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Esperti o creduloni?

wikiL’era digitale è senza dubbio un tempo ricco di possibilità e occasioni. Nell’esiguo tempo di un clic riusciamo a raggiungere posti lontanissimi e ad accedere a informazioni di ogni tipo. La rete pullula di siti che permettono di farsi un’idea di ogni cosa in pochissimo tempo. Alimentazione e salute sono fra gli argomenti che più di tutti catturano l’attenzione e innescano ansie e preoccupazioni creando una sorta di corsa collettiva all’informazione. In questo mare magnum è facile però imbattersi in notizie sommarie, gonfiate, o addirittura false e fuorvianti, che non sempre si ha la competenza e il tempo di verificare. Ne consegue spesso un’informazione superficiale, a volte illusoria, che, proprio per la velocità con cui si acquisisce e si diffonde, rischia di confondere e condizionare intere categorie di persone che non hanno gli strumenti per leggere in modo critico e, dunque, filtrare con la giusta dose di consapevolezza.
Chi fa il mio lavoro s’imbatte ogni giorno in persone che hanno
autonomamente escluso dalle loro abitudini alimentari uno o più cibi, convinte di avere questa o quell’altra intolleranza, questa o quell’altra patologia; individui condizionati da letturgooe allarmistiche sugli effetti di intere categorie di alimenti o sul valore salvifico di quella bacca o di quel seme, di questa o quella dieta . La conseguenza comune è un fai da te rischioso, una sfiducia serpeggiante, sommaria e pericolosa nei confronti della scienza e di chi ha investito una vita intera a studiare e formarsi in questo campo, acquisendo strumenti fondamentali per valutazioni critiche e corrette. La verità è che l’essere umano è complesso, così come il suo metabolismo: sarebbe davvero bellissimo se per stare bene, non ammalarsi e vivere più a lungo possibile fosse sufficiente eliminare un alimento o inserirne un altro. Purtroppo non è così semplice e, il più delle volte, scelte alimentari arbitrarie e ingiustificate non fanno che aggiungere nuovi problemi a quello iniziale. Per cui, seppure nel massimo rispetto di ogni scelta personale, in tema di cibo e salute è consigliabile verificare sempre, attraverso fonti adeguate e accreditate, ogni tipo di informazione reperita in rete, affidarsi a chi lavora su questi tempi, con professionalità e competenza, e accettare di buon grado che il nostro corpo non è uguale ad altri mille; non è una provetta in cui ad ogni azione corrisponde una reazione standard e prevedibile a priori, ma, al contrario, un sistema di una preziosa complessità che merita l’attenzione e il rispetto dovuti alle meraviglie.

 

Scritto per Dimensione Agricoltura di aprile 2017.

 

Si fa presto a dire “dieta”!

limone1Per strutturare una dieta, oggi il nutrizionista ha a disposizione una serie di strumenti che rendono il lavoro agile e preciso. Possiamo fare affidamento su numerose formule predittive per il calcolo del metabolismo basale, strumenti sofisticati per un calcolo ancora più affidabile, altrettanti presidi per valutare gli introiti energetici e nutrizionali, altri ancora per valutare lo stato nutrizionale. Per non parlare dei software disponibili in commercio che velocizzano e ottimizzano i conteggi calorici e la ripartizione dei nutrienti nei vari pasti giornalieri. Vista così, la professione del nutrizionista sembra semplice e priva di alcun intoppo. La realtà però è diversa e il motivo principale risiede nella necessità di rendere un piano alimentare, un consiglio nutrizionale o di integrazione adatti a quell’individuo, con quello stato nutrizionale, quelle caratteristiche metaboliche, quei particolari gusti e, se c’è, quella particolare patologia.
Esistono linee guida generali per una sana alimentazione, destinate a tutta la popolazione; consigli che in ogni caso è bene seguire per mantenersi in salute, come fare attività fisica ogni giorno, non esagerare con i dolciumi e le carni conservate, fare attenzione alla qualità dei grassi, ecc. Ma ogni individuo, ci piaccia o no, è diverso dall’altro e questa diversità è la questione di base con la quale il nutrizionista deve fare i conti. Questo è il motivo per cui una dieta non può essere uguale a un’altra, non si può condividere con un’amica o un parente; lo stesso vale per un dato integratore alimentare. Dietro ogni scelta operativa legata al percorso nutrizionale c’è uno studio attento ai bisogni e alle dinamiche metaboliche che richiede competenze, tempo ed energia. La personalizzazione è un passo obbligato, e deve considerare categorie diverse di persone e periodi diversi della vita di uno stesso individuo. Così, un bambino mangerà qualitativamente e quantitativamente in modo diverso da  un adulto e un anziano; una donna fertile diversamente da una donna in terza età; uno sportivo diversamente da un sedentario. Così, ci saranno casi in cui una dieta non è la soluzione e altri, invece, in cui lo è!
IMG_1947Se si è in presenza di una o più patologie la faccenda si complica ulteriormente: il nutrizionista deve, in piena collaborazione e intesa con i medici, tenerne conto e saper strutturare un percorso nutrizionale sinergico con le eventuali terapie, che supporti l’organismo durante il decorso  e la convalescenza, per un’ottimale ripresa organica, tessutale e metabolica.
La complessità dell’essere umano e la sua individualità genetica, emotiva e metabolica richiedono, di volta in volta, attenzione e modalità operativa assolutamente personalizzate. Ecco perché parlare di dieta in senso generico non ha molto senso e rischia di creare malintesi e pregiudizi.

