Archivio della categoria: Non solo pane

Conserve alimentari e gesti per fermare il tempo – su Braccia Rubate

Domenica è uscito il numero 30 di Braccia Rubate, il quindicinale che parla di lune, colture e stagioni e lo fa in modo magnifico. Questo numero ospita un mio pezzo sulle conserve, sulla memoria e gli affetti. Ma sono davvero in ottima compagnia: andate a vedere.
Buona lettura.

Fermare il tempo
Quest’anno ho vissuto l’arrivo di settembre con il pensiero triste della perdita. In genere settembre mi porta la passione per i colori, le foglie secche e il loro rumore sotto le scarpe mentre cammino per campi e boschi. Mi porta le giornate fresche e luminose, le prime piogge, le felpe tirate giù dagli scaffali alti dell’armadio. Ma la scorsa estate ho perso una mia cara zia e l’arrivo delle prime giornate più corte e dolci mi ha portato molta malinconia, al ricordo di lei nella sua cucina, con me ragazzina curiosa, intorno a pomodori maturi e conserva tardiva.
C’è questa usanza resistente, nella mia famiglia, per cui si fa la conserva di pomodoro gli ultimi giorni d’agosto o i primi di settembre. E si prosegue con le marmellate e i sottolio nelle settimane successive. Si va al mercato contadino, si scelgono pomodori, pesche, prugne, uva, peperoni, melanzane, ci si prepara ad accettare di buon grado qualche scarto, si lavano per bene i barattoli, si acquistano i nuovi tappi. Gli scarti legati all’estrema maturazione, a quella dolcezza definitiva a cui sono avvezza sin da bambina, sono l’esercizio di pazienza, l’attitudine all’accettazione di cose imperfette. È un rituale salvifico, quello delle conserve autunnali, conclusivo dei mesi in cui ogni componente della famiglia ha tirato il fiato. È un modo, per noi gente del sud, di tornare attivi, ritrovarsi tra fratelli, sorelle, mamma, zie, cugini, anche se non tutti presenti fisicamente. Una specie di richiamo alla presenza dei sentimenti, al rinnovo dei ricordi e delle consuetudini, un passaggio morbido verso i programmi nuovi che ognuno è chiamato a fare rientrando dalle vacanze estive”.
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Video-riflessione: Il cibo comunica cose!

Il cibo comunica cose e lo fa attraverso la nostra interfaccia sensoriale. Ci avevate mai pensato? Nel mio breve video  ,che fa parte del progetto L’unione fa la forza cultura, si parla di questo e del romanzo La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl.

 

Nutrizione e lettura (Pane e parole)!

C’è un bel progetto, nato dalle idee e dalle competenze giornalistiche di Valeria Cudini, che unisce cultura, fantasia e voglia di confrontarsi per offrire a chi vorrà seguirlo consigli di lettura e non solo. IL proegtto si chiama L’Unione fa la forza cultura. Quando mi ha invitato a partecipare, il mio amore per la mia professione e per la lettura ha risposto prima di me. Per visualizzare il canale youtube a cui potete iscrivervi per seguire il progetto cliccate qui.

Il mio primo intervento riguarda la video-riflessione di un libro che ho letto qualche mese fa, La vegetariana di Han Kang, che narra la storia di una donna affetta da un gravissimo disturbo alimentare. Potete vederlo cliccando qui.
Buona visione ed eventualmente buona lettura!

