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Il cibo fra il corpo e la mente

Mentre la quotidianità ci travolge con i suoi ritmi frenetici e le sue consuetudini, dimentichiamo spesso di cosa siamo fatti e come rispondiamo agli stimoli esterni. È bene ogni tanto ricordare che siamo organismi complessi, fatti di carne, ossa, pensieri, emozioni. Un ampio e articolato sistema di strutture anatomiche e psichiche connesse fra loro dalla chimica del corpo. Quest’ultima rappresenta uno dei substrati su cui agisce il cibo, con la sua composizione variegata di molecole. Il suo ruolo non è solo quello di nutrire, ma anche di interagire con le interconnessioni che caratterizzano il corpo e l’essere umano tutto. Spesso ci sfugge che anche i pensieri e le emozioni hanno un movens chimico: molecole di neurotrasmettitori e neurormoni, messaggeri intra ed extracellulari, che stimolano o inibiscono altre molecole, interagiscono con i propri recettori. Ogni nostra reazione, ogni sensazione, ogni sentimento hanno come base la chimica del sistema nervoso. Essa, integrandosi ad altre chimiche (a quella del codice genetico, del sistema immunitario) e con ciò che ci sollecita dall’esterno, produce reazioni, più o meno evidenti, sia a livello organico che a livello psichico. Insomma, la natura ha fatto davvero un gran ben lavoro, senza risparmiarsi in quanto a complessità.
Proprio questa caratteristica, così peculiare e così meravigliosa, a volte ci espone a dei rischi. In alcuni momenti della nostra vita o in alcune patologie, in particolare i disturbi alimentari, come ad esempio nel Disturbo di Alimentazione Incontrollata (DAI) ma anche nell’Anoressia Nervosa (AN) e nella (BN), così come nell’obesità e nell’ortoressia*, il cibo, con il suo ampio bagaglio di significati e simbologie, rappresentando atavicamente un ponte fra il corpo e la mente, diventa l’unico linguaggio con cui parliamo a noi stessi e al mondo che ci circonda. Questo accade nell’adulto, come nel bambino e nell’adolescenze e le sue conseguenze sulla salute possono essere anche molto gravi.
Quando le incongruenze dell’anima e dei pensieri diventano insopportabili può accadere che il cibo diventi la consolazione a portata di mano, smorzando così emozioni intollerabili, dolori profondi, autosvalutazione, stati di profonda frustrazione e delusione. Il corpo con le sue forme, interfaccia sociale fra noi e gli altri, depositario di memorie genetiche e metaboliche, spesso oggetto di giudizi terribilmente condizionanti viene coinvolto e sconvolto da pensieri ossessivi che producono disfunzioni nel comportamento alimentare. La formulazione di tali pensieri e la reazione del proprio corpo alla frustrazione e alla sofferenza che essi generano trovano nel cibo la chiave di volta, la strada per comunicare con se stessi e il mondo, il modus più congeniale per riempirsi, svuotarsi, amarsi, consolarsi. Per sopravvivere alla solitudine, al dolore, al giudizio degli altri.
Come già accennato, i meccanismi fisiologici che sottendono al consumo fisiologico del cibo, quale nutrimento del corpo e gradimento per la mente possono alterarsi a qualsiasi età: il DAI, in particolare, è fra i disturbi alimentari più diffusi, colpisce appunto tutte le fasce d’età e i livelli culturali, con un coinvolgimento del sesso maschile maggiore rispetto a AN e BN. Inoltre, è causa di molte complicanze metaboliche, cardiovascolari e psichiatriche.
Nell’età evolutiva, il sovrappeso e l’obesità sono espressione di un corpo in grande difficoltà, che racconta un probabile disagio, un’incongruenza che ha provocato una frattura, un cambiamento adattativo, alterando la rete chimica, delicata e complessa, che collega il metabolismo al peso corporeo e al funzionamento psichico. Lo stretto legame (fisiologico) fra il piacere di mangiare e la relazione del bambino con i suoi adulti di riferimento (in particolare la nutrice) si trasforma in un’arma contro se stessi, producendo e mantenendo il disturbo alimentare.

Ma un problema che nasce da un sistema complesso non può ammettere soluzioni semplicistiche. Per questo, i percorsi terapeutici che possono aiutare le persone affette dai suddetti disturbi devono contemplare più figure professionali che lavorano in rete, confrontandosi di continuo.
Dal punto di vista nutrizionale, diventa fondamentale instaurare un rapporto empatico, di accoglienza e fiducia, come base su cui costruire esperienze che supportino il paziente nel cammino, spesso lungo e faticoso, verso la riconversione del cibo da ciò che è diventato a ciò che deve tornare ad essere: nutrimento e piacere. Sia per gli adulti che per i ragazzi, sono necessarie sedute che mettano in contatto, nel modo e nei tempi adeguati, i sensi e le sensazioni con il consumo dei cibi che rappresentano il nemico o il conforto. Il lavoro sulla composizione corporea e sul peso è contestuale ma non sempre prioritario, perlomeno fino a quando non saranno raggiunti gli obbiettivi comportamentali di base. Per i più piccoli, è stato visto che i percorsi più efficaci sono quelli che coinvolgono l’intera famiglia pur lasciando spazio e autonomia al bambino o al ragazzo, in modo da ricomporre il complesso mosaico di emozioni e sensazioni corporee legate al consumo, alla scelta e al gradimento degli alimenti e sostenere così una crescita corporea e psichica fisiologica.
Non si tratta quasi mai di percorsi brevi e privi di inciampi, poiché il cibo e il suo consumo sereno e fisiologico rappresentano una parte molto importante e fondante della nostra vita, della nostra salute e del nostro modo di essere. Cibo, mente e corpo sono e saranno sempre le tre anime chimiche che ci compongono e ci rendono ciò che siamo. L’attenzione dovuta a questa triade così importante deve essere, da parte di chi se ne prende cura, alta e costante. In tutti i casi, diventa fondamentale la costruzione di un terreno ampio e sereno dove poter seminare nuovi obiettivi e accudire nuovi stili emotivi e comportamentali, trasformando, come nell’arte del Kintsugi**, ogni ferita in una nuova possibilità di migliorare il rapporto con il proprio corpo, con il proprio cibo e con il proprio mondo.