 

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Cibo e metabolismo spiegati ai bambini

Una interessante revisione pubblicata di recente su American Society of Nutrition sottolinea che, a fronte di una cospicua mole di lavori scientifici sul comportamento alimentare degli adulti,  non vi è pari produzione riguardo al comportamento alimentare dei bambini e degli adolescenti. E’ strano, a pensarci bene, vista l’importanza e l’urgenza di fare proprio nelle prime fasi della vita un’efficace prevenzione dell’obesità e di altre patologie, metaboliche e non, attraverso una corretta alimentazione.
In tutta franchezza, per quanto sia auspicabile che la ricerca fornisca al riguardo quanti più dati possibile, credo che la scienza sia già in grado di fornire delle indicazioni sufficientemente precise e accurate per poter effettuare, a largo spettro, politiche alimentari virtuose. Intanto, senza la pretesa di estendere metodiche ambulatoriali a popolazioni numerose, una delle cose che chi ha il privilegio di lavorare anche con bambini e adolescenti potrebbe e dovrebbe fare è fornire più strumenti possibile ai piccoli pazienti e alle loro famiglie.
DSCN6199Concetti come l’impatto glicemico di un alimento, la combinazione corretta dei cibi che compongono un pasto, il ruolo della fibra sul microbiota intestinale, la regolazione dell’appetito e della sazietà, le conseguenze dello stress sul metabolismo rappresentano, una volta acquisiti, strumenti preziosi di autoregolazione e di scelta consapevole. Ovviamente, è d’obbligo l’attenzione alle modalità con cui questi vengono proposti, la quale deve tener conto di molteplici fattori, quali l’età del bambino, la problematica che lo ha condotto nel nostro studio, la possibilità di collaborazione coi genitori, il possibile inserimento dell’individuo in un gruppo e molto altro ancora: tutte cose che saranno evidente dopo un’attenta e dettagliata anamnesi e successiva meticolosa analisi del caso.
Un’altra occasione per fornire questo tipo di supporto è fornita dall’educazione alimentare  a scuola: nel gruppo classe, infatti, i bambini e i ragazzi sono particolarmente ben disposti all’acquisizione di nuove conoscenze, soprattutto se affrontate in modo pratico ed esperienziale. ed. alim.
In generale, dunque, ritengo importante e irrinunciabile che i percorsi di riabilitazione nutrizionale destinati a bambini e adolescenti non si limitino soltanto alla mera indicazione di scelte alimentari consone e agli abituali controlli del peso e della composizione corporea, ma mirino a fornire coscienza delle modificazioni comportamentali e dei risultati che con esse arriveranno.
A dirla tutta, è una modalità con cui cerco di costruire tutti i percorsi nutrizionali, certa che la bontà e l’efficacia di un percorso, a chiunque esso sia destinato, siano il risultato non solo della competenza e dell’attenzione, ma anche della capacità di rendere fruibile concetti articolati e complessi come quelli relativi a cibo e salute. Non c’è nulla che non possa tradursi in linguaggio accessibile: l’importante è possedere l’elasticità, la creatività e l’empatia necessari una buona e corretta comunicazione.