Esperti o creduloni?

wikiL’era digitale è senza dubbio un tempo ricco di possibilità e occasioni. Nell’esiguo tempo di un clic riusciamo a raggiungere posti lontanissimi e ad accedere a informazioni di ogni tipo. La rete pullula di siti che permettono di farsi un’idea di ogni cosa in pochissimo tempo. Alimentazione e salute sono fra gli argomenti che più di tutti catturano l’attenzione e innescano ansie e preoccupazioni creando una sorta di corsa collettiva all’informazione. In questo mare magnum è facile però imbattersi in notizie sommarie, gonfiate, o addirittura false e fuorvianti, che non sempre si ha la competenza e il tempo di verificare. Ne consegue spesso un’informazione superficiale, a volte illusoria, che, proprio per la velocità con cui si acquisisce e si diffonde, rischia di confondere e condizionare intere categorie di persone che non hanno gli strumenti per leggere in modo critico e, dunque, filtrare con la giusta dose di consapevolezza.
Chi fa il mio lavoro s’imbatte ogni giorno in persone che hanno
autonomamente escluso dalle loro abitudini alimentari uno o più cibi, convinte di avere questa o quell’altra intolleranza, questa o quell’altra patologia; individui condizionati da letturgooe allarmistiche sugli effetti di intere categorie di alimenti o sul valore salvifico di quella bacca o di quel seme, di questa o quella dieta . La conseguenza comune è un fai da te rischioso, una sfiducia serpeggiante, sommaria e pericolosa nei confronti della scienza e di chi ha investito una vita intera a studiare e formarsi in questo campo, acquisendo strumenti fondamentali per valutazioni critiche e corrette. La verità è che l’essere umano è complesso, così come il suo metabolismo: sarebbe davvero bellissimo se per stare bene, non ammalarsi e vivere più a lungo possibile fosse sufficiente eliminare un alimento o inserirne un altro. Purtroppo non è così semplice e, il più delle volte, scelte alimentari arbitrarie e ingiustificate non fanno che aggiungere nuovi problemi a quello iniziale. Per cui, seppure nel massimo rispetto di ogni scelta personale, in tema di cibo e salute è consigliabile verificare sempre, attraverso fonti adeguate e accreditate, ogni tipo di informazione reperita in rete, affidarsi a chi lavora su questi tempi, con professionalità e competenza, e accettare di buon grado che il nostro corpo non è uguale ad altri mille; non è una provetta in cui ad ogni azione corrisponde una reazione standard e prevedibile a priori, ma, al contrario, un sistema di una preziosa complessità che merita l’attenzione e il rispetto dovuti alle meraviglie.

 

Scritto per Dimensione Agricoltura di aprile 2017.

 

Ancora un’emozione!

Fra pochi giorni si terrà la prima presentazione del mio nuovo libro “Il cibo dell’accudimento”.
Come sempre, non so dire la mia emozione. E’ strano che a chi fa della passione per la scrittura una professione, d’un tratto, manchino le parole. Ma è proprio così: l’ansia, l’entusiasmo e la gioia che mi accompagnano nel mio modesto mestiere di scrivere di cibo, relazioni e vita tacitano il verbale, come se ogni frammento di energia e attenzione fosse rimasto incagliato nel faticoso, seppure affascinante, navigare nel mare fluido e misterioso interposto fra i pensieri e il ticchettio frenetico sui tasti. Come se esprimere questo “tanto” e “tutto” che mi agita gioiosamente il cuore togliesse qualcosa all’emozione stessa, la sminuisse, la opacizzasse.
Così è, dunque. Sono emozionata e muta. Nell’impazienza di presentare quest’ultima creatura a chi vorrà scoprirla sorrido e sospiro in silenzio, gustando la soddisfazione di essere arrivata fino in fondo anche questa volta.
Vi aspetto, allora, per condividere questa mia vaga, seppure lusinghiera, idea di felicità!

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Cibo e sacralità – Un’intervista di TuttoMondo

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Dal sacro alla tavola
di Dario Soriani

