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Nutrizione e infiammazione in menopausa – prima parte

Uno degli argomenti che ha attirato maggiormente la mia attenzione negli ultimi anni è il legame fra stato nutrizionale e patologie della donna. E poiché la menopausa è una fase della vita in cui la donna va incontro a moltissimi cambiamenti che possono renderne la salute più fragile, le mie letture si sono orientate in quel senso. Questo è il primo di una serie di articoli che tratteranno dell’influenza degli stili di vita sulla salute della donna in menopausa, con i quali proverò a guidarvi nell’acquisizione di abitudini alimentari (e non) più sane e preventive.

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Introduzione
Molti studi evidenziano che in menopausa sono richieste attenzioni particolari all’aspetto nutrizionale: questa condizione ormonale modifica infatti molti aspetti della salute femminile, ponendo la donna in una condizione di maggiore fragilità rispetto ad alcune patologie.
Il periodo che precede la menopausa perciò diventa un’importante occasione per migliorare le proprie abitudini alimentari e di attività fisica, in modo da ottimizzare lo stato di salute per gli anni a venire.

In generale, i principali problemi cui una donna va incontro nel periodo della menopausa e in quello successivo sono legati all’aumento di peso, alla perdita di massa ossea e muscolare, all’osteoporosi e un aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Inoltre, con l’allungamento della vita media, è aumentato anche l’impatto di alcune patologie metaboliche e neurodegenerative, in particolare il disturbo depressivo maggiore e il morbo di Alzheimer, già di per sé più diffusi nelle donne e maggiormente presenti in menopausa (Dai un’occhiata a questi dati). Il meccanismo che sta emergendo sempre più chiaramente dalle ricerche su questa fase ormonale e il suo corredo di rischio patologico – sia metabolico che scheletrico, cardiologico e neurologico – è rappresentato dall’infiammazione sistemica di basso grado, che però è suscettibile (buona notizia!) ai cambiamenti dello stile di vita, comprese le abitudini alimentari.
Oltre alla maggiore longevità rispetto agli uomini, la vulnerabilità delle donne in menopausa è stata collegata a ulteriori fattori, come influenze genetiche, modificazioni ormonali, determinanti socio-culturali (istruzione e stato occupazionale, storia riproduttiva) [1, 2].
Come già accennato
, l’alimentazione rappresenta un fattore critico, sia come rischio modificabile che come mediatore dell’infiammazione e dell’intensità di alcuni sintomi. La dieta occidentale, uno dei modelli alimentari più diffusi a livello mondiale e caratterizzato da un elevato apporto di grassi saturi e trans, un elevato rapporto omega-6/3, carboidrati raffinati, zuccheri, sale e alimenti ultra-processati, è fortemente associata a elevati livelli di marcatori infiammatori come la proteina C-reattiva (PCR) [3, 4]. Allo stesso tempo, essa è carente di fattori ad azione antinfiammatoria, tra cui fibre alimentari, acidi grassi omega-3 e -9, antiossidanti. È noto che stress, umore disfunzionale e scarsa qualità del sonno, molto frequenti in menopausa, possono determinare preferenze per cibi molto palatabili, ricchi di zuccheri e grassi, esacerbando così il potenziale infiammatorio della dieta occidentale.

Alimentazione e disturbi dell’umore e del sonno
Il desiderio di snack e dolci quando ci si sente ansiosi o depressi è una caratteristica comune alle donne in menopausa [5, 6]. In questa fase ormonale, i disturbi del sonno e dell’umore rendono le donne maggiormente suscettibili al consumo di alimenti ad alta densità energetica immediata [7], in particolare quelli ad alto indice glicemico.
I cibi ad alto indice glicemico hanno la capacità di aumentare rapidamente la glicemia e innescare un picco di insulinemia, favorendo l’accumulo di glucosio nelle cellule e portando ad un aumento di peso, (vedi Focus sugli zuccheri e sul confort food). L’alta palatabilità del confort food è stata associata al rilascio di endorfine, con conseguente amplificazione del circuito di ricompensa e sensazione di piacere [8]. Ulteriori studi hanno dimostrato che anche il glucosio ha la capacità di innescare il rilascio di dopamina insieme alle endorfine nel cervello [9]. Dato che la menopausa di per sé è associata a una diminuzione del livello di oppioidi, questa condizione potrebbe contribuire a favorire la plus-richiesta di glucosio. L’assunzione intermittente e frequente di glucosio può portare a una dipendenza da zucchero [10, 11].

Riduzione dei livelli di estrogeni: conseguenze sul metabolismo e sul peso
La riduzione di estrogeni che si verifica in menopausa ha un impatto diretto sul metabolismo lipidico, il consumo di energia e l’accumulo di massa grassa nei distretti addominali/viscerali. È stato ampiamente dimostrato come questa fase sia associata all’aumento di peso.
Cosa ci dicono in tal senso gli studi più importanti? Lo studio SWAN ci dice che le donne di mezza età subiscono una redistrubuzione del grasso corporeo, che l’accumulo è maggiore nella post menopausa piuttosto che nella pre menopausa e che le donne studiate hanno guadagnato in media 0,7 kg all’anno. Il Nurse Health Study registra invece una media di 3 kg in più in 8 anni di follow-up, per una media di 0,4 kg l’anno. Nel complesso, la massa magra (muscoli e ossa) diminuisce, mentre la massa grassa aumenta, in particolare quella addominale, che agendo come organo endocrino innesca il rilascio di citochine proinfiammatorie, oltre a favorire comorbidità cardiache e metaboliche [12]. E’ importante sottolineare, però, che la menopausa non è il solo fattore di rischio di obesità nelle donne, ma che quest’ultima risulta essere associata a sintomi della menopausa più intensi (valutati dall’indice della menopausa di Blatt-Kupperman o dal questionario sulla qualità della vita specifico per la menopausa, MENQOL *).
Tuttavia, gli studi relativi all’influenza della modificazione dietetica sull’aumento di peso in menopausa ci lasciano qualche dubbio riguardo alla sua esclusiva responsabilità. Sembra invece che l’ipotesi più corretta possa essere associata a un rallentamento metabolico e a un potenziale aumento degli spuntini altamente calorici durante la transizione dall’età fertile alla menopausa, fattori che potrebbero produrre un graduale aumento di peso. Questa ipotesi sarebbe coerente col fatto che piccoli e specifici cambiamenti nel comportamento alimentare potrebbero rimanere scarsamente rilevati dai comuni strumenti di indagine e restare così sottostimati [13, 14].