Review citata: http://pubmedcentralcanada.ca/pmcc/articles/PMC4717882/pdf/an009357.pdf

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Il supporto nutrizionale nel disturbo oppositivo/provocatorio.

disturbo-oppositivo-provocatorio

immagine tratta dal web

Il Disturbo Oppositivo-Provocatorio (DOP) consiste nella presenza nel bambino e nell’adolescente di livelli di rabbia persistente e inadeguata rispetto alla fase evolutiva, irritabilità, comportamenti provocatori e oppositivi, che provocano disfunzioni nelle modalità di adattamento e inserimento sociale.
Molto spesso, in questo disturbo viene a delinearsi e sovrapporsi un comportamento alimentare problematico, caratterizzato da disordine alimentare, destrutturazione delle sane abitudini, compulsività verso i carboidrati e rifiuto di interi gruppi alimentari. Ne possono risultare sovrappeso, carenze nutrizionali, malnutrizione generale, sovraccarico epatico e renale, disbiosi intestinale.

In genere, un bambino o un adolescente con DOP può arrivare all’attenzione del nutrizionista per invio da altro professionista o per iniziativa di uno o entrambi i genitori. Ecco che, come primo impatto, il nutrizionista può ritrovarsi davanti al racconto articolato che ha portato alla diagnosi e la grande frustrazione della mamma e del papà di fronte a comportamenti alimentari destabilizzanti e pervicaci, nei confronti dei quali sono richiesti strumenti di contenimento molto particolari e specifici. Vediamo, allora, gli aspetti principali del colloquio preliminare con gli adulti di riferimento e un esempio di percorso nutrizionale, attualmente in atto, attraverso il quale aiutare e supportare il bambino con DOP.
In prima battuta, ascoltare i genitori, a lungo e con attenzione, aiuterà a farsi un’idea di quel contesto familiare e di quel particolare bambino: le reti relazionali intra-familiari e, soprattutto, la descrizione delle dinamiche al momento del pasto forniscono al nutrizionista molti elementi attraverso i quali delineare una sorta di mappa familiare. Si tratta di un lavoro che richiede tempo, pazienza e più di un colloquio ma che risulterà prezioso per delineare le modalità del percorso nutrizionale da fare col bambino e con la sua famiglia.
Una volta posti i primi punti di riferimento relazionale, è opportuno “lasciarsi introdurre” nella sfera relazionale del piccolo paziente dal professionista o dalla persona che più gli è vicino e con il quale ha sviluppato la relazione maggiormente empatica. Nel caso che vorrei proporre, Marco (nome di fantasia), mi è stato descritto e raccontato dalla mamma, molto preoccupata, che, su consiglio dello psicoterapeuta, si è rivolta a me per avere consigli e strumenti. Marco ha 12 anni, soffre di DOP da almeno due, presenta tratti compulsivi nel consumo dei carboidrati e un rifiuto ostinato e perdurante nei confronti di frutta e verdura. Salta la colazione, è obeso, con un BMI superiore la 95° centile, soffre di gastrite e disbiosi intestinale.