 

 

 

Informazioni su sedi, orari e modalità operative dello studio nutrizionale.

Immagine tratta dalla rete.

 

* ortoressia: da Orthos (giusto) e Orexis (appetito),sindrome caratterizzata dall’ossessione del cibo sano, che spinge ad eliminare gruppi di cibi essenziali per paura di essere contaminati.

**Kintsugi: tecnoca artistica giapponese che valorizza le incrinature e le crepe degli oggetti rotti rempiendole con oro

Per approfondire:

– Prigionieri del cibo. L. Dalla Ragione e S. Pampanelli. Pensiero Scientifico Editore
– Ferite e ricami nella clinica dei disturbi alimentari E. Riva. Mimesis

 

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Nutrizione in età evolutiva: incontri gratuiti alla Misericordia di Fornacette

Dopo il successo dell’incontro “Il buon cibo della vita” che si è tenuto lo scorso 21 novembre, la Misericordia ha organizzato una serie di incontri formativi gratuiti sul tema della nutrizione nell’età evolutiva. Si tratta di tre appuntamenti che si svolgeranno a marzo in cui si parlerà dell’alimentazione dei bimbi, di cosa significhi una buona “educazione alimentare”, del cibo in famiglia, dei modelli e delle pubblicità.

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I modelli, il cibo e la cattiva comunicazione.

Oggi, per arrabbiarmi un po’, prendo spunto dal racconto fattomi da un’amica, la cui bambina di otto anni è arrivata a casa con una novità: la maestra a scuola ha detto che alcuni cibi vanno evitati perché fanno ingrassare.
È bello, lo dico con convinzione, che una maestra si interessi all’educazione alimentare e che esprima la volontà di insegnare ai bambini la sana alimentazione. Ma, come in tutte le cose, ci sono mille modi per raggiungere un obiettivo e ritengo che questo modo sia il meno adeguato e all’argomento e al target cui è rivolto.
Se a un bambino insegniamo come accendere un fiammifero senza scottarsi, spiegandogli come tenerlo fra le dita, come orientare la fiamma e quando è il momento di soffiarvi sopra per spegnerlo, egli acquisirà una competenza, motivato da ciò che abbiamo trasferito, magari accompagnando il messaggio con l’esempio. Se, invece, al bambino viene detto che il fuoco brucia ed è pericoloso, quel bambino probabilmente non imparerà mai a gestire correttamente un fiammifero.
Vorrei che ognuno di noi riflettesse sul linguaggio. La nostra lingua è complessa e molto articolata: esistono numerose parole e altrettanti modi di dire la stessa cosa. Ma, facciamo un passo indietro e cerchiamo prima di avere le idee chiare su cosa vogliamo comunicare, con particolare attenzione al destinatario della nostra comunicazione.
Parlare di cibo a bambini della scuola primaria, così come agli adolescenti, implica una serie di competenze, responsabilità, abilità comunicative. Se è vero che il cibo non è solo nutrimento (non mi stancherò mai di dirlo e scriverlo!), ma anche e soprattutto strumento sociale, di condivisione e confronto con i pari, allora non può essere trattato come qualsiasi argomento, ma richiede delicatezza e attenzione. Se il corpo è il mezzo attraverso cui il bambino e l’adolescente si misurano con il resto del mondo, allora parlare senza cognizione di causa ai bambini di “grasso”, “ciccia”, “alimenti ingrassanti” o “dimagranti” è quantomeno rischioso, soprattutto se diamo un’occhiata a certi numeri: in Italia per ogni 1000 donne fra i 10 e i 25 anni si verificano tre casi di anoressia, dieci di bulimia, settanta di disturbi subclinici, cioè di difficile diagnosi; si registra, inoltre, una preoccupante anticipazione dell’età d’esordio in età prepubere (bambini sui 7 anni possono manifestare anoressia). In aumento anche i casi maschili adolescenziali (rappresentano un decimo di quelli femminili per l’anoressia nervosa) che tendono più al consumo per esercizio fisico che alla condotta alimentare restrittiva.
Sarebbe corretto, dunque, non avventurarsi in gineprai da cui poi è difficile uscire. L’educazione alimentare nelle scuole è fondamentale, ma va affrontata in modo serio e prudente, soprattutto in età pre-adolescenziale. Ritengo che gli educatori abbiano un ruolo importantissimo e che siano figure di riferimento su cui contare, a condizione, però, che i loro passi non siano azzardati e non si muovano su terreni a loro poco congeniali, in un’epoca, la nostra, in cui gli aggettivi “grasso” e “magro” assumono significati ben più complessi rispetto al passato.
Buona riflessione!