Archivio mensile:settembre 2017

Neofobie e nutrizione pediatrica

La neofobia è letteralmente la “paura del nuovo” che caratterizza quella fase particolare della crescita in cui il bambino piccolo abbandona il seno materno per iniziare ad alimentarsi con cibi solidi e semi-solidi di consistenze e tessiture diverse (dal divezzamento in poi). Si tratta, quindi, di  una fase fisiologica durante la quale il piccolo non vuole, e non può, rinunciare alle sue certezze che lo rendono più forte e lo fanno sentire al sicuro. Si tratta di un meccanismo innato e collaudato per milioni di anni, che in passato probabilmente ha permesso la sopravvivenza nei primissimi anni di vita. Quando però la neofobia si protrae troppo a lungo, inficiando le normali abitudini alimentari, limitando oltremodo le scelte e mettendo a rischio la crescita, diventa degna di attenzione e richiede l’aiuto di un professionista. Oggi, purtroppo, le neofobie riguardano oltre il 20% dei bambini e si prolungano anche fin oltre l’adolescenza, creando problemi nei momenti di socializzazione e condivisione dei pasti e predisponendo le ragazze e i ragazzi a carenze nutrizionali e comportamenti alimentari inadeguati. Il ruolo della famiglia è fondamentale nel fornire al bambino gli strumenti per superare fisiologicamente le neofobie, dato che il rifiuto di un alimento è inversamente proporzionale al numero delle offerte dello stesso. Un lungo e paziente lavoro, fatto di tentativi e buon esempio, può dare ottimi risultati. L’esposizione precoce e costante a una grande varietà di sapori è, dunque, la strada maestra  per promuovere nel bambino il desiderio dell’assaggio, soprattutto dei cibi generalmente meno graditi, quali frutta e verdura.
Ma cosa può fare un nutrizionista per risolvere neofobie croniche che rischiano di ostacolare il normale sviluppo di un bambino?
Nella mia esperienza parto sempre dall’assunto che conoscere un dato oggetto, una data sensazione, ci mette in condizione di non averne paura e di allentare le corde della diffidenza. Nel caso di uno o più cibi è l’onnivoro che è in noi, diffidente per natura, a dettare legge e farci allontanare da quel particolare alimento poco noto e quindi poco rassicurante.
Ginevra (nome di fantasia) è una bella bambina di sette anni, sveglia, intuitiva, sensibile e creativa. E’ arrivata alla mia attenzione all’inizio di quest’anno a causa di un’alimentazione estremamente selettiva che cominciava a preoccupare i genitori. A febbraio, Ginevra mangiava solo pasta in bianco, latte con un solo tipo di frollini, prosciutto cotto e pochissimo altro. Il percorso con Ginevra (rigorosamente ludico e creativo) è stato accompagnato da uno educativo in parallelo con i genitori, soprattutto con la mamma, che ha imparato come reagire ai rifiuti della bimba e come proporre alcune novità senza creare grandi aspettative né drammatizzare i fallimenti. Inoltre, agli adulti della famiglia (compresa la nonna) e alla sorellina più grande sono stati dati strumenti comportamentali per gratificare la piccola Ginevra ad ogni nuovo assaggio e supportarla ad ogni défaillance, senza giudicarla né mortificarla.

17992024_10213099902761709_3915484817008143764_nAd esser sincera, credo che il lavoro sulle neofobie sia fra i più gratificanti per un nutrizionista pediatrico, per l’impegno dei bambini che si lasciano coinvolgere con entusiasmo e fiducia e per la gratificazione dei risultati ottenuti. Con Ginevra abbiamo iniziato dalla piramide degli assaggi: ad ogni nuovo assaggio la sua piramide personale si andava riempiendo. La lista dei gusti si è rimpinguata di settimana in settimana e quella dei disgusti si è impoverita 21616503_10214591878420168_3970331928821381289_nprogressivamente. Ma come ha fatto Ginevra a diventare un’onnivora meno diffidente? Si è lasciata guidare verso la conoscenza degli alimenti che le erano meno familiari e che spesso si era rifiutata persino di annusare. Abbiamo osservato il cibo da molti aspetti e molte prospettive diver20108671_10214027255544949_8049059939372029421_nse: il suo ruolo nelle fiabe, il significato di alcuni alimenti tradizionali, il sapore delle pietanze che prepara la nonna, il ruolo del cibo per il nostro corpo, il gusto col quale facciamo la conoscenza dei vari sapori, l’importanza di masticare, gustare e riconoscere i vari componenti di un piatto e infine, tappa attualmente in atto, la provenienza e la produzione del cibo. Ginevra, ogni giorno e sempre con maggiore gratificazione, ha imparato a mangiare a tavola con la sua famiglia: 20170926_183048in fondo sta semplicemente ricostruendo la sua personale “cultura del cibo” che, chissà perché e chissà come (ma a questo punto importa poco!), si era sbiadita e un po’ persa. Ritrovandola, ha recuperato una parte importante di sé che le permetterà di avere in futuro un rapporto sereno, equilibrato e appagante con il proprio cibo.

