In divenire
I figli affondano ogni tua certezza e saccheggiano ogni briciola di energia. Ti cercano con l’egoismo sano del bisogno, ti imitano e ti scimmiottano allenandosi alla vita. Sono curiosi anche di ciò che a te non piace, rivoluzionano programmi e aspettative. Non sanno, e non devono sapere, la tua fatica e la tua rinuncia. Devono semmai impararle vivendo insieme a te.
E quante cose sanno che tu hai dimenticato! Quante ne imparerai crescendoli!
Ti stupiresti se ti raccontassi come l’accudimento non sia un caso né una vocazione. Ma in che misura esso sia chimica complessa, evolutasi nei millenni, composita e integrata con mille altre chimiche che ci rendono ciò che siamo.
Se tu sapessi, sono certa, capiresti che dalla dipendenza stretta, che ti toglie a volte il fiato, nasce l’autonomia di questo piccolo divoratore di tempo e di pazienza. E forse ne saresti più fiera e meno succube.
Dedicato alle madri.
La sapienza dell’adolescente
A noi adulti appare spesso tortuoso e incomprensibile il cammino che un adolescente percorre per diventare grande. Guardiamo nostro figlio e ci ritroviamo a pensare che qualcuno o qualcosa, di cui non conosciamo assolutamente nulla, si sia impossessato del suo corpo e ci chiediamo se il nostro bambino, quello che conoscevamo così bene, che abbiamo nutrito e a cui abbiamo insegnato a parlare e a camminare, tornerà mai a casa!
L’adolescenza è una fase assolutamente complessa e difficile, e, a sentire il parere dei neurobiologi, pare che essa sia il risultato di un delicato periodo neuroplastico. In realtà, ciò che avviene nel cervello dell’adolescente, è una continua e “sapiente” disorganizzazione e riorganizzazione che inizia dalla pubertà e dura fino ai vent’anni circa: un riassetto della materia grigia e di quella bianca, volto a velocizzare e organizzare l’informazione neuronale. Questa spiegazione dovrebbe consolarci: dopo tutto è molto più plausibile della possessione aliena o demoniaca!
Le modificazioni profonde che avvengono a livello neurologico si riflettono nei comportamenti. Anche in quelli alimentari. L’adolescente, in cerca della sua identità e dell’approvazione dei pari, è spinto a condividere con gli amici gli alimenti che in famiglia gli vengono concessi con regola e moderazione. Egli tende a seguire mode e pubblicità e spesso modifica il suo comportamento alimentare in base al significato simbolico di particolari cibi o a determinate scelte etiche. Spesso l’adolescente tende ad utilizzare il cibo come strumento per controllare le modificazioni che il proprio corpo subisce durante questa delicata ed esplosiva fase di crescita. Con le sue scelte drastiche e irrazionali, a volte, ci segnala disagi e malumori che ci inducono a riflettere, soprattutto in quest’epoca di repentini cambiamenti sociali, in cui l’indebolimento dei modelli familiari lascia spazio a quelli imposti dai mass-media.
Cosa ci dice, in fondo, l’adolescente? Ci comunica, con i suoi sbalzi di umore, la difficoltà di un cambiamento, la fatica di trovare una collocazione, un ruolo, un tempo e uno spazio nell’ambito familiare e in quello sociale. Ci indica, con le sue scelte alimentari poco corrette, che ha bisogno di provare, assaggiare, gustare cibi alternativi, proibiti e poco sani perché essi esistono, fanno parte degli ambienti che frequenta e nei quali non potrebbe non condividerli. Ci informa che vuole sentirsi uguale agli altri e degno di attenzione, che è in grado di gestirsi da solo anche a tavola e che è il momento di recidere quel legame così stretto e profondo che lo ha tenuto legato alla nutrice e alle sue regole. Facciamocene una ragione.
D’altra parte, se la regola dell’alimentazione corretta è stata e continua ad essere presente sulla tavola di casa, è poco probabile che il nostro piccolo grande uomo, o la nostra piccola grande donna, se ne allontani definitivamente, una volta assaporate ed esperite l’autonomia e l’ebbrezza della scelta trasgressiva. Perché, in fondo, ciò che conta dal punto di vista educativo/nutrizionale è già stato. Quella guida elastica ma determinata, quella autorevolezza accogliente e consapevole, quella dipendenza stretta da cui germoglia l’autonomia si sono già compiute quando nostro figlio era ancora un bambino.
