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Selettività alimentare – riflessioni e letture

Il mio interesse per le difficoltà alimentari nell’età evolutiva è nato molti anni fa, quando, all’inizio della mia attività di nutrizionista, la pediatra che mi ospitava nel suo studio cominciò a inviarmi bambini sovrappeso. Era già in quegli anni un problema grave e urgente per il quale mi aveva voluto come collaboratrice. La malnutrizione per eccesso fu dunque la prima questione con cui dovetti misurarmi. Con il tempo però si delineò un’altra situazione non sempre opposta all’eccesso ponderale, anzi spesso parallela ad essa: la selettività alimentare. Non parlo dell’istintiva neofobia tipica dell’età del divezzamento che si risolve in genere entro i primi anni di vita, ma di un evitamento pervicace e assoluto che spesso metteva a rischio la crescita del bambino.
Cominciai a vedere bambini e adolescenti selettivi, presentati dai genitori come capricciosi e ostinatamente diffidenti. Gli stessi genitori spesso mi raccontavano rassegnati di non riuscire a inserire nessun nuovo alimento al di là di quei pochi accettati e che la maggior parte dei rifiuti era legata alle caratteristiche sensoriali del cibo: aspetto, consistenza, colore, odore, presentazione nel piatto. Mi si presentò un quadro variegato fatto di fughe tattili e altri comportamenti evitanti, reazioni di rifiuto anche violente accompagnate da pianto inconsolabile e agitazione, associati a sottopeso o a sovrappeso, rallentamento della crescita e dello sviluppo e carenze nutrizionali, soprattutto relative a vitamine, sali minerali e proteine.
Non fu facile capire come aiutare queste famiglie. La letteratura al riguardo era scarsa, la mia esperienza pure e le famiglie avevano la certezza che trattandosi di capricci bastasse insegnare ai figli qualche regola per restituire loro l’interesse nei confronti del cibo.
Sono passati molti anni e per fortuna il quadro oggi è più comprensibile, sebbene non tutta la letteratura disponibile sia concorde sui profili caratteristici e sui trattamenti efficaci. La selettività alimentare di cui racconto oggi è oggetto di molti studi, viene definita Disturbo evitante/descrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID, Avoidant Restrictive Food Intake Disorder) ed è compresa anche nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2013) fra i disturbi alimentari in età evolutiva.
L’ARFID può presentarsi in modi e con sfumature molto diverse, anche se presenta nella maggior parte dei casi caratteristiche di suscettibilità sensoriale. E’ un disturbo presente sia nella popolazione infantile neurotipica sia in quella con neurosviluppo atipico.

Ho già scritto di ARFID, se volete potete farvi un’idea qui, ma credo che continuare a parlarne aiuti a capire e ad acquisire strumenti sempre più efficaci.
Gli studi disponibili al momento sono molti. La studiosa di riferimento è Rachel Bryant-Waugh, della quale la casa editrice Positive Press ha recentemente tradotto un piccolo manuale dedicato a genitori e operatori.

Tutti i gruppi di studio mi sembrano concordi su tre punti essenziali: 1. una sempre maggiore attenzione al problema; 2. la realizzazione di linee guida e strumenti standardizzati accessibili a chi si occupa di questo disturbo; 3. il trattamento multidisciplinare.

Una questione che mi sta particolarmente a cuore e sulla quale sto lavorando da qualche anno è l’ARFID nei disturbi del neurosviluppo. Avrò presto il piacere di parlarne al Convegno nazionale AIDEE con un intervento dal titolo, appunto, La selettività alimentare nei disturbi del neurosviluppo.
Fra i quadri patologici che presentano l’ARFID la Disprassia e il Disturbo dello spettro autistico sono i più comuni. Sulla Disprassia, disordine di integrazione sensoriale che interferisce con la capacità di programmare, eseguire e coordinare compiti motori, il materiale bibliografico relativo alla selettività alimentare è più scarso e dispersivo rispetto a quello prodotto sul disturbo dello spettro autistico. Per farsi un’idea di questo disturbo, consiglio la lettura del testo Il bambino e l’integrazione sensoriale di Anna Jean Ayres che, sebbene datato, fornisce un quadro piuttosto completo sull’argomento. Un sito accessibile e ricco di informazioni al riguardo è quello di Rossana Giorgi, terapista della neuro-psicomotricità dell’età evolutiva. L’articolo al link è di Erica Certosino, rappresentante nazionale genitori AIDEE.

