Archivio mensile:febbraio 2017

Il supporto nutrizionale nelle patologie intestinali croniche

intestino_1_60451Mi capita spesso di supportare pazienti con patologie intestinali croniche ai quali viene spesso dichiarata, in sede di diagnosi e di controllo periodico, l’irrisoria
influenza, se non addirittura l’inutilità, di un particolare piano alimentare e di particolari accorgimenti riguardo alla scelta dei cibi. Detto e sottolineato che si tratta di malattie che hanno bisogno di trattamenti farmacologici adeguati, la cosa mi sorprende ogni volta, poiché credo che, visti gli studi numerosi e accreditati sulle relazioni alimenti-microbiota e microbiota-sistema immunitario, considerare il cibo privo di conseguenze, o di valore preventivo, su un quadro infiammatorio con sede intestinale sia quantomeno limitativo. L’attenzione alla dieta è invece necessaria, nonsolo per i motivi appena accennati, ma anche per sopperire ad eventuali carenze nutrizionali cui questi pazienti possono andare incontro a causa di malassorbimento o di evitamento di cibi e pietanze percepiti come dannosi.
Ma facciamo un passo indietro e capiamo cosa e quali sono le malattie croniche dell’intestino,  (“IBD“, inflammatory bowel disease). Esse comprendono la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa. In Italia circa 200.000 persone siano oggi affette da queste patologie, con un numero di nuove diagnosi negli ultimi 10 anni, incrementato di 20 volte. L’esordio, in genere, avviene in un’ampia fascia d’età, fra i 15 e i 45 anni, con la stessa frequenza in entrambi i sessi. Non si tratta di patologie ereditarie, ma è stata riscontrata una tendenza alla predisposizione familiare. L’andamento di entrambe le IBD è cronico (cioè non vi è una risoluzione definitiva) e ricorrente, con periodi alternati di fasi a cute e fasi di remissione.  In entrambe le patologie, il sintomo ricorrente è la diearrea che, nel morbo di Crohn è accompagnata da importante dolore addominale, mentre nella rettocolite ulcerosa da perdite rettali di sangue e muco, oltre che dalla sensazione di insufficiente svuotamento alle evacuazioni. Entrambe sono dette “idiopatiche”, ovvero a causa sconosciuta. La reazione infiammatoria cronica cheSchermata 2017-02-22 alle 12.12.08
si instaura è causata probabilmente da una reazione abnorme del sistema immunitario verso componenti del tessuto intestinali o ceppi batterici in esso presenti. Alla luce di studi importanti sul microbiota intestinale e sulle sue ampie implicazioni sulle risposte immunitarie dell’individuo, è
 ragionevole ipotizzare che intestino1alcuni fattori associati allo sviluppo di IBD possano essere rappresentati da sollecitazioni eccessive o effetti negativi sul microbiota. I fattori ambientali che possono alterarne la composizione comprendono la dieta, l’uso di antibiotici e l’area geografica. La nota “ipotesi dell’igiene” suggerisce che gli esseri umani che vivono nei paesi più industrializzati sono esposti sin dalla primissima infanzia a un minor numero di microbi che porta allo sviluppo di un sistema immunitario meno in grado di “tollerare” l’esposizione all’ambiente microbico in età avanzata. Questo può attivare in modo inappropriato le risposte immunitarie. In linea con questo concetto, è importante valutare, da caso a caso, il ruolo dell’alimentazione e, nei casi in cui se ne prospetti la necessità, dell’integrazione mirata di componenti pro-microbiota, batteriche e non (probiotici e prebiotici). E’ stato visto altresì che una dieta troppo ricca di grassi e proteine animali e ​​povera di fibre può alterare il microbiota intestinale e aumentare il rischio per lo sviluppo di IBD. Sebbene, anche l’eccesso di fibra e di altre sostanze come polioli, polialcol e e di oligosaccaridi può rappresentare un fattore irritante e scatenante. In ogni caso, la situazione di scompenso nota come disbiosi intestinale è attualmente considerata un possibile fattore eziologico nella patogenesi di queste malattie. I progressi tecnologici che oggi consentono una caratterizzazione più completa delle comunità microbiche intestinali, insieme a recenti studi che mostrano quanto sia importante l’impatto della dieta sulla microbiota, forniscono un forte razionale per ulteriori indagini approfondite sul legame fra cibo, microbiota e sviluppo di IBD . Pertanto, mirare a regolarizzare i pasti, moderare il consumo di alimenti di origine animale, fornire all’intestino sostanze antinfiammatorie naturali, attraverso la scelta di alimenti adeguati e/o di prodotti di integrazione (attentamente valutati da un esperto) sarebbe auspicabile in ogni caso, poiché la salute e l’equilibrio del microbiota intestinale garantiscono migliori risposte immunitarie e assorbimenti più adeguati.
Nella mia pratica, più di una volta ho piacevolmente constatato quanto un piano alimentare ben studiato e plasmato sulle esigenze e i gusti del paziente, dinamico e passibile di aggiustamenti in initere, possa migliorarne la qualità della vita di questi pazienti.