Dopo tre colloqui con le figure di riferimento (il primo con la mamma, il secondo e il terzo con entrambi i genitori), lo psicoterapeuta mi ha introdotto nella sfera relazionale di Marco, il quale, inizialmente si è dimostrato molto diffidente. Tuttavia, nonostante le sue dimostrazioni di insofferenza e opposizione, siamo riusciti a incontrarci anche dopo nel mio studio: gli incontri con Marco (ad oggi, quattro, 45′ ognuno, a cadenza settimanale) vengono intercalati periodicamente a quelli con i genitori e a riunioni/confronto con lo psicoterapeuta. Ecco una breve descrizione del lavoro fatto col bambino fino a questo momento:
I incontro: il bambino ha difficoltà a rimanere concentrato a lungo, è rumoroso e fastidioso: cerco di capire cosa lo ingambateressasse di più (sport, gioco, disegno, costruzione, fumetti, ecc) e scelgo di lavorare sulla sua curiosità, servendomi di un atlante anatomico per ragazzi. Marco ama il calcio, per cui il mio lavoro si focalizza sull’anatomia dei muscoli dell’arto inferiore. Si è mostrato incuriosito e vuole portare l’atlante a casa e ricalcare alcune figure da colorare. Lo ringrazio per questa sua idea che userò – gli dico – con altri bambini che seguo.
II incontro: Marco è molto inquieto e non mi permette di continuare il lavoro concettuale su muscoli, proteine e alimentazione; tuttavia, si è lasciato pesare e misurare, a patto che mi facessi pesare anch’io. Cerco di raccogliere informazioni sulla sua funzionalità intestinale: mi racconta, ridacchiando, che la sua pancia è sempre molto gonfia e che soffre spesso di flatulenza. Questo suo racconto è una buona occasione per invitarlo a masticare più a lungo e a prendere ogni mattina, prima di uscire, un probiotico.
III incontro: il bambino assume il probiotico con discontinuità, ma si dice fiero di riuscire a prenderlo almeno tre volte a settimana e che ne gradisce il gusto. Insieme a questo, su mio precedente suggerimento, ha mangiato dei biscotti al cacao. Ho messo da parte per lui degli adesivi di calciatori e gli chiedo di sceglierne uno a suo piacere. Si mostra molto contento. Riprendiamo a lavorare sui muscoli della gamba e sul suo sport preferito. Lo lascio raccontare di un’esperienza allo stadio vissuta con il papà e un amico di famiglia. Approdiamo a un tema fondamentale: la fatica. Mi dice che vedere uno dei calciatori affaticato lo ha fatto arrabbiare. Riesco a introdurre il tema che mi sta a cuore al momento: la forma fisica. Così, ci ritroviamo a parlare di quantità e lui, fiero e sfrontato, mi indica sull’atlante alimentare la sua enorme porzione di pasta! Lo gratifico per essere riuscito a descrivere bene la sua porzione.
IV incontro: non ha molta voglia di rispondere alle domande e si chiude a riccio, ma mi chiede di sfogliare l’atlante. L’incontro scorre quasi tutto in silenzio fino a poco prima di salutarci. Cinque minuti prima della conclusione mi dice se possiamo vedere insieme un video sul mio computer: lo accontento e gli faccio vedere un video che spiega come potenziare il lavoro muscolare nel calciatore all’aria aperta. Ne approfitto, ancora una volta per catturare la sua attenzione sul versante alimentare, spiegandogli che per ogni motore il tipo di carburante è fondamentale, scoprendo, così, la sua seconda passione: le moto da corsa. Lo ringrazio per avermi fatto incuriosire nei riguardi di un argomento a me estraneo.DSCN7305

Contestualmente, gli incontri con i genitori (ad oggi, cinque, con cadenza e durata non predefinite) hanno affrontato i seguenti argomenti:

– il momento del pasto e le difficoltà relazionali a tavola;
– la prima colazione: offerta di cibo senza forzature;
– il buon esempio: portare a tavola cibo vario e assaporarlo insieme
– la condivisione: il cibo come tramite del racconto.

Ho voluto descrivere questi primi quattro incontri col bambino, rischiando di tediare chi legge, per dare un’idea di quanto il lavoro con soggetti con DOP sia lungo e impegnativo. Strumenti irrinunciabili, la collaborazione stretta con genitori e psicoterapeuta, il confronto con gli insegnanti e con i nonni (anch’essi bisognosi di strumenti di contenimento “alimentare”), il rinforzo positivo, la fantasia e l’inventiva, oltre all’empatia e la pazienza.
Può essere d’aiuto fare alcune letture, che volentieri indico di seguito:
– I disturbi alimentari nell’adolescenza. G. Williams et al. Bruno Mondadori
– Gestire i comportamenti oppositivo/provocatori. G. Daffi. Edizioni Centro Studi Erickson
– Terapia familiare e disturbi del comportamento alimentare nelle giovani pazienti: stato dell’arte: http://www.jpsychopathol.it/issues/2011/vol17-1/05Abbate.pdf
– http://aidap.org/category/articoli-scientifici/
– https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25866195
– https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22688187
– https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25078296

 

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Adipometria: una tecnica fondamentale nei percorsi nutrizionali.

Stratigrafia

Stratigrafia quadricipite femorale ex sportiva, in trattamento per sovrappeso.