Riguardo al Disturbo dello spettro autistico, o meglio Disturbi dello spettro autistico*, e la presenza di ARFID nel 2017 è stato pubblicato da Ericson un Manuale completo e molto ben scritto, destinato a genitori (sebbene molto tecnico) e operatori, dal titolo La selettività alimentare nel disturbo dello spettro autistico, curato da Luigi Mazzone. Il testo offre una buona visione di insieme, oltre che una prima guida operativa ai professionisti della nutrizione che vogliono occuparsi o già si occupano di queste problematiche.

Il lavoro di riabilitazione nutrizionale con questi bambini è tanto interessante quanto complesso. Nel contesto della riabilitazione nutrizionale la difficoltà più frequente è contare su un team per la presa in carico multidisciplinare, creare cioè una rete di professionisti aggiornati che supportino e forniscano strumenti efficaci al bambino e alla sua famiglia e che siano disponibili al confronto costante e reciproco sui percorsi e sugli eventuali ostacoli. Negli ultimi anni però il mio lavoro è stato accompagnato e arricchito da professionisti e realtà locali che hanno reso più agevole l’intervento nutrizionale nei casi più difficili di ARFID in presenza di disturbi del neurosviluppo. In particolare, con il Centro Il Colibrì e l’associazione AIDEE Toscana si sono creati momenti di confronto proficui che hanno condotto anche a occasioni formative importanti. Da questo confronto è emersa ogni volta la conferma di quanto sia necessario l’impegno costante nella formazione di nutrizionisti competenti e nell’adozione di modalità operative condivisibili.
La strada è ancora lunga ma confido di percorrerla in buona compagnia.

 

 

*condizioni nelle quali le persone hanno difficoltà a stabilire relazioni sociali normali, usano il linguaggio in modo anomalo o non parlano affatto e presentano comportamenti limitati e ripetitivi (fonte Manuale MSD online)

 

 

 

Testo e immagine © giusi d’urso

 

 

 

#iomiadatto

#Iomiadatto un nuovo canale You tube che nasce con questa idea: persone vicine ad altre persone perché la vicinanza è un concetto che va oltre il solo aspetto fisico.

In questa situazione ci siamo tutti, e tutti quanti detestiamo il sentirci in gabbia ma possiamo comunicare: molti professionisti si sono uniti in questo luogo virtuale per offrire consigli, indicazioni e tecniche per trascorrere al meglio il tempo che passiamo a casa.

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COVID-19 – Nuove modalità di supporto nutrizionale

💥A tutti i miei pazienti💥
in riferimento alle misure contenitive del contagio da Covid-19 richieste dal Ministero della Salute, mi trovo nella condizione di riorganizzare le modalità di supporto per le prossime settimane. Pertanto, invito le persone che hanno già iniziato un percorso nutrizionale nel mio studio a contattarmi via mail (giusi.durso@libero.it) o telefono (3470912780) in modo che possa fornire loro tutte le informazioni relative alle nuove modalità di supporto e confronto online.
Per i percorsi ex novo è possibile prendere un appuntamento con le consuete modalità, per una data successiva al 3 aprile.
Grazie per la collaborazione.