La simbologia cui il cibo ci conduce è argomento affascinante e strettamente collegato al rapporto stretto e indissolubile con il sacro. Saggi, libri e tesi sono già stati scritti su questo antico legame e su tutto ciò che ne consegue, ma ciò non toglie che rimanga un argomento affascinante e stimolante che può ancora essere letto da punti di vista nuovi e guardato da angolazioni diverse, dando così spazio a riflessioni a loro volta nodali e basilari.
La sacralità, e molto di ciò che la riguarda, attiene intrinsecamente al rito. Allo stesso modo il cibo e l’alimentazione hanno nella loro storia molto di rituale: orari, tradizioni secolari, l’insieme di azioni che lo contestualizzano. Del rapporto tra cibo e sacro abbiamo tracce fin dalle antiche civiltà: i banchetti greci e i loro simposi, le offerte sacrificali agli dei, i cibi usati per rappresentare simbolicamente alcuni dei, gli egizi che mettevano il cibo accanto ai defunti per continuare a nutrire l’anima. E con l’avvento delle religioni rivelate questo legame si è stretto ancor di più; possiamo dire che le maggiori di queste religioni sono connaturate con il cibo e con le sue declinazioni e i suoi ritmi, i giorni dell’abbondanza (le feste) e i giorni del digiuno (le penitenze).

Alla luce di tutto ciò, e per dare un taglio caratterizzante all’argomento, abbiamo deciso di parlarne con Giusi D’Urso, biologa nutrizionista, educatrice alimentare, autrice di testi divulgativi, cofondatrice del Centro di Educazione Alimentare La MezzaLuna, esperta e amante del buon cibo in tutte le sue forme e le sue valenze. Leggi l’intervista su tuttomondonews.it

Di terre e di radici

cropped-DSCN5770.jpgNon sono toscana. Vengo da altri profumi, altri colori. Non sono di qua, né per sangue, né per caso. Sono isolana e della mia isola porto dentro l’odore acuto della zagara d’estate e l’ansia degli inverni appena freschi, come degli autunni stremati e lunghissimi.
Sono toscana, invece. Divenuta tale per volere di mio padre e di mia madre. Per scelta mia, dopo, per amore, tenacia e passione. Sono toscana, e sento questa terra come una madre generosa che ha consolato i pianti di nostalgia e condiviso la gioia di sentirmi a casa. Per emozione. Per convinzione.
Cos’è del resto, l’appartenenza a un luogo? Non è forse sentirsene parte? Non è sentire dentro di non potersene separare?
Sembro senza radici, ma non è affatto così. Affondo quelle d’origine sulla mia isola, piena di contraddizioni e bellezze che tolgono il fiato. Sono inquieta come quella terra fatta di lava e mare. Ma ho radici profonde anche qui, e non posso negarlo a me stessa se quando parto non vedo l’ora di tornare e di riempirmi nuovamente gli occhi della mia città e delle mie colline. Dei luoghi che vedono i miei passi, meditabondi, creativi e solitari.
Lungo i sentieri che scelgo per meditare, scorgo campi di un verde intenso che non so descrivere, tanto è particolare. I filari di vite che si rincorrono sulle colline lievi e rigonfie, come grembi fertili di madri in attesa, mi sembrano opera divina, ma poi ci ripenso. Perché divina? Perché, se questa sapienza è tutta umana? Se è dalle mani dell’uomo che sgorga la cura e l’attenzione per questa terra?

Non ho mai lavorato la terra. Faccio altro. E mi rammarico, spesso, di non avere i calli alle mani a testimoniare la mia passione per zolle e per spighe. Mi sento grata a chi mette in fila le viti e trebbia il grano, a chi suda e impreca di fatica e passione. Sono devota alla terra così come a chi la scolpisce con sapienza, rendendo la mia mente appagata da tutta la bellezza che dagli gli occhi arriva all’anima e se ne prende cura.
Cammino, dunque, e penso all’alba dei contadini. La terra è bassa, dicono, per figurarti la loro fatica. La terra è bassa. E camminare tra la fatica di anni di lavoro chino fa un certo effetto.
Scorgere le brutture di altri uomini, levatisi all’alba anch’essi, per cementificare, rubando zolle e sogni e bellezza a tutti noi, fa sgranare gli occhi. Fa tremare i polsi.
La bellezza è di tutti. La terra è di tutti.
E se domani la pioggia non la troverà salda e accudita mi sentirò persa. E se fra un mese al posto di questo sentiero troverò un muro e un cancello mi sentirò orfana e disperata.