Lo studio della composizione corporea costuisce la misurazione di uno o più compartimenti corporei. Tale misurazione può essere effettuata a cinque livelli: anatomico, molecolare, cellulare, tessutale e corporeo. La tecnica dell’Adipometria è relativa al livello tessutale ed è in grado di studiare ecograficamente il tessuto adiposo sottocutaneo, il tessuto muscolare e le loro interconnessioni anatomiche. L’Adipometro, infatti, è un ecografo che opera una scansione bidimensionale delle aree anatomiche di cui si desidera valutare le caratteristiche strutturali e morfologiche degli strati adiposi e di quelli muscolari.
Questa tecnica offre molti vantaggi: dalla misura accurata degli spessori tessutali, alla valutazione qualitativa della densità tessutale e la possibilità di confrontare e registrare visibilmente i cambiamenti progressivi nella composizione e morfologia di grasso e muscolo in seguito a riabilitazione nutrizionale e attività motoria. Lo studio delle stratigrafie adipometriche consente al professionista di valutare i progressi nei percorsi di dimagrimento (bambini, adolescenti, adulti, anziani), riabilitazione e convalescenza (patologie, chirurgia, disturbi alimentari), miglioramento della performance sportiva (sia amatoriale che agonistica). Questa valutazione è un prezioso punto di partenza per impostare il piano alimentare e il percorso nutrizionale per l’individuo; ma rappresenta anche un utile strumento di valutazione che permette aggiustamenti, modifiche e adeguamenti del percorso intrapreso.
Importante anche la possibilità di fornire all’individuo un report completo e dettagliato della propria composizione corporea e degli obiettivi raggiunti, quale documento di supporto per eventuali controlli e valutazioni presso altre figure professionali.

L’esame adipometrico non è invasivo e non presenta controindicazioni. 

Servizio disponibile presso il mio studio professionale.
Adipometro BodyMetrix BX2000

Olio d’oliva: il farm-alimento

DSCN7208Eccolo, l’olio nuovo! Lo abbiamo atteso tutto l’anno per scoprirne gli aromi, l’intensità, il colore e insaporire le nostre pietanze. Una presenza quotidiana e imprescindibile in ogni cucina mediterranea che si rispetti. Per fortuna – direi – viste le sue innumerevoli qualità nutrizionali e nutraceutiche!
L’olio extra vergine d’oliva (e.v.o.) è forse il condimento (o meglio chiamarlo alimento!) più studiato al mondo e non teme rivali in fatto di ricchezza nutrizionale e proprietà salutari, grazie alle quali previene malattie cardiovascolari, metaboliche, cutanee, gastrointestinali e tumorali; aiuta l’accrescimento corporeo in età evolutiva e favorisce la longevità. La sua valenza nutraceutica è dovuta alla composizione chimica che prevede, oltre alla componente grassa, peraltro simile a quella del latte materno, molti altri fattori (antiossidanti, polifenoli, vitamine liposolubili). La quota lipidica prevede la presenza cospicua di acido oleico (60-80%), acido grasso monoinsaturo appartenente alla famiglia degli omega 9, che, oltre alle sue proprietà antipertensive e antiossidanti, conferisce all’olio d’oliva la tipica stabilità in cottura.
Per tutte queste preziose proprietà, è importante consumarlo quotidianamente, meglio se crudo, per condire insalate, minestre, sughi e secondi piatti; senza dimenticare che, ancora oggi come un tempo, l’olio e.v.o. su del buon pane, meglio se integrale, costituisce un ottimo componente per merende sane, leggere e gustose.

 

Articolo pubblicato su Dimensione Agricoltura di novembre 2016

 

Zucchero: da spezia antica a nemico moderno.