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Dedicato alle mie pazienti

Da ottobre partiranno tre incontri di educazione alimentare gratuiti rivolti alle mie attuali pazienti e a quelle che hanno già terminato il loro percorso. Il ciclo di incontri “Il cibo della salute” ha lo scopo di completare l’iter nutrizionale, cognitivo ed educativo iniziato allo studio condividendo buone pratiche di utilità quotidiana. Non sarà uno sportello nutrizionale, non ci sarà posto per domande individuali sul proprio percorso o sul proprio piano alimentare, ma rappresenterà un momento di condivisione importante per imparare a mettere in atto, o a perfezionare, le buone pratiche alimentari, dalla lista della spesa al piatto. 
Per questioni organizzative, è necessario (direi obbligatorio) comunicare la propria partecipazione. Potete farlo per mail o per telefono, specificando l’incontro al quale volete partecipare, il vostro nome e cognome e il vostro recapito telefonico.
Tutte le informazioni sono contenute nella locandina.
Vi aspetto!  🙂

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Il trattamento nutrizionale del bambino obeso

L’esperienza del trattamento nutrizionale dei bambini obesi o in sovrappeso è davvero molto interessante e, nonostante i numerosi anni di professione, continua a offrirmi nuovi spunti di approfondimento e riflessione. Accade, seguendo questi bambini, che la pratica del nutrizionista debba orientarsi verso tutti i componenti della famiglia, poiché il sovrappeso di un individuo non è, e non può essere, un problema esclusivamente individuale se egli fa parte di un piccola comunità integrata e dinamica come la famiglia. Esso, probabilmente, oltre che di una componente genetica, rappresenta il risultato complessivo di una serie di pratiche poco adeguate che hanno coinvolto e coinvolgono ancora l’intero sistema famiglia. Parlo di abitudini quotidiane inadeguate e della conseguente destrutturazione dello schema alimentare, dalle pratiche di divezzamento a quelle di accudimento a tavola in generale, dalla lista della spesa alle consuetudini in cucina.

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Questo è il motivo per cui nel trattamento nutrizionale di un bambino obeso è compreso un lavoro imprescindibile con gli altri componenti della famiglia, oltre a figure che possiamo definire collaterali: fratelli, sorelle, genitori, nonni, baby sitter e altri soggetti che si occupano dell’accudimento del bambino in questione. Nel caso in cui il bambino faccia un’attività fisica oltre a quella scolastica (sarebbe auspicabile!), anche l’istruttore o l’allenatore dovrebbero essere coinvolti prima possibile e invitati a collaborare al percorso di riabilitazione nutrizionale e motivazionale, teso a raggiungere il peso adeguato del bambino attraverso l’acquisizione di strumenti di autoregolazione delle proprie emozioni, una maggiore autonomia nelle scelte alimentari, l’educazione agli assaggi e alle varie esperienze sensoriali che ne conseguono.
Poiché gli adulti che hanno un maggiore impatto sui comportamenti alimentari del bambino sono in genere i genitori, come indica chiaramente gran parte della letteratura scientifica disponibile, è con loro che spesso organizzo incontri e seminari, intercalati agli appuntamenti con il bambino. Quindi, in definitiva, il percorso di riabilitazione nutrizionale di un bambino obeso si basa su almeno due tipi di intervento (esperienziale e ludico col bambino, discorsivo e di approfondimento con i genitori)  tesi a fornire strumenti accessibili e concreti atti all’acquisizione di buona pratiche alimentari. Nei casi in cui la componente psico-emotiva, che fisiologicamente gioca di per sé un ruolo importantissimo nella gestione del comportamento alimentare, fosse così complessa e presente da rendere il percorso nutrizionale più difficoltoso del previsto, la collaborazione con altre figure professionali (psicoterapeuta, pedagogista clinico, neuropsichiatra infantile) può aiutare a sciogliere nodi e dilemmi emersi in itinere e rendere più fluido ed efficace il lavoro del nutrizionista.
Il grafico 1 mostra l’andamento dell’Indice di Massa Corporea di un bambino di 9 anni, arrivato alla mia attenzione nel mese di maggio 2016 con un valore di IMC al di sopra del 95° centile e tuttora in trattamento (mantenimento). I cinque incontri, in cui il piccolo ha seguito il percorso di riabilitazione nutrizionale, è stato pesato e misurato, si sono intercalati a incontri (in questo caso più numerosi, ovvero otto) con i genitori, soprattutto con la mamma, essendo lei ad occuparsi maggiormente dell’approvvigionamento alimentare e della preparazione dei pasti. Durante queste occasioni sono stati affrontati argomenti quali la scelta dei cibi a minore impatto sulla glicemia, l’importanza del movimento all’aperto, la gestione e il contenimento delle compulsioni relative al cibo, il linguaggio più adeguato da adottare in presenza del bambino e la condivisione di momenti conviviali particolari, come le feste di compleanno e altre ricorrenze. Con il piccolo, invece, ogni volta è stata aggiornata la tabella degli assaggi e delle scelte, in base alle nuove esperienze suggerite; è stato affrontato in modo ludico un argomento relativo alla scelta alimentare, attraverso storie, fumetti e disegni; sono stati messi in atto giochi volti ad aumentare la percezione dell’appetito e della sazietà. Il grafico 2 è relativo al IMC di un adolescente di 15 anni che seguo da marzo 2017.

Grafico 2

Grafico 2

In questo caso, gli strumenti forniti al ragazzo sono stati soprattutto di autogestione nei momenti conviviali coi pari, di consapevolezza delle scelte alimentari quotidiane in autonomia, di rieducazione del gusto, che tipicamente a questa età risulta omologato e poco disponibile ad assaporare cibi semplici e non industriali.
L’aderenza al percorso è molto legata alla motivazione che innanzitutto i genitori e di conseguenza il bambino mostrano sin dall’inizio. Ma i risultati, soprattutto se arrivano già dai primi incontri, sono sicuramente un ottimo incentivo, insieme all’atteggiamento accogliente, sereno, giocoso e propositivo del professionista.

 

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