Archivio mensile:febbraio 2011

Gusto, svezzamento e neofobie. Il ruolo dell’esperienza e dell’esempio.

Quando un bambino comincia a camminare, generalmente, sviluppa una resistenza ai nuovi alimenti. Gli esperti sottolinenano che si tratta di una fase normale durante la quale il bambino non vuole, e non può, rinunciare alle sue certezze, perchè queste lo rendono più forte e lo incoraggiano a nuove esperienze. Il rifiuto di cibi nuovi e sconosciuti è chiamato “neofobia” ed è un meccanismo innato e collaudato per milioni di anni, che in passato probabilmente ha permesso la sopravvivenza nei primissimi ani di vita.

Oggi, purtroppo, le neofobie riguardano più del 20% dei bambini e si prolungano negli anni successivi della vita infantile, spesso cronicizzandosi e portando ad una alimentazione poco variata e carente. Il ruolo della famiglia e della società è fondamentale nel fornire al bambino gli strumenti per superare le neofobie.Pensate: il rifiuto di un alimento è inversamente proporzionale al numero delle offerte di quello stesso alimento. Un lungo e paziente lavoro, fatto di tentativi e buon esempio, può dare ottimi risultati: per ottenere l’adattamento e l’accettazione di un alimento inizialmente respinto sono necessarie, infatti, almeno 7-8 esposizioni prima che il bambino accetti quell’alimento e provi ad assaggiarlo.
L’esposizione precoce ad una grande varietà di sapori è, dunque, la strada maestra  per promuovere nel bambino il desiderio dell’assaggio, soprattutto dei cibi generalmente meno graditi, quali frutta e verdura.
Lo svezzamento, in quest’ottica, fornisce un’ottima occasione di educazione al gusto, che l’industria alimentare, votata al profitto e a scelte globali, tende a scoraggiare. Le esperienze precoci  della fase di svezzamento iniziano a stabilire un percorso di scelte alimentari positive (o negative) che continuano a persistere nel tempo.
Il ruolo della famiglia è fondamentale, in quanto può fornire la strategia chiave, durante la primissima infanzia, per “educare” il bambino a gusti variati e ricchi, attraverso l’esempio, l’offerta ripetuta dei cibi sani, senza ricorrere a gratificazioni inadeguate con cibi troppo sapidi e scadenti dal punto di vista nutrizionale, né ad espedienti “esterni” quali giochi da portare a tavola o, peggio ancora, all’effetto ipnotico della tv.
Se prendiamo coscienza dei meccanismi educativi virtuosi, di cui siamo atavicamente portatori, possiamo davvero fare qualcosa di utile ed importante per rendere i nostri figli “onnivori”, evitando loro pericolose restrizioni alimentari.