immagine tratta dal web

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Sebbene oggi lo zucchero sia il più comune e diffuso fra i dolcificanti, nel Medioevo era considerato una spezia, un condimento esotico molto apprezzato dalla Cristianità latina, ottenibile solo a caro prezzo per via commerciale ma coltivabile con relativa semplicità anche nel Mediterraneo. Le prime piantagioni di proporzioni consistenti pare fossero collocate in Sicilia, da cui fu esportato nel Quattrocento in Portogallo e successivamente nelle isole Canarie occidentali, in quelle di Capo Verde e del Golfo di Guinea. In breve, si trasformò nell’unico prodotto in grado di competere commercialmente con le spezie orientali. Il gusto molto apprezzato dello zucchero divenne popolare e molto richiesto, fino a sostituire in Occidente l’utilizzo del miele, nonostante i dolci fossero ancora considerati beni di lusso e relegati, dunque, alla tavola dei reali  di qualche famiglia nobile.
Da allora ad oggi, lo zucchero di strada ne ha fatta davvero tanta. Attualmente il suo consumo eccessivo e per un tempo prolungato è considerato una delle cause principali di disregolazione metabolica e aumento di peso. Non ci sorprende, vista la gradevolezza del suo sapore, la sua diffusione nell’alimentazione quotidiana e la facilità con cui è possibile reperirlo.
Ma quali sono i meccanismi attraverso i quali lo zucchero può danneggiare il nostro metabolismo?
Iniziamo facendo un po’ di chiarezza. Il saccarosio, o zucchero da cucina, è un dimero costituito da glucosio e fruttosio.
Il glucosio è il monomero il cui livello nel sangue (glicemia) e nei tessuti è regolato da ormoni particolari (fondamentalmente, insulina e glucagone). È utilizzato da tutti i tessuti e gli organi del corpo, e dal cervello come “carburante” preferenziale. Viene accumulato nel fegato e nei muscoli sotto forma di deposito (glicogeno), utile nei casi di digiuno prolungato (come quello notturno) o negli sforzi fisici improvvisi. Il glucosio proviene dalla digestione di alimenti ricchi di carboidrati, dall’utilizzo delle riserve di glicogeno o da processi di neosintesi effettuati dal fegato a partire da altre molecole (amminocacidi, acido lattico e glicerolo). Quando la quantità di glucosio nel sangue è eccessiva per lungo tempo, l’eccesso contribuisce alla formazione di acidi grassi che, inevitabilmente, innalzano la quota di trigliceridi presenti nel sangue.
12088159_831102997005223_3479382408958433296_nIl fruttosio è presente nella frutta e in alcuni ortaggi (carote, zucchine). Ma, oltre ad essere contenuto in questi cibi e nel saccarosio, esso è abbondante nello sciroppo di mais, detto anche sciroppo di fruttosio, presente in moltissimi prodotti industriali. La sua diffusione nella stragrande maggioranza degli alimenti confezionati è dovuta al fatto che, rispetto all’estrazione di saccarosio (da canna o barbabietola), la produzione di sciroppo di fruttosio è molto più economica.
Quali sono gli effetti dell’eccessiva assunzione di fruttosio? L’organo che li subisce in maggior misura è il fegato che, dopo aver trasformato una piccola quantità di questo zucchero in riserva energetica, comincia a produrre grasso che si deposita sulla superficie dell’organo (steatosi epatica non alcolica). Sono stati evidenziati altri effetti quali l’induzione di fermentazioni a livello intestinale con conseguente disbiosi a carico del microbiota e riduzione della sintesi di leptina, ormone che induce il senso della sazietà.
Sempre più spesso, oggi, si leggono sui social titoli allarmistici che additano lo zucchero quale uno dei cinque (o erano sette?) veleni della nostra epoca. La soluzione, però, non è escluderlo completamente dalla propria alimentazione, proprio come si farebbe nei confronti di un veleno, ma usarlo con moderazione, praticare quotidianamente attività fisica e associarlo correttamente agli altri alimenti. Pertanto, è importante sapere che l’aumento della glicemia può essere contenuto dalla presenza di fibra nello stesso pasto; diventa importante quindi consumare farine da cereali integrali e concedersi un dolce ogni tanto magari a fine pasto. Per quanto riguarda il fruttosio, quello contenuto nella frutta, in persone sane che ne consumano quantità adeguate, non sembra apportare danni al fegato. È importante invece ridurre, o meglio ancora evitare, i prodotti industriali che contengono sciroppo di mais, comprese le bibite edulcorate.

 

 

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Obesità infantile: l’importanza del lavoro integrato

