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Aumento del peso corporeo: fattore di rischio non solo metabolico

Il sovrappeso e l’obesità sono oggi fenomeni così diffusi da acquisire le caratteristiche di un’epidemia. Ultimamente nel nostro Paese si è registrato un 13% in meno di bambini obesi rispetto ai dati precedenti. Sebbene il dato sia confortante, c’è ancora molto da lavorare. obesitaL’ultimo comunicato di OKkio alla Salute riferisce che “Nonostante il miglioramento registrato dagli ultimi dati, restano forti differenze geografiche tra Nord e Sud, a discapito di quest’ultimo – dichiara Walter Ricciardi, Presidente dell’ISS – La diminuzione del tasso di obesità nei bambini è un segno che le politiche sanitarie messe in atto cominciano a dare i primi risultati ed è contemporaneamente il segnale che dobbiamo concentrare maggiormente gli sforzi in questa direzione. Tuttavia – prosegue Ricciardi – resta molto da fare, soprattutto nella promozione della consapevolezza sui corretti stili di vita. I genitori devono fare la loro parte: infatti, questi dati ci dicono che circa il 40% delle madri di bambini in sovrappeso o obesi ritiene che il peso del proprio figlio sia nella norma”. E’ necessario e urgente, dunque, attivarsi affinché l’educazione alimentare sia fatta in modo efficace e capillare, poiché un bambino obeso sarà con molta probabilità un adulto obeso. L’elevata prevalenza di sovrappeso e obesità infantili rappresenta innegabilmente un problema di sanità pubblica a livello mondiale, in quanto avrà un impatto sociale altissimo e le complicanze ad essa legate un costo molto elevato, sia in termini di terapie che in termini di assenteismo e limitata produttività. Ma a cosa espone esattamente l’eccesso ponderale? Se un tempo parlando di peso eccessivo si pensava automaticamente al rischio metabolico e cardiovascolare, oggi sappiamo che esso rappresenta un fattore di rischio anche per molte altre patologie. Sin dagli ultimi anni del secolo scorso sono stati pubblicati studi che indicano il contenimento del peso corporeo quale strumento preventivo primario relativamente alle patologie su base infiammatoria, prime fra tutte quelle del sistema immunitario. Dai primi anni del 2000 ad oggi sono stati molti gli studi pubblicati al riguardo. Mi piace qui segnalarne due (usciti rispettivamente all’inizio del secolo e ai giorni nostri): un interessante studio americano  uscito nel 2003, sulle interazioni complesse fra il peso corporeo e la risposta immunitaria, e una ricerca condotta dall’Università di Siviglia, pubblicata quest’anno, che mette in risalto il ruolo della leptina, ormone chiave nella regolazione dell’introito calorico e del peso corporeo, e del suo recettore nei processi infiammatori e di immunoadattamento. Dalla lettura della letteratura scientifica si deduce che un peso adeguato riduce il rischio di ammalarsi sia di patologie autoimmuni (in particolare le reumatiche, oltre che a Sclerosi Multipla e il Lupus Erimatoso Sistemico) che di quelle immuno-proliferative (come le gammapatie monoclonali). Anche le malattie tumorali sono strettamente legate al controllo del peso corporeo. I lavori scientifici al riguardo sono numerosi e disponibili attraverso una ricerca accurata su PubMed. E’ possibile farsene un’idea  leggendo  una recentissima revisione di un gruppo di ricerca statunitense che esamina i percorsi cellulari e molecolari che sembrano essere coinvolti nell’aumento del rischio di ammalarsi di cancro se si è in sovrappeso. Altre due recenti revisioni, quella di un gruppo cinese, uscita nel maggio scorso e quella di un gruppo canadese, pubblicata pochi giorni fa, indicano che l’eccesso di peso corporeo rappresenta un fattore di rischio importante per diversi tipi di tumore, in particolare al seno, all’utero, alla prostata e al colon-retto. Le strategie di prevenzione primaria destinate all’infanzia e all’adolescenza sono fondamentali e auspicabili in tutti i contesti affinché i futuri adulti siano più sani e longevi, ma il contenimento del peso è assolutamente importante ed efficace a qualsiasi età. E’ stato visto infatti che, sia per le donne che per gli uomini, affrontare l’età adulta e la senescenza con un peso adeguato significa ridurre il rischio di patologie metaboliche, cardiovascolari, tumorali e scheletriche e, nel caso di patologie già presenti, reagire meglio alle terapie e avere una maggiore probabilità di guarigione. L’alimentazione personalizzata, attenta ai fabbisogni nutrizionali, alla composizione corporea, alla eventuale predisposizione genetica alle patologie, insieme all’attività fisica regolare, sono le strategia consigliate ad ogni età, perché per pensare alla propria salute non è mai troppo tardi.