L’avversione alimentare in età adulta

Due casi, due trattamenti.
Quando si parla di avversione orale, neofobie e rifiuto del cibo si pensa automaticamente ai bambini, soprattutto in quella particolare fase dell’accrescimento che prevede il passaggio dall’alimentazione esclusivamente lattea a quella semisolida e solida (divezzamento). In genere, infatti, e in modo del tutto fisiologico, il bambino mostra diffidenza all’introduzione nella sua usuale dieta lattea di alimenti con sapore, tessitura e densità vari e diversi tra loro. In questo blog, è stato affrontato questo argomento in altri articoli che riporto a fine pagina, per chi volesse approfondire.
ed. alim.In realtà, l’avversione orale a particolari cibi o all’atto comune di alimentarsi può presentarsi anche in età adulta e rendere le scelte alimentari molto difficili e monotematiche, quando, addirittura, non causi dimagrimento eccessivo e malnutrizione.
Attualmente, sono due i casi che sto seguendo nel mio studio. Riguardano entrambi due giovani donne più o meno coetanee e studentesse universitarie, ma che con tutta probabilità hanno sviluppato questo disturbo per cause assolutamente diverse.
Il primo caso riguarda Monica (nome di fantasia), di 22 anni, che da sempre ha difficoltà ad alimentarsi in modo variato, scartando a priori una serie molto ampia di cibi. I motivi della sua avversione, come lei stessa è in grado di descrivere, sono molteplici: molti degli alimenti scartati sono di origine vegetale, in particolare non riesce a mangiare frutta con la buccia, diversi tipi di verdura, cibi a consistenza molle ed estremamente umida. La restrizione nella scelta risale probabilmente all’epoca del divezzamento, durante il quale, forse, è accaduto qualcosa che ha interrotto la dinamica di apprendimento alimentare ed educazione al gusto che ogni bambino affronta (con non poca fatica) in quel periodo. Non è semplice risalire ad uno specifico episodio e comunque non è nemmeno così necessario. Monica segue, per motivi etici, una dieta latto-ovo-vegetariana, è normopeso ma ha qualche carenza vitaminica per l’esigua presenza di alimenti vegetali nei suoi consumi quotidiani. Il percorso con questa giovane donna è iniziato, proprio come usualmente accade nel mio studio coi bambini che seguo, con l’educazione alla sensorialità. Nei primi incontri abbiamo sfogliato un libro che mostra disegni bellissimi e molto dettagliati di frutta e verdura. Siamo partiti, dunque dall’osservazione. Ad ogni incontro è stato scelto un alimento vegetale ed è stato “studiato” nelle sue caratteristiche specificamente apparenti: colore, forma, dettagli e particolari che possono risaltare agli occhi di chi osserva.
a10Successivamente, dopo averle proposto di conoscere anche la storia e la produzione di quel dato alimento, ci siamo concentrate sul tatto: toccando un dato frutto o un dato ortaggio con le mani, Monica è stata invitata a descrivere su un quaderno le sensazioni tattili, in modo molto dettagliato. Il passo successivo ha contemplato l’idea dell’assaggio: è andato a buon fine e ha mostrato (finalmente!) la presenza reale di gradimento o di disgusto. L’esperienza è stata spesso intensa, ma è servita a raggiungere un grado di consapevolezza superiore rispetto a quello originario di Monica. “Adesso so se mi piace o se non mi piace e so spiegare anche il perché!”.
Il secondo caso è quello di Lilli (nome di fantasia), una studentessa di vent’anni, sottopeso e con una evidente e intensa ansia riguardo al suo problema: alimentarsi poco, male e spesso in maniera affatto serena. Lilli da bambina ha subito diversi interventi chirurgici addominali per patologie non gravi e risolte ma che hanno lasciato una notevole traccia traumatica nella sua cognizione dell’atto alimentare. Le sue paure, manifestate immediatamente al primo colloquio, mi hanno convinto a coinvolgere nel percorso di riabilitazione nutrizionale la figura della pedagogista clinica. Il percorso ha richiesto un supporto intensivo da parte di questa professionista che ha iniziato a lavorare sulle emozioni e sulla gestione delle molte paure di Lilli (paura di vomitare, paura di provare dolore all’addome, paura di non essersi alimentata a sufficienza, ecc). Questo lavoro preliminare, che continua ad affiancarmi e a supportarmi, mi ha permesso di iniziare a lavorare su un piano alimentare piuttosto elastico e generico che, via via, diventa sempre più personalizzato. Dopo i primi incontri, Lilli comincia a prendere peso ed esprimersi con toni più sereni rispetto ai suoi pasti e ai momenti che li seguono.
In questo caso, a differenza del primo, l’avversione è molto generica e aspecifica, connotata da una maggiore consapevolezza sugli alimenti, sul loro sapore e la loro consistenza. Riverbera, invece, nelle scelte estremamente prudenti di Lilli, la paura delle percezioni fisiche che seguono o possono seguire il pasto. Un attenta e delicata analisi di queste sensazioni/percezioni/emozioni sta costruendo davanti alla ragazza una strada lineare che possa condurla alla razionalizzazione di tutto quello che un pasto, dalla masticazione alla digestione, provoca fisiologicamente dentro il suo corpo.

