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Prevenire significa arrivare prima

a10La prevenzione è la messa in pratica di una serie di strumenti, individuali e collettivi, che permettono di preservare la salute; ovvero, di “arrivare prima” delle malattie. La scienza ci dice chiaramente da tempo che gli stili di vita, e fra questi quello alimentare, sono uno strumento fondamentale per prevenire molte fra le patologie più diffuse nella nostra epoca: metaboliche, cardiovascolari, tumorali, gastro-enteriche, neurodegenerative, autoimmuni. Per quale motivo, allora, pur sapendo che mangiare correttamente e muoversi ogni giorno può allungare la vita e renderla qualitativamente migliore, spesso si continua a non prendere in considerazione la questione, attendendo che un esame diagnostico o un evento nefasto ci facciano cambiare idea?
Daniel Goleman nel suo Intelligenza ecologica  sostiene che l’essere umano non riesce ad allarmarsi di fronte a minacce che lo attendono in un’epoca imprecisata del futuro, mentre è ben disposto al cambiamento una volta che le sue certezze siano state messe fortemente e drammaticamente in discussione. Questo concetto, sviluppato da Goleman a proposito dell’utilizzo spregiudicato e del conseguente depauperamento delle risorse terrestri, può senza dubbio essere trasferito dalla dimensione ecologica a quella individuale. Oggi, rispetto ad epoche passate, abbiamo molti strumenti per “arrivare prima”; l’informazione è alla portata di tutti, l’educazione alla salute e l’educazione alimentare sono discipline molto diffuse e accessibili. Ma quello che farebbe la differenza è il cambiamento, al quale invece non facciamo che opporre resistenza. In un saggio affascinante dal titolo La storia del corpo umano, l’autore  Daniel Lieberman sostiene che l’evoluzione culturale, aprendo le porte alla conquista di comodità e benessere abbia surclassato e, in un certo senso mortificato, quella fisica che ha reso il nostro organismo adatto ad alcuni comportamenti e non ad altri. Saperlo, però, dovrebbe farci riflettere, poiché non prendersi cura della propria casa, sia essa la Natura o il proprio organismo, significa eludere questioni che ci riguardano da vicino e che fanno la differenza fra stare in salute o ammalarsi (sia in senso ecologico che individuale). Allora, perché “usurare” senza riguardo qualcosa che possiamo preservare e che può garantirci salute e longevità?

 

Orari, sedi e modalità operative dello studio nutrizionale.

In punta di forchetta!

Un interessante studio americano sull’alimentazione preventiva (The China Study), recentemente tradotto in italiano, dimostra che la maggior parte delle patologie cardiovascolari, metaboliche e tumorali possono essere prevenute con uno stile alimentare sano.
Uno dei suoi autori, T. Colin Campbell, sostiene difatti che la causa delle malattie più comuni cui andiamo incontro sta “in punta di forchetta” e che, pertanto, è possibile gestirla e controllarla.
A pensarci bene, è una gran bella notizia! Significa, infatti, che con le nostre scelte alimentari siamo in grado di scegliere se stare bene o stare peggio.
In realtà, non è una novità. Il filosofo Feuerbach (1804-1872) asseriva :”Noi siamo quello che mangiamo”, indicando che il cibo che assumiamo influenza il nostro stato di salute fisica e mentale.
Ma molto tempo prima, Ippocrate scriveva “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.”, indicando una via naturale alla prevenzione e alla cura delle malattie.
Se siete appassionati di internet e provate a fare una ricerca con le parole chiave “alimentazione e patologie” rimarrete esterrefatti di fronte alla mole enorme di produzione scientifica disponibile. Se leggete quotidiani e periodici non vi sarà sfuggita l’attenzione, ormai diffusissima, alla relazione fra cibo e salute.
Direi, quindi, che non ci manca di certo l’informazione. Potremmo vivere in un mondo di persone in salute, lucide, dinamiche e fiduciose nel futuro.
Invece, paradossalmente, leggiamo numeri allarmanti sull’obesità, soprattutto quella infantile (un bambino italiano su tre ha un peso eccessivo), sul diabete di tipo due (in continuo aumento e ad insorgenza sempre più precoce), sull’osteoporosi (presente già negli adolescenti e nei giovani adulti). Qualcosa non funziona come dovrebbe, allora.
Il cammino dell’informazione che, una volta acquisita, deve trasformarsi in consapevolezza e guidare le nostre scelte alimentari è, in qualche modo, disturbato, deviato, contaminato da altre informazioni, altri condizionamenti, altra “cultura”. La punta della nostra forchetta, dunque, è disconnessa dall’informazione che abbiamo acquisito ed è pesantemente condizionata dalle informazioni fuorvianti degli spot pubblicitari, che, spesso travestiti da messaggi salutistici, fanno presa sui nostri sensi di colpa e sulla mancanza di tempo, per spingerci ad un consumo poco critico e poco consapevole.
Ma il cibo non è un oggetto tecnologico, né un elettrodomestico e neppure un capo di abbigliamento: il cibo è ciò che diverrà parte di noi. Una volta ingerito ed assorbito, esso si trasformerà in ossa, carne, sangue, ecc. Come si può, quindi, rinunciare al proprio istinto, al proprio senso critico e alla propria consapevolezza dovendo scegliere “cosa essere” e come vivere?
Pensiamoci, ogni volta che decidiamo cosa infilzare alla nostra forchetta!