 

 

Immagine tratta dalla rete.

 

 

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Stress e peso corporeo

Ovvero, come un meccanismo salvavita può giocare brutti scherzi!

da Spunti di NutrizioneTutti noi, oggi, ci sentiamo “stressati”, nel senso che siano oberati di impegni, affaticati dalle corse con il tempo, sfiancati dalla costante sensazione di non farcela. Tuttavia, il termine stress dal punto di vista biologico è un adattamento molto antico che, in condizioni estreme, ci ha permesso di sopravvivere. Si tratta, infatti, di una serie di risposte efficientissime in grado di attivare le nostre riserve energetiche nei momenti in cui se ne presenti la necessità. Pensiamo, ad esempio, al bisogno di fughe veloci dinnanzi a un grosso predatore o a un terremoto. Nulla di più utile e positivo, dunque!
In realtà, però, così come lo viviamo oggi, lo stress diventa uno stato di allerta cronico che riserva non poche sorprese svantaggiose per la nostra salute. In primo luogo, è alla base della produzione continua di cortisolo, ormone deputato, fra molte altre cose, a stimolare il rilascio di glucosio nel sangue e la tendenza a scegliere cibi calorici (sempre per l’antichissimo “vizio” di utilizzare l’energia per salvarci la pelle!). Questa tendenza provoca un aumento della produzione di insulina che, una volta immessa nel sangue, favorisce accumulo di scorte adipose. La situazione di ipersecrezione insulinica protratta a lungo inibisce la risposta del cervello a un altro ormone importante: la leptina, prodotta dalle cellule adipose come segnale di sazietà. Le cose sono ulteriormente peggiorate dal fatto che lo stress a lungo termine e la conseguente produzione prolungata di cortisolo rendono il sonno più breve e meno riposante: questo innalza i livelli di grelina, ormone gastrico e pancreatico che stimola l’appetito. Inoltre, il ricorso a cibo calorico dovuto agli alti livelli di cortisolo si traduce oggi nella tendenza a consumare alimenti “consolatori” (comfort food) che un tempo non esistevano e che mettono a dura prova il nostro equilibrio metabolico. Tutto, dunque, gioca contro il mantenimento di un peso corporeo adeguato e saperlo ci aiuta a capire come uscire da questo loop che si autoalimenta. Insieme a scelte alimentari adeguate ed equilibrate, quindi, diventa importantissima anche la gestione dello stress.

Immagine tratta dal mio libro “Spunti di Nutrizione ed altro…” MdS Editore

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Calorie? No, grazie, vado a molecole!