Due percorsi diversi, dunque, con qualche punto in comune, che mettono in risalto quanto le esperienze pregresse (più o meno ricordate e accettate) possano influenzare il percorso di acquisizione delle abilità alimentari. Un’altra considerazione che faccio spesso durante gli incontri nel mio studio è che il disagio intorno al cibo, come sempre, può contaminare altri aspetti della vita quotidiana, innescando nel caso migliore semplici fobie, nel caso peggiore paure e ansie intensissime. Importantissimo e imprescindibile, quindi, considerare l’eventualità di un lavoro di squadra!
Il fine è comune a entrambi i percorsi (che sono ancora entrambi in fieri): evitare che questi disturbi cronicizzino e inficino pesantemente le scelte abituali, influenzando negativamente non solo l’aspetto nutrizionale, ma anche e soprattutto quello conviviale e sociale.

 

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Sulla neofobia e sull’avversione alimentare nei bambini puoi leggere i seguenti articoli:
Neofobie e nutrizione pediatrica
Strumenti di nutrizione pediatrica
Se non mangio mi vuoi bene?

 

Dedicato alle mie pazienti

Da ottobre partiranno tre incontri di educazione alimentare gratuiti rivolti alle mie attuali pazienti e a quelle che hanno già terminato il loro percorso. Il ciclo di incontri “Il cibo della salute” ha lo scopo di completare l’iter nutrizionale, cognitivo ed educativo iniziato allo studio condividendo buone pratiche di utilità quotidiana. Non sarà uno sportello nutrizionale, non ci sarà posto per domande individuali sul proprio percorso o sul proprio piano alimentare, ma rappresenterà un momento di condivisione importante per imparare a mettere in atto, o a perfezionare, le buone pratiche alimentari, dalla lista della spesa al piatto. 
Per questioni organizzative, è necessario (direi obbligatorio) comunicare la propria partecipazione. Potete farlo per mail o per telefono, specificando l’incontro al quale volete partecipare, il vostro nome e cognome e il vostro recapito telefonico.
Tutte le informazioni sono contenute nella locandina.
Vi aspetto!  🙂

il-cibo-della-salute

Il cibo fra il corpo e la mente

Mentre la quotidianità ci travolge con i suoi ritmi frenetici e le sue consuetudini, dimentichiamo spesso di cosa siamo fatti e come rispondiamo agli stimoli esterni. È bene ogni tanto ricordare che siamo organismi complessi, fatti di carne, ossa, pensieri, emozioni. Un ampio e articolato sistema di strutture anatomiche e psichiche connesse fra loro dalla chimica del corpo. Quest’ultima rappresenta uno dei substrati su cui agisce il cibo, con la sua composizione variegata di molecole. Il suo ruolo non è solo quello di nutrire, ma anche di interagire con le interconnessioni che caratterizzano il corpo e l’essere umano tutto. Spesso ci sfugge che anche i pensieri e le emozioni hanno un movens chimico: molecole di neurotrasmettitori e neurormoni, messaggeri intra ed extracellulari, che stimolano o inibiscono altre molecole, interagiscono con i propri recettori. Ogni nostra reazione, ogni sensazione, ogni sentimento hanno come base la chimica del sistema nervoso. Essa, integrandosi ad altre chimiche (a quella del codice genetico, del sistema immunitario) e con ciò che ci sollecita dall’esterno, produce reazioni, più o meno evidenti, sia a livello organico che a livello psichico. Insomma, la natura ha fatto davvero un gran ben lavoro, senza risparmiarsi in quanto a complessità.
Proprio questa caratteristica, così peculiare e così meravigliosa, a volte ci espone a dei rischi. In alcuni momenti della nostra vita o in alcune patologie, in particolare i disturbi alimentari, come ad esempio nel Disturbo di Alimentazione Incontrollata (DAI) ma anche nell’Anoressia Nervosa (AN) e nella (BN), così come nell’obesità e nell’ortoressia*, il cibo, con il suo ampio bagaglio di significati e simbologie, rappresentando atavicamente un ponte fra il corpo e la mente, diventa l’unico linguaggio con cui parliamo a noi stessi e al mondo che ci circonda. Questo accade nell’adulto, come nel bambino e nell’adolescenze e le sue conseguenze sulla salute possono essere anche molto gravi.
Quando le incongruenze dell’anima e dei pensieri diventano insopportabili può accadere che il cibo diventi la consolazione a portata di mano, smorzando così emozioni intollerabili, dolori profondi, autosvalutazione, stati di profonda frustrazione e delusione. Il corpo con le sue forme, interfaccia sociale fra noi e gli altri, depositario di memorie genetiche e metaboliche, spesso oggetto di giudizi terribilmente condizionanti viene coinvolto e sconvolto da pensieri ossessivi che producono disfunzioni nel comportamento alimentare. La formulazione di tali pensieri e la reazione del proprio corpo alla frustrazione e alla sofferenza che essi generano trovano nel cibo la chiave di volta, la strada per comunicare con se stessi e il mondo, il modus più congeniale per riempirsi, svuotarsi, amarsi, consolarsi. Per sopravvivere alla solitudine, al dolore, al giudizio degli altri.
Come già accennato, i meccanismi fisiologici che sottendono al consumo fisiologico del cibo, quale nutrimento del corpo e gradimento per la mente possono alterarsi a qualsiasi età: il DAI, in particolare, è fra i disturbi alimentari più diffusi, colpisce appunto tutte le fasce d’età e i livelli culturali, con un coinvolgimento del sesso maschile maggiore rispetto a AN e BN. Inoltre, è causa di molte complicanze metaboliche, cardiovascolari e psichiatriche.
Nell’età evolutiva, il sovrappeso e l’obesità sono espressione di un corpo in grande difficoltà, che racconta un probabile disagio, un’incongruenza che ha provocato una frattura, un cambiamento adattativo, alterando la rete chimica, delicata e complessa, che collega il metabolismo al peso corporeo e al funzionamento psichico. Lo stretto legame (fisiologico) fra il piacere di mangiare e la relazione del bambino con i suoi adulti di riferimento (in particolare la nutrice) si trasforma in un’arma contro se stessi, producendo e mantenendo il disturbo alimentare.