 

 

Potrebbe interessarti anche la lettura dei seguenti articoli:
Dimagrimento e microbiota intestinale
Autoimmunità e nutrizione 

Informazioni su sedi, orari e modalità operative dello studio nutrizionale.
Immagini tratte dal web

 

 

Il sale della vita

L’organismo di un uomo adulto contiene oltre due etti di sale, che ogni giorno in parte perde attraverso sudore e urina. Il bisogno di integrarlo è sempre stato prioritario, soprattutto in epoche antiche, in cui le temperature terrestri erano molto elevate e il cacciatore-raccoglitore era costretto a lunghi spostamenti per la ricerca di cibo e riparo.
Da moneta di scambio a conservante, il sale (cloruro di sodio, NaCl) ha rappresentato in passato un bene prezioso e pertanto molto ricercato. Documenti risalenti all’Ottocento a. C. testimoniano il primo metodo di raccolta messo a punto in Cina e ripreso successivamente da altre civiltà. In Asia, in Europa e nelle Americhe il trasporto del sale avveniva attraverso mezzi d’imbarcazione lungo mari e fiumi, mentre nel Sahara, ancora oggi, avviene per via terrestre. Sia le civiltà orientali che quelle occidentali hanno trovato nel commercio del sale uno stimolo allo sviluppo: basti pensare alle innumerevoli attività commerciali che ha caratterizzato non solo per la sua produzione ma anche per il suo utilizzo quale conservante. Attorno a questo composto sono avvenute invasioni, guerre e lotte sociali (nel 1930 fu proprio il rifiuto della tassa sul sale a innescare, con Gandhi, la lotta per l’indipendenza dell’India).
Dall’Ottocento in poi, nuove tecnologie di conservazione (pastorizzazione, surgelamento, uso di conservanti di sintesi) hanno reso il sale meno necessario. Tuttavia, il gusto che esso conferisce agli alimenti lo rende ancora oggi una materia prima importante: fra le nostre percezioni il salato è da sempre un gusto molto attraente. Oltre ad essere essenziale per la sopravvivenza, migliora gli odori e le altre percezioni gustative. È noto, infatti, l’impegno dell’industria alimentare nella ricerca della miscela perfetta fra sale e zucchero al fine di rendere i suoi prodotti estremamente palatabili e, quindi, fidelizzanti.
Il sale è presente in natura in quasi tutti gli alimenti. Ma la quantità maggiore che oggi ingeriamo deriva dai prodotti trasformati e da quello aggiunto in cucina. Oggi, ne consumiamo una quantità eccessiva che espone a patologie cardiovascolari e tumorali importanti. L’allarme lanciato anni fa da SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana) riguarda soprattutto l’eccesso di sale nella dieta dei bambini, che inizia spesso dallo svezzamento. Questa pratica è particolarmente dannosa, non solo perché dà adito precocemente ad alterazioni a carico della parete dei vasi sanguigni, ma anche perché l’abitudine a consumare cibi troppo sapidi sin dall’infanzia renderà più difficile contenere il consumo di sale da adulti. Per ridurne il consumo, in realtà, bastano poche regole: ricorrere solo ogni tanto ai prodotti lavorati (ad es., carni e pesce conservati), sostituirlo con spezie, erbe aromatiche e succo di agrumi nei condimenti e, in generale, abituarsi gradatamente a non aggiungerlo alle pietanze.
Per quanto riguarda l’infanzia, è consigliabile inserirlo più tardi possibile nella cottura e nei condimenti, così come ritardare l’accesso a cibi e snack industriali ad alta palatabilità.