limone1Le diete, si sa, sono strettamente imparentate alle calorie. O meglio, alla restrizione calorica. La parola dieta, in genere, non ci fa venire in mente l’antica Diaita che significa stile di vita; ma suscita una sorta di fastidioso senso di rinuncia, richiama inevitabilmente il sacrificio e la privazione.
Chi si mette a dieta, dunque, riduce le calorie. Le conta e le riconta, le taglia, le identifica immediatamente sulle etichette alimentari e passa parte del proprio tempo ad imparare come distribuirle durante la giornata e come compensare ogni volta che il suo istinto, la sua gola o la sua fame lo renderanno vulnerabile di fronte alla vetrina di un pasticcere, allo scaffale di un supermercato o alla dispensa di casa. L’industria alimentare, dal canto suo, offre prodotti “calibrati” ed equilibrati dal punto vista calorico, che vantano sulle confezioni il miracoloso obiettivo del dimagrimento in salute e bellezza.
Le diete ipocaloriche, diciamolo, sono comunque un vero incubo, che peraltro ha scarse ricadute sul mantenimento del peso forma a medio e lungo termine.
A fronte di una così diffusa pratica che pone un’attenzione quasi maniacale alla quantità di cibo assunto, c’è ancora una scarsa considerazione per la qualità di ciò di cui ci nutriamo.
In realtà, ripensando alle calorie, non siamo macchine termiche ma macchine chimiche: ogni volta che mangiamo, il sangue e l’intero organismo si modificano profondamente sia dal punto di vista ormonale che metabolico. Dopo ogni atto alimentare, dunque, siamo diversi rispetto a prima di mangiare. E questo non tanto a causa delle calorie introdotte, ma delle molecole di cui è costituito il nostro cibo. Così, gli zuccheri alzeranno la glicemia del sangue e indurranno produzione di insulina, i grassi verranno portati al fegato e distribuiti nei tessuti di riserva, alle cellule per il ricambio delle loro membrane, serviranno al trasporto delle vitamine liposolubili, costituiranno nuove guaine mieliniche per i nervi; così, le proteine andranno a costituire ossa e muscoli, formeranno anticorpi, enzimi e molecole ormonali. E a seguire, tutti gli altri nutrienti, in un grande fermento metabolico variegato, interattivo e complesso che sta alla base della nostra vita e della nostra salute.
È comunemente noto che un grammo di proteine o di carboidrati forniscono entrambi circa 4 grandi calorie; ma è altrettanto nota la funzione diversa che i due principi alimentari esercitano nel nostro organismo. In sostanza, due cibi possono fornire la stessa quantità di calorie ma essere qualitativamente e funzionalmente molto diversi.
Oltre ai nutrienti, il cibo, soprattutto quello industriale, può contenere additivi che si accumulo nel corso della catena produttiva. Quello proveniente da agricoltura intensiva conterrà tracce di pesticidi, fertilizzanti, ecc. Quello proveniente da paesi lontani sarà nutrizionalmente un p’ più povero.
Quindi, tornando alla dieta e alle rinunce che essa reca con sé, forse è il caso di riflettere sul non senso di certi calcoli e certi sacrifici e di informarsi meglio sulla qualità, e quindi sulla provenienza, del nostro cibo. È il caso, allora, di porci domande quali: meglio uno snack dietetico che contiene grassi tropicali e conservanti o una fettina di pane integrale con un buon olio extra vergine d’oliva? Meglio imparare a cucinare con pochi grassi o affidarsi a piatti dietetici pronti? Meglio un centrifugato di ortaggi di stagione o il beverone dietetico di turno?
Chi non si pone queste domande continua ad illudersi che il suo peso dipenda esclusivamente dalle calorie assunte e continua a delegare ad “altri” il suo benessere personale, dimenticando che ognuno è il trainer di se stesso. Una caloria non vale l’altra e il nostro metabolismo, depositario di una sapienza genetica millenaria, lo sa benissimo!

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La scelta impopolare di non prescrivere diete

erebe aromaticheAll’inizio e fino a qualche anno fa, è stata una scelta impopolare. Molti dei pazienti che desideravano dimagrire rimanevano delusi davanti alla mia scelta di non prescrivere alcuna dieta grammata, di non fare pronostici sul numero dei chili da perdere, né conteggi calorici. Si sentivano disorientati. Avevano ragione! La dieta era legge. Peccato che, nonostante la sua diffusione, l’obesità era già, e lo è ancora, una pericolosa epidemia.
Di fatto, la mia proposta di aderire a percorsi alternativi, invece di imporre quantità caloriche e comportamenti rigidi, invece di eliminare categorie di alimenti e dare prescrizioni ferree sul quando, quanto, cosa e come mangiare, sembrava non soddisfare le loro aspettative.
Qualcuno mi confessava che “sentirsi” a dieta ferrea era l’unico modo per dimagrire!