Riflettendoci bene, quindi, il nostro uomo in erba, che sperimenta e rifiuta, accoglie e differenzia, chiude canali comunicativi canonici e ne apre di nuovi e insoliti, dopo tutto ci offre un’occasione preziosa per riflettere su ciò che è stato ed è il nostro stile alimentare (e non solo); ci pone di fronte alla possibilità di rivalutare, ponderare e, qualora fosse il caso, ripensare le nostre scelte alimentari. Come se imparassimo di nuovo a diventare grandi, con quel pizzico di euforica sapienza che il nostro adolescente di casa, ogni giorno, ci regala.
Ti racconto la terra, presentazione presso Il Catrino Agriturismo
Cibus in fabula
Cammina cammina, sbriciolando con perizia il pane per ritrovare la strada del ritorno, un bimbo alto quanto un pollice intravide, nel bosco fitto fitto, una bambina con la mantella rossa che recava con sé un cestino pieno di focaccia. Fu tentato, allora, di seguirla, tanto era invitante quell’aroma di cose buone appena sfornate che si andava diffondendo fra gli alberi. Alla fine, però, decise di proseguire per la sua strada. La sua scelta fu premiata da una visione celestiale: una casetta di marzapane e leccornie di ogni genere. Che strana casa – pensò avvicinandosi. La porta incastonata fra confetti e biscotti, le finestre socchiuse con sporti di torrone e frutta candita. Che meraviglia! Sarebbe rimasto incantato tutto il pomeriggio e avrebbe anche fatto qualche assaggio se non fosse stato distratto dal fragore e il polverone alzati da un’enorme zucca gialla tirata da cavalli lanciati al galoppo!
Perbacco! Un po’ di rispetto per chi va a piedi! – borbottò.
Subito dopo, riprese il cammino, continuando a sbriciolare il suo tozzo di pane, fino a quando, al bordo del bosco, lungo una vigna ben curata incontrò una volpe che vociava e spettegolava contro un grappolo d’uva nera e poco più in là una vecchia bitorzoluta che carezzava una mela rossa, cantilenando fra sé e sé una formula magica.
Ce n’è sono di stranezze in questo bosco – pensò – ma non si dette pena più di tanto e continuò il suo cammino, ignaro che poco più avanti si sarebbe trasformato nell’ambito pranzo di un orco così cattivo che ancora, ogni tanto, me lo sogno anch’io!
Cari lettori, basta fare un piccolissimo sforzo di memoria per ricordare le favole di cui abbiamo fatto scorpacciate da bambini e per individuare in ognuna di esse almeno un cibo, carico di simbologie e significati profondi. In realtà (anche se nelle favole di codesta ce n’è davvero poca!), si tratta spesso di “presenze” funzionali alla storia e quindi di “veicoli” attraverso i quali far passare messaggi con maggiore facilità.
Perché proprio il cibo? – vi chiederete. La risposta è a portata di mano, sapete?
Pensate alla strega cattiva che offre a Biancaneve un fiore o un pettine avvelenato. Pensate a Pollicino che, per individuare la strada del ritorno, lega brandelli di stoffa ai cespugli e ai rami degli alberi; o a Cenerentola, che si fa portare al ballo in una carrozza vera, o in biciletta! Pensate, infine, alla povera Cappuccetto Rosso con un cestino vuoto oppure pieno di panni da far stirare alla nonna!
Niente da fare, il cibo è più affascinante, coinvolgente, stuzzicante, magico, miracoloso. È qualcosa di familiare, direi irrinunciabile, che diventa noi e di cui abbiamo, o dovremmo avere, rispetto. In alcune favole addirittura si identifica con noi stessi, che diveniamo cibo per orchi ed altre creature fantastiche, mentre si risveglia quell’atavico terrore di essere mangiati, anziché ed ancor prima di mangiare!
Cibus in fabula est, come nei racconti d’infanzia dei genitori, in cui c’è sempre qualcuno che non vuole mangiare e qualcun altro che invece mangia troppo; come nei racconti di guerra dei nonni, in cui i cibi più poveri diventano una benedizione. E tutti a bocca aperta ad ascoltare; tutti attenti e curiosi a far domande, per imparare dagli altri la vita, sgranocchiando magari un buon biscotto di pasta frolla.
Detta così, sembra una storiella di tempi lontanissimi; mentre, posso assicurarvi, che non sono passati poi così tanti anni. Cos’è accaduto? I bambini hanno ancora bisogno delle favole, i nonni hanno ancora bisogno di raccontarle, anche se il mondo è cambiato in fretta e Cappuccetto rosso vagabonda nel bosco con le cuffie nelle orecchie e il paniere pieno di tè alla pesca e merendine confezionate che non profumano per niente; Pollicino non ha paura di perdersi perché verrebbe localizzato tramite il suo cellulare; Biancaneve non rischia la vita perché non mangia né frutta né verdura, la volpe non disprezza l’uva perché deve darsi troppa pena per trovare un bel campo coltivato e Cenerentola prende comodamente un treno ad alta velocità che la porta dritta al castello!