Ma un problema che nasce da un sistema complesso non può ammettere soluzioni semplicistiche. Per questo, i percorsi terapeutici che possono aiutare le persone affette dai suddetti disturbi devono contemplare più figure professionali che lavorano in rete, confrontandosi di continuo.
Dal punto di vista nutrizionale, diventa fondamentale instaurare un rapporto empatico, di accoglienza e fiducia, come base su cui costruire esperienze che supportino il paziente nel cammino, spesso lungo e faticoso, verso la riconversione del cibo da ciò che è diventato a ciò che deve tornare ad essere: nutrimento e piacere. Sia per gli adulti che per i ragazzi, sono necessarie sedute che mettano in contatto, nel modo e nei tempi adeguati, i sensi e le sensazioni con il consumo dei cibi che rappresentano il nemico o il conforto. Il lavoro sulla composizione corporea e sul peso è contestuale ma non sempre prioritario, perlomeno fino a quando non saranno raggiunti gli obbiettivi comportamentali di base. Per i più piccoli, è stato visto che i percorsi più efficaci sono quelli che coinvolgono l’intera famiglia pur lasciando spazio e autonomia al bambino o al ragazzo, in modo da ricomporre il complesso mosaico di emozioni e sensazioni corporee legate al consumo, alla scelta e al gradimento degli alimenti e sostenere così una crescita corporea e psichica fisiologica.
Non si tratta quasi mai di percorsi brevi e privi di inciampi, poiché il cibo e il suo consumo sereno e fisiologico rappresentano una parte molto importante e fondante della nostra vita, della nostra salute e del nostro modo di essere. Cibo, mente e corpo sono e saranno sempre le tre anime chimiche che ci compongono e ci rendono ciò che siamo. L’attenzione dovuta a questa triade così importante deve essere, da parte di chi se ne prende cura, alta e costante. In tutti i casi, diventa fondamentale la costruzione di un terreno ampio e sereno dove poter seminare nuovi obiettivi e accudire nuovi stili emotivi e comportamentali, trasformando, come nell’arte del Kintsugi**, ogni ferita in una nuova possibilità di migliorare il rapporto con il proprio corpo, con il proprio cibo e con il proprio mondo.

 

 

 

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Immagine tratta dalla rete.

 

* ortoressia: da Orthos (giusto) e Orexis (appetito),sindrome caratterizzata dall’ossessione del cibo sano, che spinge ad eliminare gruppi di cibi essenziali per paura di essere contaminati.

