Una delle cose più difficili per chi fa il mio lavoro è trovare le parole giuste per rispondere alle domande dei pazienti, per rassicurare le loro incertezze, consolare le loro frustrazioni, infondere coraggio e fiducia in sé stessi e nel percorso che stiamo costruendo insieme. La difficoltà è tanto maggiore quanto più è radicata nel paziente l’abitudine a un certo linguaggio autodenigratorio. Sono le parole, come in tutte le faccende umane, lo strumento della relazione, il ponte fra me e le persone che accolgo nel mio studio. E sulle parole, mie e altrui, spesso mi trovo a ragionare.
“Ho sgarrato“.
Siete mai andati sul dizionario a curiosare sul significato di questa espressione? Il dizionario dice: “Nel gergo della mafia e della malavita, il delitto, punito di solito con la morte, di chi sottrae a un affiliato parte di un utile assegnatogli per decisione collettiva”. Non vi pare eccessivo per definire la trasgressione, cioè la tendenza umana e fisiologica a concedersi qualcosa di cui sentiamo il bisogno?
Quando una persona sale sulla bilancia pronunciando questa frase, “ho sgarrato”, sta manifestando la sua frustrazione, il suo enorme senso di colpa, il suo tradimento, il suo delitto. E io mi trovo a rispondere che le parole sono importanti, che se le impregniamo di sentimenti negativi automaticamente sottraiamo coraggio e fiducia alle nostre scelte.
Quali sono allora le parole giuste?
Quelle della nostra complessità.
Seguire un percorso nutrizionale significa nella maggior parte dei casi modificare radicalmente le proprie abitudini: fare la spesa seguendo nuovi criteri, organizzare la giornata e i pasti tenendo conto dei consigli del piano alimentare, cucinare le pietanze in modo diverso dal solito. Significa in definitiva imparare a vivere il cibo e il corpo in un modo più sano, un’attività complessa, come complesso è il nostro stare al mondo. Come possiamo aspettarci, dunque, che il nostro corpo e la nostra mente rispondano in modo semplice e lineare? Rispetto a quale regola ci sentiamo frustrati se le cose non vanno esattamente come avevamo previsto?
C’è questa parola, percorso, che io amo molto perché, in ambito nutrizionale, la sento nettamente contrapposta alla parola dieta, che invece aborro per il significato quasi funesto con cui viene spesso utilizzata. Sono a dieta, mi sono messa a dieta, sto facendo la dieta, mi tocca fare la dieta: sono tutte espressioni che tutti noi sentiamo ovunque, dal parrucchiere, al mare, nei negozi, nei ristoranti al momento della scelta delle pietanze. E sono tutte espressioni accompagnate da sentimenti negativi: rammarico, senso di colpa, nostalgia, tristezza, perché legate al concetto di rinuncia. Quindi, anche la parola dieta, nata bene (dal greco dìaita, stile di vita) e venuta su malissimo (sinonimo di rinuncia, costrizione, sacrificio) è diventata una parola sbagliata.
Ecco che allora torna la domanda: quali sono le parole giuste?
Le parole sono ceste da riempire: se ci mettiamo dentro cose belle e lusinghiere funzionano meglio, ci accompagnano e ci danno coraggio. Seguitemi in questo gioco:
Percorso: un passo alla volta si arriva alla meta, a volte s’inciampa ma ci si rialza e si prosegue; a volte ci si ferma a riposare e guardarsi intorno, ad ammirare il luogo dove siamo arrivati. Fermarsi è uno dei passi, tornare indietro per poi ripartire è parte del percorso. Non c’è un passo più giusto di un altro: c’è il cammino, c’è il nostro modo di stare bene, osservare, attraversare, tornare, stare al mondo, vivere appieno, adattarci. E se la meta cambia? Succede più spesso di quanto si immagini perché durante un percorso cambiamo anche noi.
Cambiamento: quante abitudini abbiamo cambiato nel corso della nostra vita? Siamo fatti così, noi umani, ci adattiamo, siamo elastici. E quante volte è cambiato il nostro corpo? E’ un sistema molto complesso e come tale non può essere rigido, fossilizzato, definito precisamente e per tutta la vita dallo stesso peso e dalle stesse forme. La sfida non è essere bravi, belli, magri, muscolosi, perfetti, somigliare a. La sfida vera è fare qualcosa per noi stessi e per la nostra salute, è essere noi stessi, lasciandosi cambiare dal percorso, adattandosi alle nuove abitudini e godere dei risultati.
