Archivio mensile:novembre 2014

L’insospettabile utilità di un limite

DSCN7305Questo, proprio, non lo digerisco!”. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase riferendoci a qualcosa (o a qualcuno!) che ci resta sullo stomaco e non riusciamo a mandare giù? Un modo di dire comune, simbolico, tuttavia realistico per indicare il disagio che alcuni alimenti (o persone!) possono causarci.
Ebbene, in fatto di cibo, non tutto ciò che è indigeribile rappresenta fonte di disagio e problemi gastrointestinali. Esistono alcuni carboidrati che non sono digeriti né assorbiti ma che, fermentando all’interno dell’intestino, producono un effetto proliferativo nei confronti di batteri intestinali benefici a discapito di ceppi potenzialmente patologici. È il caso dell’inulina, un oligosaccaride capace anche di mitigare il picco glicemico dopo un pasto e di rallentare il tempo di svuotamento gastrico, prolungando così il senso di sazietà. La trasformazione di inulina nei suoi prodotti di fermentazione, inoltre, porta all’acidificazione dell’ambiente del colon, che rende il ferro contenuto negli alimenti più facilmente assimilabile. Cipolle, agli, asparagi, carciofi, porri, segale, topinambur e cicorie sono fonti di inulina, oligosaccaride di indubbia utilità a dispetto della sua indigeribilità dovuta alla mancanza di un enzima particolare, atto a scindere un tipo di legame chimico presente nella sua struttura. Un esempio, quello dell’inulina, di come in natura un limite possa rappresentare un vantaggio. Perlomeno, in fatto di cibo. Per tutto il resto, basta il buon senso!

Testo e immagine di Giusi D’Urso
Articolo pubblicato su Dimensione Agricoltura, novembre 2014

La scelta impopolare di non prescrivere diete

erebe aromaticheAll’inizio e fino a qualche anno fa, è stata una scelta impopolare. Molti dei pazienti che desideravano dimagrire rimanevano delusi davanti alla mia scelta di non prescrivere alcuna dieta grammata, di non fare pronostici sul numero dei chili da perdere, né conteggi calorici. Si sentivano disorientati. Avevano ragione! La dieta era legge. Peccato che, nonostante la sua diffusione, l’obesità era già, e lo è ancora, una pericolosa epidemia.
Di fatto, la mia proposta di aderire a percorsi alternativi, invece di imporre quantità caloriche e comportamenti rigidi, invece di eliminare categorie di alimenti e dare prescrizioni ferree sul quando, quanto, cosa e come mangiare, sembrava non soddisfare le loro aspettative.
Qualcuno mi confessava che “sentirsi” a dieta ferrea era l’unico modo per dimagrire!

Autofustigazione? Perché?

Di fronte a tanta rigidità ingiustificata mi ponevo molte domande. Possibile che il nostro rapporto col cibo e con l’atto di mangiare debba essere sottoposto a pratiche così rigide? A quale scopo? Con quale autorità una nutrizionista può sostituirsi a “regole” e processi chimici che la natura ha selezionato in migliaia di anni, associando la nutrizione umana alla gratificazione, all’istinto e all’apprendimento incentivante?

Il nutrizionista la sa più lunga della natura? Ma quando mai!limone1

Ho inziato, dunque, contro l’andamento generale, a non prescrivere più diete (se non in casi molto particolari) e a proporre percorsi di educazione alimentare che fornissero strumenti quotidiani, pratici, concreti. Strumenti che aiutassero l’individuo ad autogestirsi, in piena autonomia, nel rispetto assoluto dei propri gusti, delle proprie esigenze e del proprio stato di salute. E, nei casi in cui ci fosse stato bisogno di una prescrizione dettagliata di quantità caloriche e di comportamenti specifici, allora questo doveva verificarsi con la maggiore aderenza possibile a quella situazione, a quella persona! Partendo dal concetto che le esigenze quotidiane individuali sono importanti quanto i fabisogni nutrizionali e che l’anamnesi è, oltre che all’accurata raccolta di dati, anche un momento essenziale e insostituibile di ascolto, ogni percorso doveva inevitabilmente essere “unico”!
Ne è nata così una modalità di lavoro appagante, piena di spunti e di occasioni per approfondire, migliorarsi e aggiornarsi continuamente. Un’idea di fare nutrizione sull’individuo e per l’individuo, senza lasciarsi asservire alla bilancia e ai modelli estetici ricorrenti; partendo dalla letteratura e dalla conoscenza, trasferendo saperi in modo fruibile, in scienza, coscienza e rispetto per ogni bisogno, per ogni risposta, per ogni richiesta.

Faticoso! Ma estremamente appagante!

Oltre alla relazione empatica, diretta e arricchente con il paziente, uno dei passaggi più gratificanti della mia professione è la creazione di reti e team di lavoro, attraverso il coinvolgimento di altre professionalità. Perché? Qual è la necessità di avere relazioni con aziende agricole, GAS, esperti in educazione motoria, medici specialisti, educatori, pedagogisti clinici, psicologi, operatori culturali, artisti? Dove sta il vantaggio?
La risposta sta in una frase tanto banale quanto significativa: il cibo è molto più che nutrimento per il corpo! E chi fa il mio lavoro dovrebbe, a mio avviso, tenerne conto come e quanto tiene conto della biochimica e della fisiologia. Ogni individuo lega il suo cibo alla memoria, agli affetti, alle proprie esperienze, al proprio territorio, al proprio senso di gratificazione sensoriale (diverso, da un individuo all’altro) oltre che al proprio metabolismo. Come si può non tenerne conto?

Il nutrizionismo fra scienza, relazione umana e cultura. Perché no?

Attualmente, mi pare, il “bisogno” manifesto è quello di “imparare a mangiare bene”. In questa richiesta assoluta e spesso urgente sono racchiusi molti altri bisogni; in primo luogo quello di acquisire strumenti certi, fruibili, pratici che non servano solo a risolvere il momentaneo problema del sovrappeso, dell’ipercolesterolemia o della disbiosi intestinale, ma che accompagnino per la vita, rendendo i comportamenti alimentari una buona pratica quotidiana. Il resto è concatenato al modo di essere di ognuno: il cibo, come già detto, trova spazio nelle vita e costruisce relazioni, connessioni, organiche, emotive e sociali.
L’impopolarità iniziale della mia scelta professionale sì è trasformata, dunque, in spinta motivazionale e ha fatto del mio lavoro la strada che ogni giorno percorro con convinzione, certa che la prevenzione (sia primaria che secondaria), il supporto nutrizionale (sia in patologia che in fisiologia) e l’educazione alle buone pratiche debbano passare dallo studio continuo, dalla relazione e dall’ascolto, e non dalla mera e distaccata prescrizione di scelte e quantità “preconfezionate”.

 

 

Leggi anche Quanto ci piace mangiare

 

Immagini di G. D’Urso e de La MezzaLuna

La convivialità: momento da tutelare

IMG_3038A tavola non accendete la tv. Confrontatevi. Raccontatevi storie, che siano quelle di un tempo o la giornata appena trascorsa. Guardatevi negli occhi, indovinate l’uno i sentimenti degli altri. Non perdetevi l’occasione di ascoltarvi e riconoscervi, ogni giorno, fra i profumi del pasto condiviso e l’allegro tintinnio di posate.

 

Immagine di Giusi D’Urso