**Kintsugi: tecnoca artistica giapponese che valorizza le incrinature e le crepe degli oggetti rotti rempiendole con oro

Per approfondire:

– Prigionieri del cibo. L. Dalla Ragione e S. Pampanelli. Pensiero Scientifico Editore
– Ferite e ricami nella clinica dei disturbi alimentari E. Riva. Mimesis

 

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Aumento del peso corporeo: fattore di rischio non solo metabolico

Il sovrappeso e l’obesità sono oggi fenomeni così diffusi da acquisire le caratteristiche di un’epidemia. Ultimamente nel nostro Paese si è registrato un 13% in meno di bambini obesi rispetto ai dati precedenti. Sebbene il dato sia confortante, c’è ancora molto da lavorare. obesitaL’ultimo comunicato di OKkio alla Salute riferisce che “Nonostante il miglioramento registrato dagli ultimi dati, restano forti differenze geografiche tra Nord e Sud, a discapito di quest’ultimo – dichiara Walter Ricciardi, Presidente dell’ISS – La diminuzione del tasso di obesità nei bambini è un segno che le politiche sanitarie messe in atto cominciano a dare i primi risultati ed è contemporaneamente il segnale che dobbiamo concentrare maggiormente gli sforzi in questa direzione. Tuttavia – prosegue Ricciardi – resta molto da fare, soprattutto nella promozione della consapevolezza sui corretti stili di vita. I genitori devono fare la loro parte: infatti, questi dati ci dicono che circa il 40% delle madri di bambini in sovrappeso o obesi ritiene che il peso del proprio figlio sia nella norma”. E’ necessario e urgente, dunque, attivarsi affinché l’educazione alimentare sia fatta in modo efficace e capillare, poiché un bambino obeso sarà con molta probabilità un adulto obeso. L’elevata prevalenza di sovrappeso e obesità infantili rappresenta innegabilmente un problema di sanità pubblica a livello mondiale, in quanto avrà un impatto sociale altissimo e le complicanze ad essa legate un costo molto elevato, sia in termini di terapie che in termini di assenteismo e limitata produttività. Ma a cosa espone esattamente l’eccesso ponderale? Se un tempo parlando di peso eccessivo si pensava automaticamente al rischio metabolico e cardiovascolare, oggi sappiamo che esso rappresenta un fattore di rischio anche per molte altre patologie. Sin dagli ultimi anni del secolo scorso sono stati pubblicati studi che indicano il contenimento del peso corporeo quale strumento preventivo primario relativamente alle patologie su base infiammatoria, prime fra tutte quelle del sistema immunitario. Dai primi anni del 2000 ad oggi sono stati molti gli studi pubblicati al riguardo. Mi piace qui segnalarne due (usciti rispettivamente all’inizio del secolo e ai giorni nostri): un interessante studio americano  uscito nel 2003, sulle interazioni complesse fra il peso corporeo e la risposta immunitaria, e una ricerca condotta dall’Università di Siviglia, pubblicata quest’anno, che mette in risalto il ruolo della leptina, ormone chiave nella regolazione dell’introito calorico e del peso corporeo, e del suo recettore nei processi infiammatori e di immunoadattamento. Dalla lettura della letteratura scientifica si deduce che un peso adeguato riduce il rischio di ammalarsi sia di patologie autoimmuni (in particolare le reumatiche, oltre che a Sclerosi Multipla e il Lupus Erimatoso Sistemico) che di quelle immuno-proliferative (come le gammapatie monoclonali). Anche le malattie tumorali sono strettamente legate al controllo del peso corporeo. I lavori scientifici al riguardo sono numerosi e disponibili attraverso una ricerca accurata su PubMed. E’ possibile farsene un’idea  leggendo  una recentissima revisione di un gruppo di ricerca statunitense che esamina i percorsi cellulari e molecolari che sembrano essere coinvolti nell’aumento del rischio di ammalarsi di cancro se si è in sovrappeso. Altre due recenti revisioni, quella di un gruppo cinese, uscita nel maggio scorso e quella di un gruppo canadese, pubblicata pochi giorni fa, indicano che l’eccesso di peso corporeo rappresenta un fattore di rischio importante per diversi tipi di tumore, in particolare al seno, all’utero, alla prostata e al colon-retto. Le strategie di prevenzione primaria destinate all’infanzia e all’adolescenza sono fondamentali e auspicabili in tutti i contesti affinché i futuri adulti siano più sani e longevi, ma il contenimento del peso è assolutamente importante ed efficace a qualsiasi età. E’ stato visto infatti che, sia per le donne che per gli uomini, affrontare l’età adulta e la senescenza con un peso adeguato significa ridurre il rischio di patologie metaboliche, cardiovascolari, tumorali e scheletriche e, nel caso di patologie già presenti, reagire meglio alle terapie e avere una maggiore probabilità di guarigione. L’alimentazione personalizzata, attenta ai fabbisogni nutrizionali, alla composizione corporea, alla eventuale predisposizione genetica alle patologie, insieme all’attività fisica regolare, sono le strategia consigliate ad ogni età, perché per pensare alla propria salute non è mai troppo tardi.