Per non “mangiarci” il futuro…

Le generazioni future, con ogni probabilità, si troveranno a pagare l’attuale amministrazione, piuttosto sconsiderata, delle risorse della terra. Ognuno di noi può fare moltissimo per contribuire a un ambiente più sano, alla salute e al benessere nostri e delle altre popolazioni.
E’ assolutamente necessario dare alle famiglie un’informazione puntuale sui temi che riguardano il cibo,  l’ambiente e il futuro del mondo, e proporre azioni educative anche piccole, ma con contenuti concreti da diffondere a tappeto sul territorio. L’informazione-educazione dovrebbe iniziare dal concetto di “cibo”, a tutti noi molto caro.
Una parte della popolazione del mondo ha fame, mentre nei paesi a sviluppo avanzato la disponibilità di cibo è grande, ed è connotata da sprechi e ricadute sulla salute come l’obesità, il diabete, la sindrome metabolica, i disturbi del comportamento alimentare. Negli ultimi decenni il nostro modo di mangiare si è drasticamente trasformato: i ritmi di vita e le scelte di mercato ci inducono a comportamenti che spesso non vanno d’accordo né con la sostenibilità dell’ambiente, tanto meno con la nostra salute.
Nei paesi sviluppati come il nostro, il cibo abbondantemente disponibile viene prodotto per lo più da coltivazioni intensive, con un impatto ambientale ormai non più sostenibile. Questo tipo di produzione, fortemente incoraggiata dalla maggior parte dei governi, usa grandi quantità di pesticidi, fertilizzanti e specie vegetali OGM, provocando di fatto il progressivo annullamento della biodiversità. Nel contempo altri paesi, per lo più poveri, non riescono ad esportare i loro prodotti ad un prezzo equo, né a produrre a sufficienza per sé.
Una risposta a questo andazzo poco lusinghiero potrebbe essere l’agricoltura biologica, che inquina meno, ma ha una resa minore di quella convenzionale. D’altra parte, viene sostenuto ormai da tempo che riducendo i consumi di alimenti di origine animale, si ridurrebbe la necessità di produrre mangimi in modo intensivo (per lo più a base di mais e soia). Gran parte dei terreni agricoli sono attualmente coltivati a cereali e il 40% della produzione mondiale di questi cereali è destinato a diventare mangime per gli animali che, a loro volta, sono allevati per produrre carne, latte e uova. La riduzione dell’allevamento intensivo fornirebbe, dunque, “spazio agricolo” che potrebbe essere coltivato biologicamente, con produzione di frutta e verdure di qualità.
Un’alimentazione meno ricca di proteine animali sarebbe, quindi, più sana per noi (molte malattie metaboliche sono peggiorate e, a volte, causate da un eccessivo consumo di carne) e per l’ambiente.

Come si può operare il cambiamento? Cosa possiamo fare noi in concreto nelle nostre famiglie?

Qualche suggerimento:

  • abituare fin da piccoli i nostri figli a mangiare molti cibi di origine vegetale, con particolare attenzione alle coltivazioni stagionali e locali;
  • preparare i pasti tenendo presente i componenti principali degli alimenti e accostarli tra loro facendo attenzione al gusto, ai colori, ma anche alla propria cultura e alle proprie tradizioni: poche proteine animali, molti legumi, molta verdura e frutta, pochi grassi animali, meglio i condimenti vegetali (dieta mediterranea);
  • acquistare verdure coltivate all’aperto, cresciute grazie all’energia del sole, e non in serra (le serre vanno scaldate e quindi inquinano);
  • scegliere prodotti territoriali, che devono essere trasportati solo per brevi tratti (filiera corta e sostegno alle le aziende locali);
  • scegliere cibi da produzione biologica o biodinamica seria che rispetta i cicli naturali e non utilizza concimi o pesticidi sintetizzati chimicamente. Cioè preferire prodotti di alta qualità, coltivati «secondo natura», che garantiscono fertilità del suolo a lungo termine e allevamenti rispettosi degli animali;
  • acquistare prodotti del commercio equo-solidale, contribuendo ad assicurare ai produttori dei paesi più poveri del mondo un reddito sufficiente per vivere e produrre nel rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori;
  • mangiare frutta e verdura in abbondanza: assicurano sostanze nutritive essenziali all’organismo, inquinano meno le acque e la loro produzione grava meno sul clima rispetto ai prodotti animali;
  • consumare animali che possono pascolare in libertà: sono più sani rispetto a quelli che trascorrono gran parte della loro vita in stalla o in batteria;
  • scegliere il pesce del luogo. Lo sfruttamento ittico è eccessivo per molte specie marine, il cui habitat è minacciato da metodi di pesca troppo aggressivi. L’allevamento non rappresenta un’alternativa valida né dal punto di vista nutrizionale che ambientale.
  • scegliere i cibi in cui c’è un minore  imballaggio o che hanno contenitori riciclabili, per evitare ulteriori fonti di contaminazione;
  • preparare pietanze di “recupero” (polpettone, zuppa, ecc) per non sprecare il cibo avanzato.