Eppure, in questi giorni di festa, ho sbirciato (e non me ne vogliate!) attraverso qualche finestra e ho visto mani che impastavano e teste curiose di bimbi gironzolare per la cucina piena di colori e di teglie da infornare. Nulla è perso se ancora qualcuno fa i biscotti, e se qualcuno ancora li mangia, ridendo e giocando con le dita sporche di farina.
Anche questa sembra una favola; invece, credetemi, è realtà!
Pubblicato su manidistrega.it
La recensione pubblicata su Il Gazzettino!
Giusi D’Urso ci “racconta” la terra.
di Rodolfo Amodeo
Una nuova pubblicazione della biologa nutrizionista, originaria di Francavilla di Sicilia, sull’importanza ed il “fascino” di una corretta alimentazione basata sui prodotti agricoli coltivati in maniera naturale, così come facevano i nostri nonni
Con l’ultima sua fatica editoriale “Ti racconto la terra”, Giusi D’Urso, biologa nutrizionista e patologa clinica originaria di Francavilla di Sicilia e residente a Pisa ormai da trent’anni, è riuscita ancora una volta a coniugare la sua professione con l’amore per la scrittura. In questa sua nuova pubblicazione, edita per i tipi della “ETS”, affronta infatti con abile stile divulgativo le varie tematiche legate alla buona e sana alimentazione derivante dall’uso dei genuini prodotti dell’agricoltura. Ed alle interessanti informazioni e considerazioni dell’autrice, si intervallano le testimonianze e gli “amarcord” di Stefano Berti, direttore della “Confederazione Italiana Agricoltori” (C.I.A.) di Pisa, sull’antico mondo contadino.
Nelle cento pagine di “Ti racconto la terra”, Giusi D’Urso invita il lettore a seguire uno stile nutrizionale “in simbiosi” con l’ambiente in cui vive, evitando tutti quegli alimenti propinati dalle mode e dalla pubblicità, ma che non appartengono alla nostra cultura alimentare e che, soprattutto, vengono prodotti “forzando” i processi biologici naturali pur di soddisfare le esigenze dell’industrializzazione e della globalizzazione.
E, quasi parafrasando il vecchio motto “dimmi come mangi e ti dirò chi sei”, la biologa siculo-toscana dimostra la stretta correlazione tra l’odierno “modus vivendi”, all’insegna della fretta e della superficialità, ed il contenuto dei nostri piatti, dove regnano sovrani alimenti industriali di facile e veloce preparazione, ma ricchi di additivi, grassi e zuccheri e poveri di vero nutrimento.
Continua a leggere su RodolfoAmodeo
A La Dolce Linea si parla di Ti racconto la terra e di Nutrizione infantile
Le ore piccole in radio!
In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, ho fatto le ore piccole con RadioRAI1!
Ecco il podcast della trasmissione
Inutilmente fortificati
Il termine “fortificazione” viene utilizzato per indicare l’aggiunta a un alimento di micronutrienti (sali minerali, vitamine, ecc.) che lo rendano maggiormente nutritivo. La nascita di questi prodotti risale agli inizi del secolo scorso e trae origine dalla volontà di far fronte alle patologie causate da carenze vitaminiche e micronutrienti. Nei primi decenni del novecento comparvero, dunque, i primi alimenti fortificati: in Danimarca la margarina con vitamina A, in molti paesi europei e statunitensi la farina con ferro e vitamine del gruppo B.