(Pubblicato su Dimensione Agricoltura di maggio 2013)

Vuoi perdere peso?

1- Regola numero uno: smetti di contare le calorie. Il cibo non è un nemico, ma nutrimento e condivisione.
2- Nascondi le bilance: sia quella per alimenti, che quella pesa-persone.
3- Compra cibo fresco e vegetale. Che sia locale e stagionale.
4- Nascondi le chiavi dell’auto e impara a spostarti sulle tue gambe!
5- Evita cibi confezionati ed inutili (dolciumi e cibo spazzatura) .
6- Impara, conosci, scegli!

 

Studio Nutrizionale Giusi D’Urso 

Percorsi di Educazione e riabilitazione Alimentare. Per informazioni e appuntamenti:
347 0912780 

Incontri gratuiti di Educazione Alimentare

Gli incontri, aperti a tutti, tenuti da esperti in campo nutrizionale, avranno l’obiettivo di informare i cittadini sulla buone pratiche alimentari. Il progetto prevede due incontri al mese in cui verranno sviscerati i temi relativi all’importanza della sana alimentazione: la scelta alimentare consapevole, l’alimentazione infantile, la prevenzione a tavola, metodi di cottura e conservazione e molto altro. Saranno previsti anche momenti di confronto con produttori locali e laboratori di manipolazione del cibo.
“Siamo convinti che questo faccia a pieno titolo parte della nostra mission” ha detto Stefano Berti, Direttore della Cia di Pisa. “Approfondire le tematiche relative al buon cibo ed alle scelte alimentari quotidiane è fondamentale per capire conseguentemente l’importanza del lavoro degli agricoltori e del giusto riconoscimento economico alla loro attività, senza la quale nessun cibo arriverebbe sulle nostre tavole.”.
Francesca Cupelli, Presidente della Cia di Pisa, si augura che ci siano numerose adesioni alla proposta, che partecipino anche rappresentanti delle Istituzioni e soggetti direttamente interessati alla gestione delle mense pubbliche, con particolare riferimento a quelle scolastiche.
Gli incontri saranno effettuati presso la sede della CIA, in via Malasoma 22, zona Ospedaletto. Pisa
Per informazioni contattare i seguenti recapiti:
e-mail pisa@cia.it
tel. 050 974065
Fax 050 985842
www.ciapisa.com

Agricoltura depredata e cibo finto: paradossi, conseguenze ed altri orrori

L’industrializzazione del cibo, iniziata dagli anni ’50-‘60 del secolo scorso, ha creato trasformazioni profonde nelle nostre abitudini alimentari e ha posto le basi per lo sviluppo di una serie di patologie metaboliche cui la nostra generazione e quelle future sono e saranno inevitabilmente predisposte. La prima, gravissima conseguenza è sotto gli occhi di tutti: in Italia abbiamo i bambini più grassi d’Europa e si stima  che le nuove generazioni avranno un’aspettativa di vita inferiore a quella delle generazioni precedenti.