Autofustigazione? Perché?

Di fronte a tanta rigidità ingiustificata mi ponevo molte domande. Possibile che il nostro rapporto col cibo e con l’atto di mangiare debba essere sottoposto a pratiche così rigide? A quale scopo? Con quale autorità una nutrizionista può sostituirsi a “regole” e processi chimici che la natura ha selezionato in migliaia di anni, associando la nutrizione umana alla gratificazione, all’istinto e all’apprendimento incentivante?

Il nutrizionista la sa più lunga della natura? Ma quando mai!limone1

Ho inziato, dunque, contro l’andamento generale, a non prescrivere più diete (se non in casi molto particolari) e a proporre percorsi di educazione alimentare che fornissero strumenti quotidiani, pratici, concreti. Strumenti che aiutassero l’individuo ad autogestirsi, in piena autonomia, nel rispetto assoluto dei propri gusti, delle proprie esigenze e del proprio stato di salute. E, nei casi in cui ci fosse stato bisogno di una prescrizione dettagliata di quantità caloriche e di comportamenti specifici, allora questo doveva verificarsi con la maggiore aderenza possibile a quella situazione, a quella persona! Partendo dal concetto che le esigenze quotidiane individuali sono importanti quanto i fabisogni nutrizionali e che l’anamnesi è, oltre che all’accurata raccolta di dati, anche un momento essenziale e insostituibile di ascolto, ogni percorso doveva inevitabilmente essere “unico”!
Ne è nata così una modalità di lavoro appagante, piena di spunti e di occasioni per approfondire, migliorarsi e aggiornarsi continuamente. Un’idea di fare nutrizione sull’individuo e per l’individuo, senza lasciarsi asservire alla bilancia e ai modelli estetici ricorrenti; partendo dalla letteratura e dalla conoscenza, trasferendo saperi in modo fruibile, in scienza, coscienza e rispetto per ogni bisogno, per ogni risposta, per ogni richiesta.

Faticoso! Ma estremamente appagante!

Oltre alla relazione empatica, diretta e arricchente con il paziente, uno dei passaggi più gratificanti della mia professione è la creazione di reti e team di lavoro, attraverso il coinvolgimento di altre professionalità. Perché? Qual è la necessità di avere relazioni con aziende agricole, GAS, esperti in educazione motoria, medici specialisti, educatori, pedagogisti clinici, psicologi, operatori culturali, artisti? Dove sta il vantaggio?
La risposta sta in una frase tanto banale quanto significativa: il cibo è molto più che nutrimento per il corpo! E chi fa il mio lavoro dovrebbe, a mio avviso, tenerne conto come e quanto tiene conto della biochimica e della fisiologia. Ogni individuo lega il suo cibo alla memoria, agli affetti, alle proprie esperienze, al proprio territorio, al proprio senso di gratificazione sensoriale (diverso, da un individuo all’altro) oltre che al proprio metabolismo. Come si può non tenerne conto?

Il nutrizionismo fra scienza, relazione umana e cultura. Perché no?

Attualmente, mi pare, il “bisogno” manifesto è quello di “imparare a mangiare bene”. In questa richiesta assoluta e spesso urgente sono racchiusi molti altri bisogni; in primo luogo quello di acquisire strumenti certi, fruibili, pratici che non servano solo a risolvere il momentaneo problema del sovrappeso, dell’ipercolesterolemia o della disbiosi intestinale, ma che accompagnino per la vita, rendendo i comportamenti alimentari una buona pratica quotidiana. Il resto è concatenato al modo di essere di ognuno: il cibo, come già detto, trova spazio nelle vita e costruisce relazioni, connessioni, organiche, emotive e sociali.
L’impopolarità iniziale della mia scelta professionale sì è trasformata, dunque, in spinta motivazionale e ha fatto del mio lavoro la strada che ogni giorno percorro con convinzione, certa che la prevenzione (sia primaria che secondaria), il supporto nutrizionale (sia in patologia che in fisiologia) e l’educazione alle buone pratiche debbano passare dallo studio continuo, dalla relazione e dall’ascolto, e non dalla mera e distaccata prescrizione di scelte e quantità “preconfezionate”.