Assodata la sua utilità in alcuni particolari contesti, a me, che vivo in Toscana, famosa per la varietà, la ricchezza e la qualità dei suoi prodotti alimentari, francamente, la fortificazione alimentare preoccupa non poco. Non voglio fare la guastafeste, ma ho la netta sensazione che i consumatori, inevitabilmente, percepiscano tali cibi (in genere, industriali) come “migliori”, più sani e salutari, tendendo a sceglierli a priori. “Mio figlio non mangia il pesce, ma gli compro il latte con gli omega tre!”, “I miei figli non mangiano la frutta, ma consumano ogni mattina un succo con le vitamine A, C ed E e cereali con fibra aggiunta”, e così via. Ebbene, complice anche l’estrema accessibilità di questi prodotti (si trovano facilmente sugli scaffali dei supermercati) si rischia a mio avviso di diseducare al buon cibo, all’alimentazione varia e colorata, alla scelta e al gusto e si finisce per giustificare ed arrendersi a determinati rifiuti, senza nemmeno provare a superarli. D’altra parte, un’alimentazione varia ed equilibrata, in condizione fisiologiche, non necessita affatto di integrazioni e fortificazioni. L’importante è nutrirsi di alimenti stagionali, prodotti nel territorio in cui viviamo, freschi e colorati come solo Madrenatura è capace di produrre. Avete provato a fare un giro in un’azienda agricola toscana in questa stagione? Le Brassicacee ci offrono uno spettacolo variopinto, con i loro cavoli e le loro verze. A ogni colore corrisponde una ricchezza di micronutrienti capaci di proteggerci da svariate malattie. Che dire, poi, dei nostri piatti tradizionali come la ribollita, la zuppa toscana, ricchi di fagioli e cavoli (verza e nero)! Essi recano con sé la saggezza contadina che associa gli ortaggi dell’orto ai legumi e il pane casalingo (cereali), rispondendo ai fabbisogni dell’organismo e gratificando il palato. D’altra parte, per fare un pieno di vitamine e fibra è importante anche consumare frutta fresca, matura al punto giusto e sceglierla colorata e profumata. Non dimentichiamo, poi, di trascorrere più tempo possibile all’aria aperta e di muoverci quotidianamente, per aiutare il nostro organismo a produrre vitamina D e a fissarla nelle ossa.
In conclusione, dunque, come comportarsi, quindi, davanti alla scritta “con l’aggiunta di …”? Come si faceva saggiamente un tempo davanti a qualsiasi acquisto: chiediamoci se ne abbiamo davvero bisogno.
Articolo apparso su Il Tirreno il 16 dicembre 2014

La pazienza per noi stessi
A volte alcuni gesti ci sembrano, dopo il tempo di un rapidissimo ritorno alla razionalità, sciocchi e, in fondo, privi di significato e di buon senso. La verità, invece, è un’altra. Gli slanci che illuminano o rabbuiano una giornata o un solo istante sono, forse, risposte sensate a richieste del nostro corpo e della nostra mente che non riusciamo a decifrare. E quando dico corpo, così come quando dico mente, intendo quella “chimica” che è segnale preponderante e atavico e che domina su tutto. Facciamocene una ragione.
Capita quindi di ritrovarsi ad abbracciare un albero, di correre incontro a un amico che ci è mancato, di piangere per la fine di un film o di riempirci di cibo fino a scoppiare. Capita e ci sembra fuori da ogni logica e dalla “fisiologia”! Ma, quando si parla di risposte chimiche a un qualche bisogno, sia esso fisico o psichico, come facciamo a stabilire con assoluta certezza cosa è fisiologico e cosa, invece, non lo è?
Mi capita spesso di ascoltare il racconto di giovani donne che, in momenti di estrema solitudine e frustrazione, ingurgitano cibo senza sosta e, soprattutto, senza fame. E me lo raccontano con le lacrime agli occhi, terrorizzate dall’essere irrimediabilmente compulsive.
E’ preoccupante, sì, registrare un aumento di questi comportamenti, anche fra i ragazzi e le donne più avanti con l’età. Ma lo è ancora di più notare che, nella nuova e legittima consapevolezza delle persone, maturi il concetto che tutto ciò che accade deve avere necessariamente un nome ed essere assolutamente catalogato come fisiologico o patologico.
Se mangio per una giornata in modo disordinato mi verrà il colesterolo alto; se ieri ho mangiato tutto il pomeriggio senza riuscire a smettere sono bulimica; se mi concedo qualche ora sul divano sono sedentaria, ecc. ecc. Si rischia, così di definire categorie rigide, omologanti, che appiattiscono le identità; che le negano e a volte le annullano.
Per fortuna, invece, non siamo né provette in cui, una volta inseriti determinati reagenti, avremo ovvi prodotti; né scatole Lego, da montare con le istruzioni senza permettersi distrazioni. Siamo dotati di istinto, emozioni, bisogni che insieme compongono ciò che siamo, con i nostri limiti, i nostri punti di forza, le nostre fragilità e i nostri comportamenti.
Se un giorno, quindi, vi capiterà di abbracciare un albero non convincetevi di essere folli, ma solo sensibili e felici di vivere in armonia con la natura. Se vi capiterà di mangiucchiare per tutto il pomeriggio, non sentitevi in colpa; perdonatevi quelle ore di “distrazione” dalle regole e di compensazione di una qualche frustrazione. Se rimarrete silenziosi ed introversi per qualche ora, non sentitevi asociali o depressi, ma solo bisognosi di tempo per rielaborare le vostre emozioni.
Se un inciampo diventa quotidianità, allora sì, andate fino in fondo; ma se esso rimane sporadico abbiate pazienza con voi stessi per quei gesti e quei bisogni fuori dalle righe che ci rendono tanto umani!