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Storie alla stufa

olioNelle storie dei nonni c’è sempre una fata buona, un lupo cattivo e una bambina sperduta. Ancora mi chiedo come mai in quelle che raccontava mia nonna c’era altro: Tito il cane pestifero, Mammi la gatta ubriaca, Giufà il pastore ingordo e molti altri soggetti che ricordo con affetto, sorridendo fra me e me.

Davanti alla sua stufa a legna non si narravano storie di principesse sfortunate e di principi azzurri in calzamaglia, ma di furti di salsicce e rocamboleschi inseguimenti nei vicoli di paese.

Devo ammetterlo: erano storie parecchio interessanti. Io e i miei fratelli stavamo ad ascoltarle per ore, sgranocchiando la merenda insieme al tempo e alle parole.

Spesso lo spuntino pomeridiano si prolungava fino a tardi; ché mangiare masticando racconti, si sa, è assai sfizioso. D’altra parte, ciò che mangiavamo davanti alla sua stufa faceva venire a nonna la voglia di raccontare.

Un giorno, mentre facevamo merenda con pane casalingo accompagnato a frutta secca, ci raccontò di un frate ghiotto, Fra Felice, che passava il suo tempo in cucina a scucchiaiare ed impastare. Ottimo cuoco e amante dei distillati, era ghiotto di tutto, ma soprattutto di pane e noci. Era la storia, questa, di un frate mangione e di una balia affamata, la gatta Mammi, che aveva da sfamare ben otto cuccioli: quattro suoi e altri due di una gatta morta schiacciata sotto un’auto. Mammi, un giorno, entrò di soppiatto in cucina e si avvicinò senza fare rumore alla sedia dove Fra Felice aveva appoggiato un bel pezzo di lardo da speziare. Sul pavimento, là vicino, una casseruola piena … d’acqua. Più della fame, poté la sete e Mammi si dissetò. Ma non d’acqua: bevve il nocino del frate e si ubriacò. Inseguita da Fra Felice, arrancò barcollando verso la porta e fuggi a gambe levate, un po’ storta, un po’ strana, a zig zag!

Un pomeriggio in cui la merenda sapeva di formaggio, nonna raccontò di Giufà il pastore che non riusciva mai a vendere le sue caciotte perché se le mangiava prima. E quando ci raccontava del cane Tito, invece, era col pane e olio che si faceva lo spuntino. Tito era pestifero. Il suo padrone, invece, parsimonioso. Per non sprecare l’olio che gocciolava dalla bottiglia s’era inventato un collare di spugna da infilare nel collo dell’ampolla e da strizzare una volta che fosse imbevuto a dovere. La spugna era ora rosa, ora azzurra o verde pisello e Tito, pestifero, non riusciva a sopportarla. Se le capitava a tiro la mordeva e la tirava fino a far rotolare giù tutta la bottiglia e…addio olio!

Quando nel mio lavoro parlo con i bambini e chiedo loro cosa mangiano a merenda spesso mi indicano prodotti con nomi che non ricordano nemmeno da lontano le mie merende. Sento parlare di gocciole e pangocciole, fruttoli e fruttini, fetteallatte e sottilette e, confesso, l’unica cosa che mi viene in mente è uno scioglilingua un po’ sciocco che da bambina mi raccontavo per esercitarmi con le parole: frutta che nella fretta frani nel fango, frullando frettolosamente un frappè… Null’altro mi rammentano questi nomi cui sono avvezzi i bambini d’oggi: né una favola, né un sogno, né un ricordo.

Allora, mi chiedo, quali storie potranno raccontare ai loro figli?

Pubblicato su manidistrega.it

Merende antiche e mamme moderne

Viviamo in un’epoca davvero molto strana e, a tratti, inquietante. Un’epoca in cui la buona volontà e l’apertura di alcuni cozzano violentemente con la pigrizia mentale di altri.

Questa volta, il motivo del mio cruccio è la vanificazione di un progetto virtuoso proposto, in una classe delle primarie della mia città, da una mamma consapevole e attenta all’alimentazione dei propri figli.

La proposta riguardava l’attesa festa di fine anno per la quale è stata proposta la “merenda antica”, un pomeriggio, cioè, per stare tutti insieme, bambini e genitori, gustando merende quali pane burro e zucchero o marmellata, pane e olio, pane e pomodoro. Mentre di primo acchito la proposta è stata accettata da tutti, al momento di iniziare a gestire l’organizzazione si sente una voce femminile sulle altre proporre:

–         ma se invece della marmellata portassimo la nutella?

Ora, la prima osservazione spontanea è che le nostre nonne e bisnonne (donne antiche), udendo il termine “nutella”, chiederebbero quanto meno spiegazioni sulla tipologia dell’alimento rappresentato. Siamo abituati a chiamarla così, con il suo famigerato nome commerciale, la tanto squisita quanto dannosa crema di cioccolato e nocciole che la mamma in questione ha proposto al posto della marmellata (nome non commerciale che identifica da sempre un buon cibo a base di frutta!). Rimanendo nell’atmosfera di “merende antiche”, la mamma avrebbe potuto proporre semplicemente pane e cioccolata!

Ma questo continuo ricorso ai marchi e ai cibi “falsi” la dice lunga sulle abitudini alimentari di molte persone (ahimè, i più!) e la dice lunga sulla mancanza di consapevolezza, sulla fatica della scelta e sul rifiuto della scelta stessa. E’ vero, scegliere la cosa giusta, il cibo giusto, è molto faticoso; ancora di più lo è imporre una regola al proprio figlio, soprattutto durante una festa, in cui nessuno accetta di buon grado paletti e ordini e nessuno gradisce bizze e capricci al cospetto di altre famiglie ed altri bambini! Quindi, meglio andare sul sicuro; meglio che la merenda antica contempli un’alternativa moderna ma certamente accettata, che però vanifica inevitabilmente l’obiettivo della proposta iniziale.

Questa dinamica, oggi così comune, è la “delega” che mina fortemente l’autorevolezza e il ruolo del genitore, facendo dei danni indicibili, non soltanto dal punto di vista alimentare.

Se ci pensiamo, è quello che facciamo continuamente, a prescindere dall’essere o meno genitori. Riempiamo i carrelli di prodotti su cui la tv ci indottrina e tutto ciò che va al di là di queste finte scelte ci disorienta e destabilizza. Perché? Perché siamo convinti, forse, di non essere in grado di fare scelte in modo autonomo. Convinti che qualcuno (chi???) ne sappia sempre un po’ più di noi e che debba insegnarci a stare al mondo.

Ma come? Siamo in grado di procreare, scrivere, leggere, avere idee, costruire cose con le mani. Come si può pensare di non essere capaci di dare al proprio figlio delle indicazioni giuste su cosa è bene mangiare e cosa no?

Prendiamoci il tempo di riflettere sulla parola “scelta” e poi facciamola, la nostra scelta, autonoma e consapevole, senza paura delle conseguenze, senza paura di affrontare la fatica di dire di “no” ad un figlio.

Tornando alle “merende antiche”, mi piace pensare che la mamma che le ha proposte con convinzione sia come un seme che, in quella scuola, in quell’ambiente, abbia fatto del suo meglio per germogliare. La terra arida può diventare fertile, se seminata e nutrita con perseveranza e motivazione. Mi piace pensare che le “merende antiche” siano come l’acqua e come il sole: preziosi, necessari e, prima o poi, sono certa, convincenti.