Più o meno parallelamente della corsa al cibo industriale si è verificata la cosiddetta rivoluzione verde che, con l’alibi inoppugnabile di voler risolvere i problemi della fame del mondo, ha aperto la strada all’agri-business che oggi spadroneggia a tutto campo, arricchendo in modo smisurato le multinazionali che detengono il monopolio delle sementi ed impoverendo, anzi depredando, intere popolazione contadine del Sud del mondo e non solo. Ma non basta: all’agri-businnes si è aggiunta la rivoluzione genetica, che, dagli anni ’70 in poi, con un altro alibi inoppugnabile, quale quello di aumentare le rese e dare più reddito ai coltivatori, sì è accaparrata un’enorme fetta di mercato, creando e promuovendo a tappeto chimere commestibili, spacciate per il cibo perfetto per l’essere umano, del cui utilizzo ancora oggi non conosciamo le conseguenze.

Partendo, quindi, dall’ossimoro che più gravemente ha danneggiato la nostra cultura e cioè quello dell’agricoltura industriale, siamo arrivati all’effetto che più pesantemente si è abbattuto sull’uomo, rendendo fragile le sue civiltà e annullando certezze antiche e preziose: obesità e fame nel mondo, due lati della stessa medaglia.

Oggi, dunque, fra le sementi Monsanto, le patate BASF e il junk food di MacDonald’s nasce, fortissima e urgente, l’esigenza di tornare alla terra e di rivalutarne il ruolo fondamentale nel quadro economico di un Paese. Siamo dovuti arrivare, cioè, alle aberrazioni per comprendere (di nuovo) il legame profondo fra cibo, terra e cultura di un popolo!

Ma, dopo decenni di propaganda a favore degli ossimori, dei paradossi e di leggi a favore del consumismo sfrenato, tornare alla cultura del parco, semplice, locale e sufficiente è davvero difficile. Eppure, la partita più importante, da oggi in poi, che ci piaccia o no, si giocherà sull’agricoltura e sul cibo locali che, lungi dall’essere argomentazioni di pochi eletti che fanno e disfano a nostra insaputa, devono segnare, invece, la coscienza di ognuno e far posto a dubbi, domande e voglia di verità. Perché ognuno si chieda quale sarà il proprio ruolo nel lungo e periglioso viaggio di ritorno a una concezione più “umana” del produrre e consumare cibo.

È, come sempre, la conoscenza a dover tornare alla ribalta. Quella attitudine, cioè, a non fermarsi a ciò che appare e ad andare in fondo ad ogni cosa. Quella voglia di verità che ci rende meno sprovveduti e più attivi davanti alle scelte.

Il diritto a conoscere, convinciamocene, non ha bisogno di alcun alibi inoppugnabile, perché è inoppugnabile di per sé; a condizione, però, che ogni individuo lo percepisca come tale. È il classico cane che si morde la coda: meno sappiamo e meno vogliamo sapere. Più cose comprendiamo, più saremo in grado di operare scelte critiche e consapevoli… e, ovviamente, più vorremo conoscere e capire.


La questione, però, come tutti sanno, non è così banale, poiché l’attitudine a voler conoscere e comprendere reca con sé non pochi effetti collaterali, coi quali pochi individui del terzo millennio sono disposti a fare i conti. E quindi, meglio acquistare cibo industriale; meglio smettere di preparare il cibo per provvedere all’accudimento dei nostri figli; meglio acquistare tutto ciò di cui il marketing ci fa venire voglia, senza ascoltare i nostri reali bisogni. Tutto, pur di annegare nell’illusione di risparmiare tempo, e, qualche volta, anche denaro.

Un altro cane che si morde la coda, però, si nasconde dietro le scelte-non scelte della numerosissima popolazione dei non consapevoli: il ricorso continuo agli alimenti industriali, spesso ricchi di additivi, grassi e zuccheri e poveri di vero nutrimento e il rifiuto psicologico di una spesa più vicina alle produzioni locali, solitamente più fresche, sane e stagionali, pone a rischio il nostro organismo rispetto a numerose patologie metaboliche e non, e penalizza, nel contempo, l’agricoltura locale, già di per sé depredata ed offesa dalla presenza ingombrante di quella industriale.