Alimentazione e infiammazione.
Una dieta ricca di zuccheri è stata ampiamente associata all’infiammazione sistemica che porta a disfunzioni del sistema immunitario e/o all’alterazione della permeabilità intestinale [15]. Quando parliamo di zuccheri alimentari, ci riferiamo soprattutto al saccarosio, disaccaride composto da una molecola di glucosio e una di fruttosio. Questi due monosaccaridi sono isomeri (cioè, hanno la stessa formula molecolare, con differente disposizione degli atomi nello spazio), ma presentano un metabolismo differente. In particolare, il fruttosio ingerito, al contrario del glucosio, non provoca secrezione diretta di insulina e non ha bisogno di questo ormone per entrare nelle cellule; pertanto, il suo metabolismo non è regolato da alcun feed-back.
Inoltre, gli zuccheri alimentari, e il fruttosio in particolare, hanno la capacità di promuovere la sintesi de novo di acidi grassi liberi [16] e la conseguente produzione di grassi di accumulo, oltre che di sottoprodotti metabolici come il lattato o l’acido urico, capaci a loro volta produrre stress ossidativo e infiammazione [17]. Un altro fenomeno legato all’eccesso di fruttosio è la glicosilazione avanzata, con liberazione di prodotti metabolici tossici, prevalentemente proteine  glicosilate, il cui accumulo è associato allo stress ossidativo e all’infiammazione [18]. Inoltre, una dieta ricca di fruttosio e saccarosio induce stress ossidativo nel reticolo endoplasmatico delle cellule intestinali, portando a un “allentamento” delle giunzioni strette fra gli enterociti e quindi a un aumento della permeabilità intestinale, con conseguente disregolazione immunologica [19].
Anche il glucosio, sebbene sia essenziale per una corretta funzione immunitaria, ad alte dosi ha un effetto deleterio sulle stesse cellule immunitarie [20], in quanto fattore scatenante del citochine pro-infiammatorie. Nonostante i diversi percorsi metabolici, fruttosio e glucosio sembrano quindi essere ugualmente coinvolti nei fenomeni proinfiammatori.
È interessante notare che gli zuccheri aggiunti provenienti dalle bevande edulcorate, indipendentemente dalla loro natura, sono stati associati a una maggiore presenza di marcatori infiammatori e a un maggiore picco glicemico rispetto a quello generato dagli zuccheri presenti negli alimenti [21]. E’ noto da tempo che gli zuccheri raffinati e con indice glicemico elevato (tipicamente presenti nelle comuni bevande edulcorate) sono associati allo stress ossidativo, all’attivazione di vari percorsi pro-infiammatori e ai marcatori infiammatori elevati (come la proteina C reattiva). Al contrario, i carboidrati a basso indice glicemico (complessi e da fonti integrali) sono associati a una diminuzione del livello di indici infiammatori [22].

Anche i grassi alimentari hanno effetti pro-infiammatori. È stato dimostrato che gli acidi grassi saturi (SFA) sono associati all’infiammazione attraverso diverse vie: in particolare, l’attivazione di recettori di membrana coinvolti nella risposta immunitaria innata, la produzione di ceramide (particolari molecole lipidiche della membrana cellulare) e la formazione di grosse strutture lipidiche. Una dieta ricca di grassi è peraltro associata a un elevato passaggio di lipopolisaccaride batterico (LPS) attraverso la parete intestinale. Il LPS può attraversare la barriera intestinale attraverso vie transcellulari  (chilomicroni, assorbimento lipidico) o vie paracellulari come avviene nell’intestino permeabile [23]. Una dieta ricca di grassi può portare, fra gli altri effetti, all’accumulo intracellulare di acido palmitico che genera la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e il rilascio di proteine pro-infiammatorie. Allo stesso modo, gli acidi grassi trans, che provengono principalmente da grassi idrogenati dei cibi industriali e dalla cottura prolungata degli oli vegetali, sono associati all’attivazione di vie pro-infiammatorie e all’aumento di marcatori come la proteina C reattiva [24]. Infine, due parole su omega 6 e omega 3: gli acidi grassi polinsaturi n-6, i cosiddetti omega-6, sono precursori delle prostaglandine e leucotrieni, molecole essenziali per l’insorgenza dell’infiammazione. Al contrario, gli omega-3, hanno proprietà antinfiammatorie e sono i precursori di mediatori dello “spegnimento” del processo infiammatorio. Un elevato rapporto n-6/n-3, tipico delle diete occidentali, contribuisce al mantenimento e all’amplificazione del quadro infiammatorio [25 , 26, 27].

