Spunti di nutrizione ed altro (MdS Editore), in cui l’altro rappresenta ricordi ed emozioni che il cibo mi ha suscitato mentre lavoravo al testo.

Come in Ti racconto la terra (Edizioni ETS), ultimo nato, che fra le pagine del saggio, dedicato alla consapevolezza e alla sostenibilità alimentare, racconta la vita di chi è cresciuto a contatto con la terra e con la fatica quotidiana del lavoro nei campi.

I miei progetti, in genere, si sovrappongono seguendo l’istinto delle idee e il confronto con gli editori li modella, li migliora e li colma di aspettative che, in un modo o nell’altro, alimentano fantasia e creatività. Per questo, e per mille altri motivi che sarebbe lungo raccontare, lavoro a diversi libri contemporaneamente.

Le prossime uscite, su cui nulla di più di ciò che leggerete posso al momento rivelare, saranno di tono diverso. Libri dedicati a lettori differenti, dunque: alcuni serviranno ad approfondire, altri ad avvicinarsi ai temi della nutrizione e della scelta alimentare consapevole e altri ancora a raccontare il cibo attraverso la vita reale e la fantasia. E la narrativa, la voglia di raccontare la vita con curiosità e stupore, faranno sempre capolino in tutti i miei lavori.

Questo è l’intento originale. Ma, si sa, i libri vanno dove li porta il cuore di chi legge e sorprendono sempre chi li ha scritti. Eccomi, dunque, pronta a sorprendermi ancora per il viaggio suggestivo e imprevisto che i prossimi lavori vorranno regalarmi; grata, tanto e sempre, a chi li vorrà leggere.

Da La Scuola di Ancel

Ti racconto la terraCol mio lavoro ti racconto la terra…

A quanti mi chiedono cosa fa un biologo nutrizionista rispondo con orgoglio che si occupa di alimentazione, di salute e di cultura del cibo. Ogni piano alimentare e ogni consiglio nutrizionale che passa dalle mie mani a quelle di chi si rivolge a me contiene, oltre a consigli alimentari e comportamentali, racconti che spero restino dentro e lascino traccia. Sono i racconti sul cibo che mangiamo e che ci rende ciò che siamo. Le storie della sua produzione, della sua stagione migliore, dei luoghi da cui proviene, delle mani che lo hanno lavorato e della fatica che lo ha portato fino a noi.

In ogni piano alimentare, in fondo, racconto la terra. Ed è proprio questa convinzione e questo istinto che mi hanno condotto alla stesura del mio ultimo libro Ti racconto la terra.

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I nostri bimbi “oversize”! di Barbara Natalizio

E’ la famiglia, la brava famiglia italiana, la fabbrica del bimbo obeso. La linea di montaggio della “ciccia del pupo” si accende al mattino: poca colazione e tanta merendina in tasca per l’asilo e la scuola. Prosegue a pranzo, omettendo frutta e verdura.

Trionfa al pomeriggio e sera, somministrando televisione e tutti i giochini tecnologici, “playstation” in primis. Sono oltre 1 milione e centomila i bambini italiani tra i 6 e gli 11 anni con problemi di obesità e soprappeso: più di uno bambino su tre.

Tutti i Paesi occidentali registrano una crescita esponenziale del fenomeno dell’obesità e del sovrappeso nell’infanzia. Secondo l’”International Obesity Task Force” i piccoli in età scolare obesi o in sovrappeso nel mondo sono 155 milioni, ovvero uno su dieci.

Di questi, il 2-3% dei ragazzi in età compresa tra i 5 e i 17 anni è classificato “obeso” (circa 30-45 milioni). Nel vecchio continente il problema è sempre più diffuso: sono 400 mila i casi di bambini in sovrappeso registrati ogni anno; oltre 85 mila gli obesi.
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Articolo della biologa nutrizionista Barbara Natalizio

Pane e parole

Far. Una parola piccola piccola eppure tanto grande, nel suo significato intrinseco ed  evoluzionistico, nelle tracce lasciate attraverso i secoli e nelle influenze sulla cultura e la civiltà dell’uomo. Far, in latino arcaico significava “cereale” e rappresentava ogni specie di cereale. Da far, dunque, farina. Farinoso. Sfarinare. Infarinare…

Le parole hanno sempre significati profondi, al di là di quelli più evidenti e nel loro tramandarsi, modificarsi e significare c’è qualcosa di segreto, quasi magico, che le rende preziose ed insostituibili.