Grafico 1

L’esperienza del trattamento nutrizionale dei bambini obesi o in sovrappeso è davvero molto interessante e, nonostante i numerosi anni di professione, continua a offrirmi nuovi spunti di approfondimento e riflessione. Accade, seguendo questi bambini, che la pratica del nutrizionista debba orientarsi verso tutti i componenti della famiglia, poiché il sovrappeso di un individuo non è, e non può essere, un problema esclusivamente individuale se egli fa parte di un piccola comunità integrata e dinamica come la famiglia. Esso, probabilmente, oltre che di una componente genetica, rappresenta il risultato complessivo di una serie di pratiche poco adeguate che hanno coinvolto e coinvolgono ancora l’intero sistema famiglia. Parlo di abitudini quotidiane inadeguate e della conseguente destrutturazione dello schema alimentare, dalle pratiche di divezzamento a quelle di accudimento a tavola in generale, dalla lista della spesa alle consuetudini in cucina.
Questo è il motivo per cui nel trattamento nutrizionale di un bambino obeso è compreso un lavoro imprescindibile con gli altri componenti della famiglia, oltre a figure che possiamo definire collaterali: fratelli, sorelle, genitori, nonni, baby sitter e altri soggetti che si occupano dell’accudimento del bambino in questione. Nel caso in cui il bambino faccia un’attività fisica oltre a quella scolastica (sarebbe auspicabile!), anche l’istruttore o l’allenatore dovrebbero essere coinvolti prima possibile e invitati a collaborare al percorso di riabilitazione nutrizionale e motivazionale, teso a raggiungere il peso adeguato del bambino attraverso l’acquisizione di strumenti di autoregolazione delle proprie emozioni, una maggiore autonomia nelle scelte alimentari, l’educazione agli assaggi e alle varie esperienze sensoriali che ne conseguono.
Poiché gli adulti che hanno un maggiore impatto sui comportamenti alimentari del bambino sono in genere i genitori, come indica chiaramente gran parte della letteratura scientifica disponibile, è con loro che spesso organizzo incontri e seminari, intercalati agli appuntamenti con il bambino. Quindi, in definitiva, il percorso di riabilitazione nutrizionale di un bambino obeso si basa su almeno due tipi di intervento (esperienziale e ludico col bambino, discorsivo e di approfondimento con i genitori)  tesi a fornire strumenti accessibili e concreti atti all’acquisizione di buona pratiche alimentari. Nei casi in cui la componente psico-emotiva, che fisiologicamente gioca di per sé un ruolo importantissimo nella gestione del comportamento alimentare, fosse così complessa e presente da rendere il percorso nutrizionale più difficoltoso del previsto, la collaborazione con altre figure professionali (psicoterapeuta, pedagogista clinico, neuropsichiatra infantile) può aiutare a sciogliere nodi e dilemmi emersi in itinere e rendere più fluido ed efficace il lavoro del nutrizionista.
Il grafico 1 mostra l’andamento dell’Indice di Massa Corporea di un bambino di 9 anni, arrivato alla mia attenzione nel mese di maggio 2016 con un valore di IMC al di sopra del 95° centile e tuttora in trattamento (mantenimento). I cinque incontri, in cui il piccolo ha seguito il percorso di riabilitazione nutrizionale, è stato pesato e misurato, si sono intercalati a incontri (in questo caso più numerosi, ovvero otto) con i genitori, soprattutto con la mamma, essendo lei ad occuparsi maggiormente dell’approvvigionamento alimentare e della preparazione dei pasti. Durante queste occasioni sono stati affrontati argomenti quali la scelta dei cibi a minore impatto sulla glicemia, l’importanza del movimento all’aperto, la gestione e il contenimento delle compulsioni relative al cibo, il linguaggio più adeguato da adottare in presenza del bambino e la condivisione di momenti conviviali particolari, come le feste di compleanno e altre ricorrenze. Con il piccolo, invece, ogni volta è stata aggiornata la tabella degli assaggi e delle scelte, in base alle nuove esperienze suggerite; è stato affrontato in modo ludico un argomento relativo alla scelta alimentare, attraverso storie, fumetti e disegni; sono stati messi in atto giochi volti ad aumentare la percezione dell’appetito e della sazietà. Il grafico 2 è relativo al IMC di un adolescente di 15 anni che seguo da marzo 2017.

Grafico 2

Grafico 2

In questo caso, gli strumenti forniti al ragazzo sono stati soprattutto di autogestione nei momenti conviviali coi pari, di consapevolezza delle scelte alimentari quotidiane in autonomia, di rieducazione del gusto, che tipicamente a questa età risulta omologato e poco disponibile ad assaporare cibi semplici e non industriali.
L’aderenza al percorso è molto legata alla motivazione che innanzitutto i genitori e di conseguenza il bambino mostrano sin dall’inizio. Ma i risultati, soprattutto se arrivano già dai primi incontri, sono sicuramente un ottimo incentivo, insieme all’atteggiamento accogliente, sereno, giocoso e propositivo del professionista.

 

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