Dieta e permeabilità intestinale
Fondamentale per il nostro sistema immunitario risulta essere l’integrità della parete intestinale, che si basa, in particolare, sui seguenti fattori: lo spessore del muco intestinale (barriera fisica che protegge gli enterociti) e l’integrità delle giunzioni strette. Quando questa barriera è danneggiata (intestino permeabile) si verifica il passaggio di endotossine o PAMP (Pathogen Associated Molecular Patterns, come l’LPS) nel tessuto sottoepiteliale e nel flusso sanguigno sottostante, il che porta a infiammazione locale e sistemica [28, 29].
Il microbiota intestinale è definito dai microrganismi (principalmente batteri) che sono ospitati e vivono in simbiosi nel nostro tratto intestinale. La biodiversità e l’abbondanza del microbiota sono protettive per la nostra salute: alcune specie batteriche possono aumentare (tra gli altri benefici) lo spessore del muco intestinale, promuovere la funzionalità e l’aumento delle giunzioni strette, oltre al rilascio di acidi grassi corti (SCFA) – acetato, propionato e butirrato. Questi prodotti metabolici hanno un ruolo trofico per gli enterociti (soprattutto il butirrato), in quanto migliorano la funzione di barriera intestinale, favoriscono l’espressione delle giunzioni strette ed esprimono proprietà antinfiammatorie [30, 31, 32].
La disbiosi intestinale, definita come disequilibrio batterico sia qualitativo che quantitativo, si verifica con maggiore frequenza negli individui anziani; questa evenienza è coerente con il fatto che l’invecchiamento è legato all’infiammazione cronica, o “inflammaging”, considerata un fattore di rischio per varie malattie [33]. La composizione del microbiota è fortemente influenzata anche dall’assunzione alimentare: una dieta ricca di fruttosio porta a disbiosi con una riduzione dei batteri produttori di butirrato e aumento di batteri Gram-negativi, portatori di LPS [34, 35].
Ma di cosa si nutrono i nostri batteri?
La fibra alimentare derivata da alimenti di origine vegetale è il principale substrato del microbiota intestinale, modulando la diversità e l’abbondanza delle specie batteriche: il ruolo protettivo di una dieta ricca di fibre per la salute generale e l’integrità intestinale è ben documentato [36]. Al contrario, il basso apporto di fibre, caratteristico della dieta occidentale, è stato associato alla disbiosi, all’alterazione della permeabilità intestinale e alla successiva infiammazione di basso grado [37].

Dieta e neurogenerazione
L’alimentazione occidentale con il suo apporto infiammatorio è associata a disturbi dell’umore, del sonno e dell’ansia, condizioni che danneggiano la permeabilità intestinale e a lungo andare diventano fattori di rischio per lo sviluppo di patologie psichiatriche e neurodegenerative [38]
Nei modelli animali, gli studi hanno dimostrato che gli stress (psicologici, fisici o sociali) portano a un aumento della permeabilità intestinale. Attraverso la produzione di cortisolo, lo stress provoca un aumento della disponibilità di nutrienti, acqua ed elettroliti (incluso il sodio) che possono aiutare l’organismo a far fronte al presunto “pericolo”. A causa della connessione umorale (ad esempio attraverso catecolamine, cortisolo) e nervosa (fibre nervose simpatiche adrenergiche) tra l’intestino e il cervello, l’aumentata disponibilità di acidi grassi può contribuire ad aumentare la permeabilità intestinale, consentendo il trasferimento di endotossine con l’innesco successivo di un’infiammazione di basso grado [39].
Di recente è stato stabilita una forte connessione tra disturbi del sonno e infiammazione sistemica di basso grado, mediata da una serie di percorsi organici e sistemici interconnessi. Questi includono disregolazione immunitaria, squilibri ormonali e alterazioni metaboliche. I disturbi cronici del sonno sono infatti collegati a livelli elevati di marcatori infiammatori come PCR, interleuchina-6 (IL-6), fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) e all’aumento di cortisolo [40].

Conclusioni
La menopausa è un periodo critico nella vita di una donna che si estende ben oltre l’invecchiamento riproduttivo, comprendendo profondi cambiamenti ormonali, metabolici e neurobiologici. Nuove evidenze sottolineano il ruolo dell’infiammazione cronica di basso grado come filo conduttore che la menopausa a una maggiore suscettibilità a varie patologie, compresi depressione maggiore e a malattie neurodegenerative. I comportamenti alimentari, in particolare l’adozione di un modello alimentare occidentale, possono esacerbare questo stato infiammatorio, contribuendo alla disregolazione metabolica e alterando l’asse intestino-cervello. Questi fattori combinati possono, nel tempo, compromettere la funzione cognitiva e la salute mentale.
Ad oggi lo stile di vita rappresenta ancora e sempre di più il fattore preventivo più potente, oltre che più economico.
Nei prossimi articoli vedremo nel dettaglio il ruolo dell’alimentazione prevalentemente vegetale e a basso impatto infiammatorio.

 

*Entrambi i questionari contengono criteri di disturbo dell’umore e del sonno e di compromissione cognitiva.

Bibliografia

Recensione di Ultracorpi di Francesca Marzia Esposito (minimum fax, 2024)

Ultracorpi di Francesca Marzia Esposito (minimum fax, 2024) è un saggio narrativo sulla ricerca della perfezione corporea. L’autrice ne parla attraverso una scrittura superba e intrecciando approfondimenti su fatti e personaggi a racconti autobiografici .
C’è un’immagine che si specchia e produce uno sdoppiamento: due tipologie di corpi che, l’uno di fronte all’altro, mostrano il lavoro meticoloso, estremo e diametralmente opposto che ha come obiettivo La ricerca utopica di una nuova perfezione, come recita il sottotitolo. Due parti del libro, due modelli, un fratello e una sorella: l’uno dedito al body building e l’altra alla danza classica. Da questo confronto l’autrice parte per dipanare storie, raccontare biografie di personaggi illustri e non, porsi (e porci) domande.

In Ultracorpi non ci sono moniti né giudizi, ma fatti e considerazioni filosofiche su cosa certe scelte e certi comportamenti possano produrre e comunicare; su quanto a volte sia labile il confine fra la cura del corpo e il desiderio di perfezione che sconfina nell’ossessione, invade ogni angolo dell’esistenza, diventa patologia.
Continua a leggere su lasecondapelle.it

Un corso ECM sulla selettività alimentare

Il problema della selettività alimentare in età pediatrica e adolescenziale è sempre più frequente, sia nella pratica ambulatoriale che in ambito di ristorazione scolastica. Tempo fa, l’associazione Food Insider mi ha chiesto di parlarne in alcuni brevi video informativi.
La questione più annosa, oltre al problema in sé, è la mancanza di competenze diffuse sul territorio nazionale. Questo costringe le famiglie con bambini selettivi a una ricerca affannosa di professionisti in grado di strutturare percorsi adeguati, personalizzati, in team con logopedisti e altri professionisti sanitari.
Da queste necessità e dall’esperienza pluriennale mia e della mia collaboratrice dott.ssa Gloria Bianchi, nasce il corso accreditato “Selettività alimentare: caratteristiche e strategie nutrizionali”, aperto a biologi, medici, dietisti e psicologi, che garantisce 10 crediti ECM.
Il corso è aperto anche a studenti o professionisti che non hanno bisogno di crediti.
Di seguito il programma