Gratificazione: che fa rima con trasgressione (non con sgarro!). Gratificarsi significa essere elastici con sé stessi, avere a cuore i nostri sentimenti, ma anche il nostro corpo, trattarlo bene, concedersi la sospensione del giudizio, evitare di rinunciare troppo a lungo a qualcosa che ci procura piacere. Sottostare pedissequamente al concetto di rinuncia è spesso causa di compulsioni: concediamoci ogni tanto ciò che davvero ci gratifica, senza per questo sentirci in difetto.
Gusto: posso seguire un piano alimentare senza rinunciare al gusto? Certo che sì, lavorando sulle quantità e sulla sensazione di sazietà, imparando a cucinare in modo più sano ma gustoso, scegliendo bene le materie prime, aumentando il dispendio energetico attraverso l’attività fisica, facendoci coinvolgere dalla curiosità nei confronti delle nuove abitudini provando ad allenare il gusto a nuove percezioni.
Il gioco delle parole giuste potrebbe continuare all’infinito. Cercatele, riempitele di cose positive e lusinghiere, non esiste alcuna legge vieti di stare bene durante un percorso nutrizionale, nessun regolamento che imponga l’autofustigazione.
Tutto questo è molto umano, sapete, strettamente legato alle paure, al coraggio e all’ingegno che, dopo millenni di storia e di biologia, ci hanno portato fin qui. Dunque, perché stupirsi di certe risposte inattese? Perché scoraggiarsi al primo cedimento? Perché farsi del male con giudizi negativi su noi stessi e sul nostro comportamento? Perché tutte queste belle ceste piene di scoramento, frustrazione, modelli inarrivabili, autofustigazione, rinunce e sgarri? Perché?
Facciamoci un grande regalo: riconosciamo la nostra umanità e trattiamola bene. E poi, un passo dopo l’altro…
(L’immagine è tratta dal sito pixabay ed è libera da copyright)
Il mio interesse per le difficoltà alimentari nell’età evolutiva è nato molti anni fa, quando, all’inizio della mia attività di nutrizionista, la pediatra che mi ospitava nel suo studio cominciò a inviarmi bambini sovrappeso. Era già in quegli anni un problema grave e urgente per il quale mi aveva voluto come collaboratrice. La malnutrizione per eccesso fu dunque la prima questione con cui dovetti misurarmi. Con il tempo però si delineò un’altra situazione non sempre opposta all’eccesso ponderale, anzi spesso parallela ad essa: la selettività alimentare. Non parlo dell’istintiva neofobia tipica dell’età del divezzamento che si risolve in genere entro i primi anni di vita, ma di un evitamento pervicace e assoluto che spesso metteva a rischio la crescita del bambino.
Gli studi disponibili al momento sono molti. La studiosa di riferimento è
Riguardo al Disturbo dello spettro autistico, o meglio Disturbi dello spettro autistico*, e la presenza di ARFID nel 2017 è stato pubblicato da Ericson un Manuale completo e molto ben scritto, destinato a genitori (sebbene molto tecnico) e operatori, dal titolo 


e allarmistiche sugli effetti di intere categorie di alimenti o sul valore salvifico di quella bacca o di quel seme, di questa o quella dieta . La conseguenza comune è un fai da te rischioso, una sfiducia serpeggiante, sommaria e pericolosa nei confronti della scienza e di chi ha investito una vita intera a studiare e formarsi in questo campo, acquisendo strumenti fondamentali per valutazioni critiche e corrette. La verità è che l’essere umano è complesso, così come il suo metabolismo: sarebbe davvero bellissimo se per stare bene, non ammalarsi e vivere più a lungo possibile fosse sufficiente eliminare un alimento o inserirne un altro. Purtroppo non è così semplice e, il più delle volte, scelte alimentari arbitrarie e ingiustificate non fanno che aggiungere nuovi problemi a quello iniziale. Per cui, seppure nel massimo rispetto di ogni scelta personale, in tema di cibo e salute è consigliabile verificare sempre, attraverso fonti adeguate e accreditate, ogni tipo di informazione reperita in rete, affidarsi a chi lavora su questi tempi, con professionalità e competenza, e accettare di buon grado che il nostro corpo non è uguale ad altri mille; non è una provetta in cui ad ogni azione corrisponde una reazione standard e prevedibile a priori, ma, al contrario, un sistema di una preziosa complessità che merita l’attenzione e il rispetto dovuti alle meraviglie.