Pubblicato su Dimensione Agricoltura di febbraio 2017.DA 2:17

Cibo e metabolismo spiegati ai bambini

Una interessante revisione pubblicata di recente su American Society of Nutrition sottolinea che, a fronte di una cospicua mole di lavori scientifici sul comportamento alimentare degli adulti,  non vi è pari produzione riguardo al comportamento alimentare dei bambini e degli adolescenti. E’ strano, a pensarci bene, vista l’importanza e l’urgenza di fare proprio nelle prime fasi della vita un’efficace prevenzione dell’obesità e di altre patologie, metaboliche e non, attraverso una corretta alimentazione.
In tutta franchezza, per quanto sia auspicabile che la ricerca fornisca al riguardo quanti più dati possibile, credo che la scienza sia già in grado di fornire delle indicazioni sufficientemente precise e accurate per poter effettuare, a largo spettro, politiche alimentari virtuose. Intanto, senza la pretesa di estendere metodiche ambulatoriali a popolazioni numerose, una delle cose che chi ha il privilegio di lavorare anche con bambini e adolescenti potrebbe e dovrebbe fare è fornire più strumenti possibile ai piccoli pazienti e alle loro famiglie.
DSCN6199Concetti come l’impatto glicemico di un alimento, la combinazione corretta dei cibi che compongono un pasto, il ruolo della fibra sul microbiota intestinale, la regolazione dell’appetito e della sazietà, le conseguenze dello stress sul metabolismo rappresentano, una volta acquisiti, strumenti preziosi di autoregolazione e di scelta consapevole. Ovviamente, è d’obbligo l’attenzione alle modalità con cui questi vengono proposti, la quale deve tener conto di molteplici fattori, quali l’età del bambino, la problematica che lo ha condotto nel nostro studio, la possibilità di collaborazione coi genitori, il possibile inserimento dell’individuo in un gruppo e molto altro ancora: tutte cose che saranno evidente dopo un’attenta e dettagliata anamnesi e successiva meticolosa analisi del caso.
Un’altra occasione per fornire questo tipo di supporto è fornita dall’educazione alimentare  a scuola: nel gruppo classe, infatti, i bambini e i ragazzi sono particolarmente ben disposti all’acquisizione di nuove conoscenze, soprattutto se affrontate in modo pratico ed esperienziale. ed. alim.
In generale, dunque, ritengo importante e irrinunciabile che i percorsi di riabilitazione nutrizionale destinati a bambini e adolescenti non si limitino soltanto alla mera indicazione di scelte alimentari consone e agli abituali controlli del peso e della composizione corporea, ma mirino a fornire coscienza delle modificazioni comportamentali e dei risultati che con esse arriveranno.
A dirla tutta, è una modalità con cui cerco di costruire tutti i percorsi nutrizionali, certa che la bontà e l’efficacia di un percorso, a chiunque esso sia destinato, siano il risultato non solo della competenza e dell’attenzione, ma anche della capacità di rendere fruibile concetti articolati e complessi come quelli relativi a cibo e salute. Non c’è nulla che non possa tradursi in linguaggio accessibile: l’importante è possedere l’elasticità, la creatività e l’empatia necessari una buona e corretta comunicazione.

Review citata: http://pubmedcentralcanada.ca/pmcc/articles/PMC4717882/pdf/an009357.pdf

Potrebbero interessarti anche:
Epigenetica e obesità infantile: capire per agire
Obesità infantile: l’importanza del lavoro integrato
Obesità infantile: l’osservazione dell’andamento del peso
I primi mille giorni
Il cibo dell’accudimento
Conosci il tuo cibo

 

 

Informazioni su sedi, orari e modalità operative dello studio nutrizionale