25 ottobre 2025 | Ore 9:00 – 17:00

Mattina | 9:00 – 13:00

  • Selettività alimentare: dalla fisiologia ai comportamenti disfunzionali

  • Comportamenti disfunzionali: caratteristiche, sfumature, diagnosi

  • Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID): epidemiologia e profilo clinico

Pomeriggio | 14:00 – 17:00

  • Strategie nutrizionali per la prevenzione

  • Intervento nutrizionale nei casi di selettività conclamata

  • Approccio nutrizionale in soggetti con ARFID

  • Lavoro multidisciplinare e coinvolgimento dei genitori

I costi:

Con crediti ECM €130,70
Senza Crediti ECM € 100,00

Di seguito, il link al quale troverete i video sulla selettività alimentare:
Video-pillole sulla selettività alimentare – Pane e parole

Equilibri biologici e salute umana

Negli ultimi dieci anni la mia attenzione e il mio interesse alla relazioni ecologia batterica-salute umana si sono arricchiti di uno sguardo più ampio verso altri equilibri e relazioni in apparenza lontanissimi eppure così strettamente legati alla nostra salute da non poterne prescindere. Studiando le conseguenze della perdita della biodiversità nelle varie nicchie ecologiche della Terra, appaiono ovvie e meravigliose la misura e la modalità con cui ogni sistema si tiene, si lega e si influenza reciprocamente. E come l’attività antropica influisce su questa meraviglia. Se gli equilibri biologici ambientali delle foreste e degli oceani vengono modificati dalle attività umane, la qualità della nostra vita non può che peggiorare.
Gli aspetti più preoccupanti sono la lentezza con cui i governi si attivano in direzione eco-correttiva e il crescente negazionismo che ogni giorno pervade i contesti di comunicazione e informazione. Mentre ne scrivo, mi sento inutile, disarmata, impotente, pur sapendo quanto valore abbia l’impegno individuale nei contesti in cui si può metterlo in pratica. Il mio contesto, con i miei minuscoli mezzi e la mia piccola testa, è lo studio, la pratica ambulatoriale, la divulgazione di informazioni e contenuti. Ma la frustrazione nel farlo è un sentimento inevitabile, tanto la tenacia nel continuare a farlo. Ecco dunque, un altro piccolo pezzo di strada che vorrei condividere con chi legge.

Questo contributo non ha la pretesa di aggiungere valore ad argomenti così innegabilmente validi e importanti, ma semmai di mantenere alte curiosità e attenzione in chi, come me, lavora nel capo sanitario. La speranza è quella di essere in tanti, sempre di più, di condividere informazioni e dati utili a lavorare meglio e nella direzione giusta. Qual è la direzione giusta? Io credo, sia agire con i propri strumenti nel rispetto degli equilibri biologici umani, sapendo che non sono gli unici importanti, ma che al contrario dipendono profondamente dal resto dei sistemi e dei contesti ambientali. Ricostruire, ristabilire, ripristinare, in una parola prevenire ciò che possiamo prevenire e trattare come si può ciò che va trattato.
Ma eccoci ai nostri assi, alla nostra meravigliosa realtà biologica, il nostro patrimonio di biodiversità e complessità da cui partire per un percorso di approfondimento e considerazioni sempre più ampie e integrate.

Qualche anno fa, un gruppo di ricercatori guidati dalll’Università di Bologna, ha individuando, attraverso l’analisi del DNA presente in resti fecali risalenti a circa 50.000 anni fa (Uomo di Neanderthal), microrganismi che ancora oggi ritroviamo nell’intestino dell’uomo moderno. Se ci pensiamo, è una scoperta straordinaria che ci avvicina ai nostri lontanissimi progenitori e che ci pone di fronte a una realtà inconfutabile: l’evoluzione ha avvantaggiato alcune popolazioni microbiche intestinali piuttosto che altre e ne ha conservato la biodiversità. Si tratta di ceppi batterici ancestrali con cui nasciamo; batteri pionieri, come li definisce Vassilios Fanos, ordinario dell’Università di Cagliari, studioso di Microbiota e Metabolomica (la scienza che si occupa di metaboliti derivati dai processi cellulari).
La descrizione di uno dei suoi testi più noti (I batteri pionieri pilastri della salute. Gravidanza, nascita, allattamento e crescita tra microbiomica e metabolomica), spiega molto bene l’importanza di conoscere i meccanismi che regolano la relazione fra il corpo umano e i microrganismi che lo popolano: “I batteri, attraverso i metaboliti, dialogano tra di loro, con le singole cellule e con tutti i nostri organi, dal cervello alla bocca, dal polmone alla cute, li orientano e li controllano. La metabolomica ci consente di decifrare queste comunicazioni, che rappresentano il linguaggio segreto del nostro corpo. I veri protagonisti, nella creazione di queste reti di relazioni, sono i batteri pionieri, quelli che per primi, alla nascita, colonizzano i distretti corporei. La conoscenza di queste reti può aiutarci a comprendere meglio le malattie, a curarle e a prevenirle in modo personalizzato. Esiste uno stretto rapporto tra microbiota e alimentazione, quando mangiamo nutriamo anche il nostro microbiota”.
La recente rilettura del saggio di Martin J. Blaser, Che fine hanno fatto i nostri microbi? Come l’abuso di antibiotici aumenta le malattie della nostra epoca (Aboca Edizioni), mi porta ad aggiungere un’ulteriore considerazione a quelle di Fanos: e cioè che lo scardinamento di equilibri biologici ancestrali a causa della scomparsa di ceppi microbici ben selezionati e integrati nelle nicchie biologiche umane non fa che renderci sempre più vulnerabili alle malattie. Negli ultimi dieci anni questa fragilità si configura non solo attraverso la resistenza antibiotica di certi batteri patogeni e come conseguente disfunzionalità dei nostri sistemi (immunitario, endocrino, renale, cardiocircolatorio e metabolico) che risultano così maggiormente predisposti alle malattie. Dagli anni settanta a oggi, Blaser ha studiato la relazione fra lle variazioni dell’ecologia di specifici ceppi batterici e l’aumento di incidenza di alcune patologie, fra cui il diabete mellito di tipo 1 e l’obesità giovanile.

