La neofobia è letteralmente la “paura del nuovo” che caratterizza quella fase particolare della crescita in cui il bambino piccolo abbandona il seno materno per iniziare ad alimentarsi con cibi solidi e semi-solidi di consistenze e tessiture diverse (dal divezzamento in poi). Si tratta, quindi, di una fase fisiologica durante la quale il piccolo non vuole, e non può, rinunciare alle sue certezze che lo rendono più forte e lo fanno sentire al sicuro. Si tratta di un meccanismo innato e collaudato per milioni di anni, che in passato probabilmente ha permesso la sopravvivenza nei primissimi anni di vita. Quando però la neofobia si protrae troppo a lungo, inficiando le normali abitudini alimentari, limitando oltremodo le scelte e mettendo a rischio la crescita, diventa degna di attenzione e richiede l’aiuto di un professionista. Oggi, purtroppo, le neofobie riguardano oltre il 20% dei bambini e si prolungano anche fin oltre l’adolescenza, creando problemi nei momenti di socializzazione e condivisione dei pasti e predisponendo le ragazze e i ragazzi a carenze nutrizionali e comportamenti alimentari inadeguati. Il ruolo della famiglia è fondamentale nel fornire al bambino gli strumenti per superare fisiologicamente le neofobie, dato che il rifiuto di un alimento è inversamente proporzionale al numero delle offerte dello stesso. Un lungo e paziente lavoro, fatto di tentativi e buon esempio, può dare ottimi risultati. L’esposizione precoce e costante a una grande varietà di sapori è, dunque, la strada maestra per promuovere nel bambino il desiderio dell’assaggio, soprattutto dei cibi generalmente meno graditi, quali frutta e verdura.
Ma cosa può fare un nutrizionista per risolvere neofobie croniche che rischiano di ostacolare il normale sviluppo di un bambino?
Nella mia esperienza parto sempre dall’assunto che conoscere un dato oggetto, una data sensazione, ci mette in condizione di non averne paura e di allentare le corde della diffidenza. Nel caso di uno o più cibi è l’onnivoro che è in noi, diffidente per natura, a dettare legge e farci allontanare da quel particolare alimento poco noto e quindi poco rassicurante.
Ginevra (nome di fantasia) è una bella bambina di sette anni, sveglia, intuitiva, sensibile e creativa. E’ arrivata alla mia attenzione all’inizio di quest’anno a causa di un’alimentazione estremamente selettiva che cominciava a preoccupare i genitori. A febbraio, Ginevra mangiava solo pasta in bianco, latte con un solo tipo di frollini, prosciutto cotto e pochissimo altro. Il percorso con Ginevra (rigorosamente ludico e creativo) è stato accompagnato da uno educativo in parallelo con i genitori, soprattutto con la mamma, che ha imparato come reagire ai rifiuti della bimba e come proporre alcune novità senza creare grandi aspettative né drammatizzare i fallimenti. Inoltre, agli adulti della famiglia (compresa la nonna) e alla sorellina più grande sono stati dati strumenti comportamentali per gratificare la piccola Ginevra ad ogni nuovo assaggio e supportarla ad ogni défaillance, senza giudicarla né mortificarla.
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