 

 

Immagine tratta dalla rete.

 

 

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Alimentazione e procreazione

procreazione-assistitaIl ruolo della nutrizione rispetto alla buona riuscita di un progetto di procreazione è ormai ampiamente consolidato. Sappiamo infatti che il sovrappeso e l’obesità, ma anche il sottopeso, possono mettere a rischio sia il concepimento,  che la gravidanza e la salute del nascituro. In assenza di cause patologiche che ostacolino il concepimento, spesso sono gli stili di vita, in particolare stress e alimentazione, a determinarne il buon esito o il fallimento.
Uno dei fattori materni più importati è senza dubbio il peso: il sovrappeso e l’obesità nella donna possono essere la causa di irregolarità mestruali, mentre il grave sottopeso quella di cicli anaovulatori e, nel caso in cui si instauri lo stesso una gravidanza, di anomalie nella crescita nel feto. Per quanto riguarda l’uomo, l’obesità può inficiare la fisiologia degli spermatozoi, limitandone la capacità di fecondare. Il raggiungimento e il mantenimento di un peso adeguato, dunque, è il primo passo necessario per chi vuole concepire.
Oltre al peso, però, nella donna che sceglie di procreare, è necessario porre attenzione alla qualità della sua alimentazione sempre e comunque. Sappiamo infatti da molto tempo che alcuni micronutrienti, quali l’acido folico, l’inositolo, gli omega 3, il ferro, lo zinco e le vitamine del gruppo B sono fondamentali per garantire uno stato nutrizionale favorevole al concepimento, al normale sviluppo del feto e all’instaurarsi dell’allattamento. I fabbisogni sia dei macro che dei micronutrienti devono essere coperti attraverso un piano alimentare personalizzato e bilanciato, affinché l’organismo femminile sia in uno stato di salute ottimale, pronto ad accogliere un eventuale impianto. In generale, valgono le raccomandazioni espresse nelle linee guida per una sana e corretta alimentazione, con particolare riguardo ai nutrienti accennati in piramide_500pxprecedenza. Sarà quindi importante consigliare un adeguato consumo di frutta e verdura di stagione, cereali integrali soprattutto in chicco, l’uso di olio extra vergine d’oliva, la riduzione di proteine animali e un maggiore utilizzo di legumi.
La personalizzazione del piano alimentare, tuttavia, è necessaria per assicurare a quella donna, in quella precisa fase della sua vita, la copertura dei fabbisogni e l’azione preventiva, per lei e per il suo bambino, che una buona alimentazione garantisce.
Anche in presenza di patologie, sia ginecologiche ( per esempio, ovaio policistico, endometriosi, ecc.) che di altra natura (autoimmuni, infiammatorie, metaboliche), un’alimentazione specifica e attentamente studiata diventa un importante strumento, facilitando la remissione di eventuali fasi acute e rendendo lo stato di salute della donna compatibile con una gravidanza. Inoltre, in presenza di diabete gestazionale, patologia metabolica che colpisce circa  il 10-20 % delle gravide di età superiore ai 35 anni, un’alimentazione attentamente pianificata che copra i fabbisogni contenendo la tendenza all’iperglicemia e all’eccessivo aumento di peso può evitare la terapia insulinica e garantire una gravidanza normale.
Per tutta la durata della gestazione, e in seguito durante l’allattamento, alimentarsi in modo adeguato rappresenta una buona prassi, poiché una mamma che si alimenta bene durante la gravidanza e mentre allatta favorisce un buon programming metabolico per il suo bambino  garantendogli la prima, importante e duratura prevenzione nei confronti delle malattie metaboliche.

 

Le immagini sono tratte dalla rete.

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