Torniamo all’intestino. Oggi sappiamo che il microbiota intestinale è coinvolto in importanti funzioni metaboliche, di protezione, di sintesi e che influenza le azioni di diversi organi, come il cervello, il tessuto adiposo, il pancreas endocrino e il muscolo scheletrico.
Ne consegue che chi si occupa di salute deve considerare l’organismo umano in tutta la sua complessità e biodiversità con particolare attenzione agli assi microbiotici. Vediamoli in sintesi.

Fonte: Impact of gut microbial dysbiosis in human diseases (Shinga et al. 2023)

Asse intestino-cervello
Che tra il microbioma intestinale umano e il cervello vi sia un asse funzionale con cui i due sistemi (gastrointestinale e neurologico) comunicano e si influenzano reciprocamente è noto da molti anni. Così com’è nota l’importanza degli strumenti nutrizionali, dei probiotici e dei prebiotici come supporto al buon funzionamento dell’asse intestino-cervello.
Sappiamo da tempo che i lipopolisaccaridi batterici forniscono una stimolazione tonica di basso grado del sistema immunitario innato e che una stimolazione eccessiva dovuta a disbiosi batterica, con conseguente permeabilità intestinale, può produrre un’infiammazione del sistema nervoso sistemico e/o centrale. Gli enzimi batterici, inoltre, possono produrre metaboliti neurotossici come l’acido D-lattico e l’ammoniaca. D’altra parte, i microbi intestinali, in stato di eubiosi o di disbiosi, sono in grado di produrre ormoni e neurotrasmettitori identici a quelli umani, influenzando così la risposta immunitaria. Attraverso questi e altri meccanismi, molti dei quali mediati dal nervo vago, il microbiota intestinale modula il sonno e la risposta allo stress, l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. L’asse intestino-cervello è in grado inoltre di influenzare la memoria, l’umore e la concentrazione.

Generi batterici identificati nel microbiota del latte materno (Londono-Sierra et al. 2023)

Asse microbiota mamma-bambino
Esistono prove sempre più evidenti che la dieta, lo stato nutrizionale delle donne durante la gravidanza e la composizione microbica del latte materno possono modulare il microbiota intestinale del neonato. Si stima infatti che circa il 25-30% del microbiota infantile abbia origine nel latte materno, il cui microbiota centrale è composto da nove generi (specie diverse di Staphylococcus, Streptococcus, Serratia, Pseudomonas, Corynebacterium, Ralstonia, Propionibacterium, Sphingomonas e Bradyrhizobium).
Sappiamo già da qualche anno che la genetica dell’ospite (nutrice), l’ambiente prenatale e la modalità di parto possono modellare il microbioma del neonato alla nascita. E che in seguito, fattori postnatali come il trattamento antibiotico, la dieta o l’esposizione ambientale, modulano ulteriormente lo sviluppo del microbioma e del sistema immunitario del neonato, proteggendolo oppure esponendolo a patologie di vario tipo. Diventa importante, dunque, comprendere la composizione del microbioma nelle prime fasi della vita.

Rappresentazione dell’eubiosi e della disbiosi e dei relativi effetti e conseguenze. Fonte: Myokines and Microbiota: New Perspectives in the Endocrine Muscle–Gut Axis. Saponaro. F. et al, Nutrients, 2024

Asse intestino-muscolo
Gli studi sulla modalità con cui i microrganismi del microbiota intestinale riescono a modificare la quantità e la qualità della massa muscolare, i processi anabolici e catabolici e le funzioni del muscolo scheletrico, sono sempre più numerosi e sempre più interessanti. Essi rivelano anche che il microbiota intestinale è  a sua volta modificato dal muscolo. Sembra dunque che il microbiota intestinale possa influenzare (in maniera positiva o negativa) la massa e la funzione muscolare regolando il metabolismo delle sostanze e dell’energia, la sensibilità all’insulina, l’infiammazione, l’immunità sistemica e la produzione di miochine.
Di recente ho partecipato alla pubblicazione su Nutrients di una review che spero renda più chiaro questo equilibrio così complesso. Il testo è consultabile gratuitamente.

Asse intestino-vagina-vescica
Il microbiota vaginale umano comprende una vasta gamma di microrganismi benefici (soprattutto Lattobacilli) e agenti patogeni opportunistici. Per studiare il microbiota vaginale sono stati sviluppati molteplici approcci che coinvolgono le tecnologie “-omiche”. L’integrazione dei dati provenienti dalle scienze “-omiche” permette di decifrare informazioni funzionali provenienti da comunità microbiche complesse attraverso l’associazione di profili batterici e metabolici. La disbiosi vaginale è spesso associata a diverse malattie ginecologiche (ad esempio vaginosi batterica, candidosi vulvovaginale, infezioni da Clamidia) e urologiche (cistiti recidivanti). Negli ultimi dieci anni le indagini sul microbiota vaginale sono aumentate in modo esponenziale. Questi studi hanno rivelato che la composizione microbica vaginale è in stretta relazione con quella intestinale e che l’asse intestino-distretto vaginale influenza anche la salute delle vie urinarie.