Le conseguente sono (saranno) molto gravi.

In campo alimentare assistiamo allo svuotamento del concetto di cibo: l’atto del mangiare è divenuto un’attività completamente scollegata dalla nostra cultura, dalle nostre origini e, persino, dal nostro modo di “funzionare”. Si mangia (o non si mangia) un cibo perché qualcuno ci ha detto, in modo molto convincente che fa bene (o fa male); si sceglie di non cucinare perché qualcuno ci ha detto che il tempo è necessario per lavorare e produrre più reddito. Si comprano le primizie o i cibi tropicali perché qualcuno ci ha fatto illudere che mangiare ciò che ci pare e piace, ovunque e in tutte le stagioni dell’anno significa che la Natura è al nostro servizio. E così via, senza porci domande, se non quella di quanto risparmieremo con la promozione di turno.

Ingurgitiamo cibo senza chiederci da dove viene, com’è stato prodotto, com’è arrivato fino a noi e se ne abbiamo davvero bisogno. E lo portiamo nelle nostre case, lo condividiamo con parenti e amici, certi (illusi) di fare la cosa giusta. Ma qual è la cosa giusta?

Qual è la priorità dell’essere umano?

Un tempo lontano era quella di sopravvivere e in alcune parti del mondo ancora lo è. Nel mondo più “ricco”, oggi, la priorità, invece, dovrebbe essere il “sapere”. Sapere che spesso i cibi destinati all’infanzia sono prodotti senza attenzione a tossine ed additivi; che la maggior parte dei prodotti confezionati acquistati presso la grande distribuzione ci pone immediatamente di fronte all’esigenza di eliminare un rifiuto, uno scarto; che frutta e verdura provenienti da posti lontani non sono maturati sulla pianta e non nutrono come crediamo; che gli stessi prodotti hanno provocato inquinamento da CO2 viaggiando per lunghe distanze; che i nostri organi e i nostri tessuti non hanno bisogno di un apporto proteico animale come quello della nostra alimentazione di oggi; che produrre tanta carne per tutti questi “carnivori inconsapevoli” significa deforestare intere zone del Sud del mondo per coltivare intensivamente mais e soia, destinati agli allevamenti; che la fame di alcuni popoli non è dovuta alla scarsità di cibo, ma alla sua cattiva distribuzione; che la pasta dell’industria alimentare è fatta con grano di origine lontana, trasportato nei nostri porti dopo essere stato trattato pesantemente con conservanti e antifungini e lasciato per settimane nelle stive delle navi prima di essere distribuito alle industrie; che lo sciroppo di glucosio presente in tutte le merendine per bambini limita il funzionamento di importanti ormoni che regolano il nostro metabolismo.  E molto, molto altro…

Cosa hanno a che fare l’Africa, l’Asia, l’America del Sud e le loro foreste con la mia vita, qui e adesso? Sono Paesi ricchi (ancora per poco) di risorse naturali, le terre in cui l’anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche viene assorbita nel processo di fotosintesi restituendo all’atmosfera l’ossigeno necessario alla sopravvivenza di tutti gli esseri viventi, anche a me, che vivo qui e adesso.

E quanto pesa la mia scelta alimentare sull’economia del mio Paese? Moltissimo. Sia in termini di impronta ecologica, che di spesa sanitaria, che di supporto all’agricoltura locale.

Qualche dato: 5 milioni di obesi in Italia, costano al Sistema Nazionale Sanitario circa 8,3 miliardi l’anno, c.a. il 6% della spesa sanitaria (dati Istat); nel decennio 2000-2010 i redditi degli agricoltori italiani sono crollati di oltre il 30%.  (dati Confederazione Italiana Agricoltori); abbiamo bambini in età scolare che chiedono su quale albero nasce il Fruttolo e dove vengono allevate le mucche viola (dati miei!).

Tutto questo, tradotto in disagi, malattie, povertà, smantellamento culturale, pesa e peserà sempre di più sulle nostre vite e, quel ch’è peggio, sulle vite dei nostri figli.

Pensiamoci, allora, quando scegliamo il cibo, poiché la nostra scelta fa, davvero, la differenza.