 

 

Leggi anche Quanto ci piace mangiare

 

Immagini di G. D’Urso e de La MezzaLuna

Il grasso, questo sconosciuto!

Qualche anno fa il mondo scientifico rivolse una grande attenzione e un’enorme mole di studi alle funzioni intestinali, soprattutto quelle svolte dalla parete assorbente del tenue, e, scoprendone l’importanza e l’influenza su altri sistemi ed apparati, soprannominò l’intestino il “secondo cervello”.

Negli ultimi anni assistiamo ad un’analoga attenzione rivolta, questa volta, al tessuto adiposo (il grasso), le cui funzioni, in realtà, pare vadano molto al di là del mero accumulo di acidi grassi come fonte energetica.

La fisiologia del tessuto adiposo bianco, infatti, si sta rivelando interessante e complessa, tanto da renderlo degno dell’appellativo di “organo endocrino”. La storia “endocrinologica” dell’adipe fa capo soprattutto alla scoperta della leptina, avvenuta nel 1994. Si tratta di una sostanza che, agendo attraverso il sistema simpatico, inibisce la spesa energetica. I livelli circolanti di leptina, importante anche nei fenomeni riproduttivi e nella plasticità neuronale, sono strettamente collegati alla massa grassa e la sua secrezione è aumentata nell’obesità.

Fra le tante molecole prodotte dal tessuto adiposo,  l’adiponectina ha la funzione di amplificare la sensibilità all’insulina. La sua secrezione è ridotta nell’obesità.
Questi due ormoni, dunque, svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo energetico e nel mantenimento del peso corporeo.

Riguardo al contenuto di grassi accumulati nelle cellule adipose (adipociti), dagli studi è emerso che un eccesso lipidico può attivare una serie di segnali chimici tipici dell’infiammazione. L’ipotesi suggestiva dell’infiammazione, e della conseguente progressiva morte cellulare degli adipociti, come meccanismo tessutale tipico dell’obesità, sembra ormai più che probabile: la produzione di sostanze infiammatorie e la necrosi delle cellule adipose sono infatti circa tre volte superiori nei soggetti obesi, rispetto a quelle dei normopeso.

Ma non basta: gli adipociti producono sostanze che agiscono localmente, inibendo l’infiammazione, mantenendo la forma delle cellule stesse, regolandone lo sviluppo e le comunicazioni con altri organi.

Al momento, dunque, quello che sappiamo sul grasso è che, oltre ad essere, quando in eccesso, un fattore di rischio per importanti malattie, esso è anche un organo “regolatore”; una sorta di centralina chimica che ci mette in relazione con il mondo esterno, in particolare con il cibo, attraverso la regolazione di sensazioni quali l’appetito, la spinta alla ricerca di alimenti e la sazietà; un vero e proprio organo di “interfaccia” che reagisce a stimoli negativi producendo una batteria di sostanze chimiche che lo invadono e che segnalano una disfunzione agli altri organi (immunitario, endocrino, gastro-enterico).

Chi mai avrebbe immaginato, fino a pochi anni fa, guardandosi allo specchio e magari lamentandosi un po’ per quegli antiestetici cuscinetti adiposi, che fossero la sede di un tale complesso fermento?!

Chissà che questo non renda il grasso un po’ più simpatico, almeno agli occhi di noi donne, sempre alla ricerca della linea perfetta!

 

Per approfondire:

Infiammatory mediators: tracing links between obesity and osteoarthritis

Role of adipokine and other infiammatory mediators…

Age and obesity-associated changes in the expression and activation…

Adipokine and metabolic syndrome risk factor in women…