Asse intestino-fegato
In condizioni fisiologiche microbiota intestinale e fegato costituiscono un asse protettivo a difesa dell’organismo. In particolare, questo asse ha un ruolo fondamentale nel prevenire l’infiammazione sistemica: l’integrità della barriera intestinale permette il passaggio di una piccola quantità di prodotti pro-infiammatori batterici e xenobiotici. Questi attraverso la vena porta giungono al fegato dove vengono neutralizzati, prevenendo così l’infiammazione sistemica.
La rottura del delicato equilibrio tra fattori pro-infiammatori e meccanismi di tolleranza provoca una sovracrescita batterica, la disbiosi intestinale e la maggiore permeabilità della barriera intestinale. Ciò induce una risposta immunitaria disfunzionale che alimenta e amplifica l’infiammazione epatica e sistemica.

La complessità di questi sistemi deve indurci a riflettere. Cambiamenti profondi nell’ecologia batterica umana, come quelli indotti dalla resistenza agli antibiotici e dalla diffusione di inquinanti e interferenti endocrini attraverso l’acqua e gli alimenti, influenzano gli equilibri selezionati dall’evoluzione, insieme a quelli animali, vegetali, batterici, attraverso i millenni. Dall’infinitamente piccolo all’inimmaginabile grande, tutto ci imbriglia in una rete di relazioni strettissime e complesse che risentono di ogni cambiamento climatico, di ogni estinzione o sovra-popolamento. Le catene alimentari di tutto il pianeta ci coinvolgono e ci riguardano da vicino; così come gli adattamenti degli altri esseri viventi di nicchie ecologiche terrestri e marine, vicine o lontanissime che siano.
Questo, credo, sia la direzione giusta verso cui guardare, verso cui continuare a muoversi, in scienza e coscienza. Vi aspetto qui per i prossimi passi.

 

Per approfondire

Corso online “Supporto nutrizionale in età pediatrica”

La prevenzione continua a essere importante, anche se non se ne parla quasi più. Io ci credo ancora, per questo continuo a lavorare con i bambini. Quindi, ecco una proposta formativa articolata in tre incontri online.
Il percorso è riservato alle colleghe e ai colleghi interessati alla nutrizione in età pediatrica.

E’ possibile frequentare i seminari online singolarmente o come ciclo completo.

Costo di un seminario 80 € + IVA
Costo del ciclo completo 220 € + IVA
La quota di iscrizione va versata al momento dell’iscrizione.
Non sono previsti ECM.
Gli incontri non vengono registrati, si attivano con almeno 5 iscritti.

La frequenza dell’intero ciclo prevede:
1. il rilascio di materiale didattico consistente in una bibliografia commentata e una dispensa sintetica sugli argomenti trattati;
2. un colloquio online o telefonico di 30 minuti relativo a un caso clinico pediatrico;
3. l’inserimento nella mailing list del gruppo Disturbi Alimentari Precoci per restare aggiornati sugli eventi formativi 2024.

Primo incontro

Il primo dei tre incontri online del ciclo verterà sull’inquadramento del caso. In particolare, avrà l’obiettivo di fornire strumenti anamnestici adeguati e plastici, adattabili da caso a caso; si occuperà del linguaggio con cui porsi davanti a una bambina o un bambino, della necessità di procedere attraverso più incontri, della modalità rispettosa e sensibile con cui effettuare le misure antropometriche. Fino al momento in cui, raccolti tutti i dati, siamo pronti a strutturare un percorso di riabilitazione nutrizionale personalizzato e presentarlo ai genitori.

 

Secondo incontro

Durante il secondo incontro parleremo del senso del gusto, di come si instaurano i gusti personali, da cosa vengono condizionati e come condizionano a loro volta il comportamento alimentare. Quest’ultimo è costituito da una serie di dinamiche codificate attraverso la genetica, l’educazione, la tradizione e la cultura. Ma anche fattori come l’etnia, lo stato ormale e l’età hanno una importante influenza sulle scelte alimentari e sulle modalità nutrizionali.

 

 

 

Terzo incontro
Il terzo e ultimo incontro sarà incentrato sugli strumenti necessari a strutturare il percorso genitoriale, parallelo e complementare a quello dedicato al bambino. Dal linguaggio da adottare in famiglia alle modalità di contenimento di eventuali fallimenti e alla valorizzazione degli obiettivi raggiunti, verranno affrontati i modi possibili con i quali inserire nel percorso riabilitativo del bambini la presenza attiva e incoraggiante degli adulti di riferimento.

 

 

 

Per ulteriori informazioni scrivimi: info@giusidurso.com

Social Fame, un libro necessario

All’inizio dell’estate, ho letto Social Fame, Adolescenza, social media e disturbi alimentari di Laura Dalla Ragione e Raffaella Vanzetta, pubblicato da Il Pensiero Scientifico Editore. Delle due autrici e curatrici avevo già letto diversi lavori, fra saggi e articoli, soprattutto per interesse professionale. La lettura di questo testo però ha assunto da subito una connotazione particolare e non solo perché sono una nutrizionista. Di saggi sui disturbi della condotta alimentare ne ho letti molti, ma questo mi è sembrato un testo imprescindibile, uno di quei libri da diffondere il più possibile e di cui parlare in ogni contesto educativo. Per questo, i primi di luglio ho invitato nel mio studio colleghi, lettori comuni, genitori, studenti, educatori a confrontarsi sui temi del libro insieme a una delle autrici, Laura Dalla Ragione, che si è collegata da remoto. Mi è parso un tempo speso bene, un modo utile e interessante di affrontare la questione dei disturbi alimentari e dei social media da punti di vista diversi, in certi casi anche molto distanti fra loro, ma allo stesso modo importanti e necessari.