È suggestivo leggere, ad esempio, dalle note di C. Darwin che molte lingue indicano il cibo e la bocca con fonemi simili ed assonanti a quelli che rappresentano la mamma; interessante, scoprire che l’evoluzione fonetica e fonologica intorno ai temi del cibo e dell’accudimento ha spesso radici comuni, dalle quali si possono cogliere spunti per riflessioni modernissime.

Ci penso ogni volta che mi trovo a lavorare con i bambini, concludendo, inevitabilmente, che è la capacità di stare con gli altri a modellare il nostro cervello e quindi il nostro linguaggio e il nostro comportamento. Compresi quelli alimentari. Che questa capacità ha radici profonde e segue tracce antiche, dalla nascita all’età del tramonto.

Il linguaggio, le parole e i comportamenti riferiti al cibo e in principio legati al bisogno, oggi trovano collocazioni differenti, si caratterizzano con intensità e tipologie variegate e si legano a spinte diverse da quelle puramente evolutive.

Ma, a fronte della maggiore capacità cognitiva, della massima espansione cerebrale e dell’apice indiscusso al quale è giunta la nostra intelligenza,  paradossalmente ci sfugge, spesso non cogliendone l’attimo, una meravigliosa ovvietà: l’essere umano che, rispetto a tutte le altre specie, ha il cervello più complesso e la socialità più elevata necessita di un periodo di dipendenza postnatale più prolungato che prevede, ineluttabilmente, l’accudimento da parte della madre. È in questa finestra spazio-temporale che i suoni e i gesti acquistano significato e diventano “linguaggio” e comunicazione. Come per gli antichi alle prese con i primi doni di Madre Terra, con i primi semi, con i primi far.

Gusto e salute, la dieta mediterranea è servita!

La convinzione che diffondere consapevolezza alimentare e creare sensibilità intorno a temi importantissimi, quali quelli dell’agricoltura e del cibo, sia oggi una priorità, ci ha portati ad organizzare altre iniziative per quest’estate. Altri “Incontri intorno al cibo”, dunque, per coniugare, ancora una volta, la terra e l’alimentazione sana, la salute e la cultura del cibo, l’alimentazione e la sostenibilità.

 Questa volta, però, i nostri Incontri si sposteranno in azienda, nell’ambiente, cioè, dove ognuno di questi concetti trova terreno fertile (è proprio il caso di dirlo!) per esprimersi al meglio e divenire un valore da portarsi dentro e su cui costruire nuove abitudini e buone pratiche quotidiane. Continua a leggere

L’adolescente, il cibo e la fragilità del gambero!

Chiunque si sia trovato alle prese con un adolescente conosce bene quella sensazione particolare, mista a disagio e perplessità, che insorge guardandolo, ascoltandolo e cercando di aprire un varco comunicativo fra il suo tirar su “spallucce” e il suo broncio immotivato. Eppure, l’adolescente, nonostante il suo fare spesso spavaldo e strafottente, è un essere fragilissimo e vulnerabile, in balia di vere e proprie trasformazioni, volte a costruire un’identità, attraverso la risoluzione di problemi che lo sviluppo gli pone continuamente davanti.

In questa fase così particolare e complessa, il cibo assume spesso connotazioni eccezionali e si trasforma, qualche volta, in strumento di ricatto o di “riscatto”, oggetto di scontri  o “incontri”, simbolo di un modello da rifiutare o, al contrario, di nuove strade da percorrere. Può accadere, infatti, che l’adolescente utilizzi il cibo come un vero e proprio linguaggio, rifiutandolo o imitando le scelte alimentari degli altri o ancora, semplicemente, operando scelte completamente diverse dai modelli familiari, utilizzando spesso il corpo come strumento da frapporre fra se stesso e il resto del mondo.

Si tratta di un modo per richiamare l’attenzione degli altri sul proprio stato, sulla propria momentanea fragilità e sui propri bisogni che, mai come in questa fase, necessitano di ascolto, accoglienza e comprensione.

Per spiegare la fragilità e la vulnerabilità di un adolescente, F. Dolto, psicanalista infantile francese vissuto nel secolo scorso, paragona l’adolescente al gambero, il quale, prima di fabbricare il guscio nuovo, perde quello vecchio, restando esposto a gravi pericoli. In questa fase, il gambero resta nascosto sotto le rocce e negli anfratti, fino a quando non avrà un nuovo guscio a difenderlo. Se durante il periodo di estrema fragilità subirà delle ferite, esse rimarranno per sempre sottoforma di cicatrici, nonostante il guscio nuovo le ricoprirà.