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Parole, gesti e storie per un’alimentazione sostenibile

Ieri, a Roma, all’Auditorium Parco della Musica E. Morricone, Francesca Mannocchi ha aperto i lavori del Festival “Libri come” incontrando ragazze e ragazzi delle scuole e riflettendo con loro sul potere dei libri e delle narrazioni: “Proviamo a fare un esercizio di pulizia su tutte le cose del mondo – ha detto la Mannocchi alla giovane platea – a cominciare dalle parole: vedrete che se cominciate a usare le parole avendone cura, cambia il mondo che avete intorno”.
È un esercizio universale, questo delle parole, che possiamo fare in ogni ambito della nostra vita e sperimentarne il risultato a breve e a lungo termine.
Con questa idea nella testa ho cominciato a riflettere sulle parole e le narrazioni lette nelle ultime settimane, relative ai cambiamenti climatici, alla riduzione della biodiversità, agli effetti della resistenza antibiotica. Alcune di queste letture sono ancora in corso e riguardano soprattutto testi sui quali vorrei scrivere prossimamente per Quaerere, la rivista a cui collaboro.

Intanto, ho cominciato a fare l’esercizio delle parole.

Parola n. 1: ritmo

immagine dal web

Il lavoro del Sesto Rapporto di Valutazione (qui il sito con il documento ufficiale), che ha coinvolto oltre mille scienziati provenienti da tutto il mondo, si è protratto per otto anni e si è concluso domenica scorsa in Svizzera con l’approvazione del Rapporto di Sintesi. Tra molti dati allarmanti, il messaggio finale tenta la strada dell’ottimismo: «Un’azione urgente per il clima può garantire un futuro vivibile per tutti – assicura il comunicato stampa finale —. Esistono opzioni multiple, fattibili ed efficaci per ridurre le emissioni di gas serra». Ma bisogna cambiare subito marcia: «Il ritmo e la portata di ciò che è stato fatto finora e i piani attuali, sono insufficienti per affrontare il cambiamento climatico» (corriere.it)

In altre parole, siamo lenti. Anche se, almeno in teoria, sappiamo molte cose sulle possibili strategie per arginare i cambiamenti climatici, l’azione sinergica dei governi non è stata e non è sufficientemente rapida da produrre un rallentamento sostanziale, men che meno l’inversione, del disastro climatico in corso.

Parola n. 2: cibo

Uh, che storia lunga e interessante ha il nostro cibo quotidiano!
L’agricoltura ha rappresentato in tempi molto remoti la salvezza del genere umano. “Negli ultimi 11.000 anni della nostra storia, ci siamo messi (…) a produrre da soli il cibo che ci serviva, domesticando animali e piante e trasformandoli in bestiame e coltivazioni. Oggi la quasi totalità degli uomini del pianeta si nutre di cibo che si è coltivato ed allevato da sé, o che è stato prodotto da qualcun altro per essere venduto” (1).
Più cibo a disposizione ha significato dapprima scampare al rischio di estinzione, e dopo, un aumento vertiginoso della popolazione mondiale. Ma essendo l’agricoltura faccenda alla mercé di Madre Natura, dopo molti millenni di tentativi, fatiche e fallimenti, ci si ingegna, come del resto si è abituati a fare dalla notte dei tempi, e si arriva, in epoca più recente, alla rivoluzione verde (secondo dopoguerra) che con il rinnovamento delle tecniche agricole e l’introduzione dei fitofarmaci e degli antibiotici, affranca la produzione di cibo dai capricci di Madre Natura, così da garantire la sopravvivenza e la crescita della popolazione mondiale.
Oggi conosciamo i danni che questa strategia ha prodotto. Dall’inquinamento delle falde acquifere all’impoverimento dei terreni e alla perdita di biodiversità che “parte dagli insetti e, a cascata, travolge interi ecosistemi, su cui aveva messo chiaramente in guardia la biologa Rachel Carson con il suo saggio Primavera silenziosa” (2).

In altre parole, siamo fregati: aria, acqua e suolo non sono più in grado di rigenerarsi; ogni anno arriviamo sgomenti all’Earth Overshoot Day, giorno in cui il nostro Pianeta ha ufficialmente esaurito la propria bio-capacità, ossia le risorse naturali a disposizione per ciascuno dei suoi abitanti per l’anno in corso. Come se fosse una novità. Come se non ne sapessimo nulla. Come si suol dire, caschiamo dal pero, ma presto non avremo più neanche il pero da cui cascare.
Sul suolo, tra l’altro, i dati sono davvero molto allarmanti: “Un terzo delle terre coltivabili è stato reso sterile o gravemente danneggiato dall’uso massiccio di sostanze chimiche e dalle pratiche dell’agricoltura intensiva, che brucia 24 miliardi di tonnellate di suolo fertile ogni anno” (2).

“La morte del terreno è la forma di morte più intransigente, perché chiude qualsiasi possibilità di rinascita” (2).

Parola n. 3: azione

immagine di Elena Ricci

C’è un’azione che mettiamo in pratica a un ritmo elevatissimo e che, cambiandone le modalità, può avere un ruolo importante: è l’atto alimentare.
Sulla Terra siamo moltissimi (8,01 miliardi di individui all’inizio del 2023) e, almeno in questa parte fortunata del mondo, in cui il cibo non è un problema, in teoria sappiamo già cosa fare: ridurre drasticamente il consumo di fonti animali, evitare lo spreco e il packaging, scegliere frutta e verdura biologiche, di stagione e del territorio, eccetera eccetera. Si fa presto, però, a dire mangia vegetale: e se manca l’acqua? E se fa troppo caldo? E se il suolo è impoverito? E se i parassiti rovinano le colture?
Un recente saggio edito da EDT suggerisce lo studio dei progenitori selvatici delle piante edibili, capaci di adattamenti incredibili ad habitat e climi estremi. Sono molte le colture selvatiche antiche arrivate fino a noi grazie alla conservazione in Orti Botanici come quello di Palermo, o Parchi regionali come quello del Monte Linas-Oridda-Marganai in Sardegna. Ma anche alcune collezioni private e iniziative di appassionati di archeo-botanica hanno contribuito alla salvaguardia di specie vegetali molto antiche che contengono nel loro patrimonio genetico informazioni preziose sulle capacità di adattamento.
Prima dell’avvento dell’agricoltura intensiva, “l’agrobiodiversità è stata un fattore di sopravvivenza per le società contadine perché garantiva un approvvigionamento costante per tutto l’arco dell’anno. In questo immenso paniere di frutta e verdura c’erano le varietà precoci, quelle tardive e altre che maturavano nelle più diverse condizioni ambientali. Ogni valle, pianura o litorale aveva un gruppo di ecotipi agricoli, adattati alle caratteristiche del clima locale, che poteva resistere alle avversità ambientali come le gelate primaverili. (…) Ma quello che, allora, era un catalizzatore di stabilità sociale ed equilibrio degli ecosistemi, oggi è stato sostituito dalla filosofia della monocoltura” (3).
Va bene lo studio delle specie antiche e tutto ciò che la ricerca riuscirà a produrre in termini di soluzioni e strategie, ma intanto noi cosa possiamo fare?

Parola n. 4: educazione

Ce ne sarebbero molte altre, di parole, a dire il vero. Rispetto, ad esempio, conoscenza, scelta, riflessione, responsabilità, cambiamento. Ma è sulla parola n. 4 che mi vorrei concentrare, convinta come sono che se è innegabile che l’essere umano è la causa di questo disastro, lo è anche il fatto che deve farsene carico a partire da subito, da quando comincia a mangiare, consumare, scegliere. Quindi, l’educazione ecologica è una priorità assoluta, e a tavola le lezioni iniziano molto presto. Riprendiamo la lista delle piccole azioni quotidiane che moltiplicate per molti milioni di persone possono produrre un cambiamento: ridurre drasticamente il consumo di fonti animali, evitare lo spreco e il packaging, scegliere frutta e verdura biologiche, di stagione e del territorio. Pensate che sia poco? Be’, prendetevi un po’ di tempo per leggere qualcosa in merito (bancoalimentare.it, food4future).

Immagine dell’autrice

Ma come fare a sostituire le cattive abitudini con scelte più virtuose? Se permettete ho qualche consiglio: innanzitutto, smettiamo di pensare al cibo come pozione magica per raggiungere un obiettivo estetico, cerchiamo di sganciare l’attività vitale della nutrizione da quella costruita su modelli inarrivabili che si modificano con il tempo e sono cultura-dipendenti. Pensiamoci come esseri complessi che, come tali, hanno bisogno di nutrienti adeguati alla nostra individualità, al nostro stato di salute, alla nostra età. Dovremmo smettere anche di “vivere per mangiare” e ricondurre la convivialità a un’azione naturale in cui il bello è stare insieme, non riempirsi fino a scoppiare. Un’altra attività che dovremmo ricominciare a praticare è la cura delle relazioni con i produttori: qualcuno lo fa già da anni, ad esempio, attraverso i gruppi di acquisto solidali; ma basta frequentare i mercati contadini, le botteghe di generi alimentari, gli agricoltori che vendono direttamente in azienda. La relazione è quella cosa straordinaria che permette la circolazione di concetti, idee, opinioni e soprattutto fiducia. Ne abbiamo tanto bisogno.
Altro consiglio interessato e, spero, interessante: cerchiamo di pensare al nutrizionista come a un esperto della complessità, non chiediamogli quale cibo fa dimagrire, qual è la migliore pietanza brucia grassi, quale integratore aumenta il metabolismo. Chiediamogli quello che sa fare meglio, per cui ha studiato molti anni e cioè capire come aiutarci a mangiare per stare in salute il più a lungo possibile: la salute dell’uomo viene dalla salute del mondo, e viceversa.
Ai nostri bambini insegniamo che il cibo ha la sua storia, attiriamo la loro attenzione con giochi e racconti che educhino ad alimentarsi in modo sostenibile. Se conosco il cibo, la sua storia, le narrazioni attorno ad esso, quelle che lo precedono e che lo seguono; se conosco ciò che mangio, la provenienza, gli effetti della sua produzione su di me e sul pianeta, se scelgo le parole giuste con cui chiamare il mio cibo, se educo il mio linguaggio e la mia comunicazione al rispetto per l’oggetto che ho nel piatto e per la sua storia, allora l’atto alimentare si trasforma: da un’azione automatica e senza significato, se non quello di riempire lo stomaco, diventa scelta consapevole con effetti sulla salute non solo mia, ma anche del territorio e degli altri.
Ma raccontare storie intorno al cibo è un’attività destinata a tutte le età. Si può raccontare a chiunque, la storia dell’uva di Belpasso nata sulla lava dell’Etna, oppure quella dei filari di Pantelleria o del Bosco di Don Veneziano, in Abruzzo, “maritati” con le querce. Si possono creare laboratori e gruppi di lettura o scrittura creativa, ad esempio, sul corbezzolo “unedo” dalla buccia ruvida e il sapore astringente; sul cedro dalla forma “digitata” per azione di un acaro detto delle meraviglie. Si possono disegnare mappe sulla melanzana che, coltivata per la prima volta in Cina, arrivò in Spagna e poi in Sicilia grazie agli Arabi, oppure sul viaggio del primo albero di mandarino, portato in Europa, anche questo dalla China, da un commerciante inglese che ne sognava la coltivazione in Gran Bretagna ma che dovette desistere per via del clima e vederlo partire per Malta e la Sicilia.

Parola n. 5: parole

Quindi, il cerchio si chiude con il senso della frase di Francesca Mannocchi, con la parola parole, e  perdonatemi il bisticcio. Facciamo l’esercizio di pulizia sulle cose del mondo: se curare le parole cambia il mondo che ci circonda, allora, facciamo attenzione a sceglierle bene. Cominciamo ad avere cura di ciò che ogni giorno mangiamo, diamo al nostro cibo un nome, una storia, un significato che vada oltre la moda e l’omologazione dei sapori e delle abitudini, un motivo imprescindibile per rispettarlo e per farne cosa preziosa qual è.

 

Testi citati
1. Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie, Einaudi
2. Barbara Bernardini, Dall’orto al mondo. Piccolo manuale di resistenza ecologica, Nottetempo
3. Fabio Marzano, I racconti delle piante. Viaggio curioso nel mondo vegetale italiano, EDT